10.2 La navicella per Tridia

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Evander prese un respiro, si guardò attorno, e scese nella piazza, perdendosi tra la folla.

Un vorticare di cappe grigie e marroni, l'odore della terra, il freddo del Mese delle Piogge che faceva pressione sulla sua giacca logora. La pioggia aveva smesso di cadere, ma aveva lasciato uno spesso strato di fango sul suolo.
Evander si ricordò improvvisamente del perché si trovasse in quel luogo e, angosciato per aver perso la cognizione del tempo, alzò di scatto gli occhi all'orologio della torre, e, vedendo che si era fatto terribilmente tardi, si mise a correre, facendosi largo tra la folla, ripetendo:
«Scusatemi, signore, perdonatemi!» ad ogni passo.
Temeva di far tardi e di perdere la navicella per Tridia, cosa che non si sarebbe mai perdonato. Fra sé e sé, ripeteva: «Non anche questo! Non anche questo!».

«E sta' attento, ragazzo!» gli disse con tono seccato un uomo alto, avvolto in un mantello da viaggio, che Evander aveva scontrato per errore nella sua corsa.
«Si può sapere dove vai con tanta fretta, ragazzo? Non sei mica solo al mondo, sai?!» disse l'uomo voltandosi finalmente a guardarlo. Evander stava per andarsene, continuando a scusarsi, quando l'uomo dal mantello lo afferrò per un braccio e lo trattenne. La presa era forte e ferma.
Evander scosse la testa, guardando la strada e cercando invano di svincolarsi: «Vorrei che fosse così!» mormorò.
L'uomo parve assai sorpreso a quelle parole. Con tono basso, quasi mormorando, gli disse: «Ragazzo, io ti ho già incontrato da qualche parte».
«No, signore, questo è impossibile, ve l'assicuro!».
«Eppure, io sono altrettanto certo di averti già conosciuto».
«Impossibile, signore. Vedete, sono figlio di contadini, e non ci muoviamo mai da casa. Vi prego di lasciarmi andare, sono molto di fretta».
«E cosa ha da fare in tanta fretta il figlio di due contadini?».
«Devo andare a Tridia. Vi prego di lasciarmi andare, o non farò
in tempo!».
«E cosa ci vai mai a fare a Tridia?!» disse l'uomo, trattenendolo ancora. Evander, sconcertato da quell'insistenza, vicino a perdere il controllo, esclamò: «E a voi cosa importa?!». Ma, temendo che quel signore ben vestito ed elegante si sentisse offeso da un simile tono arrogante da parte di un semplice contadino e gli facesse perdere altro tempo, si riprese e disse: «Scusatemi, signore! Ma temo di non fare in tempo per la navicella! E, se non arrivo in tempo, il mio padrone mi scaccerà ed io ho proprio bisogno di
quel lavoro!».
«Vai pure, contadino! Va' per la tua strada!» disse l'uomo, lasciando la presa.
Evander non se lo fece dire due volte e si rimise a correre con un secco: «Grazie!».

L'uomo lo guardò per qualche secondo, poi si incamminò nella sua stessa direzione, ma con una calma che faceva un gran contrasto con la fretta del ragazzo.
«Ma perché!?» pensava Evander, con rabbia, mentre correva.
«Perché capitano tutte a me?! Perché non vuoi che io arrivi in
tempo?!» diceva, rivolgendosi ad un'entità senza nome.
Ed eccola in fondo alla strada: la piazza d'atterraggio sembrava
un vorticare unico di pulviscoli bianchi. Nulla si vedeva, se non
una gran folla di gente in abiti scuri e una nuvola grigiastra che si
alzava da terra al centro della piazza acciottolata.
«No!» gridò Evander.
Un profondo senso di panico crebbe dentro di lui.
Si fece largo tra la folla, senza più curarsi neppure di chiedere
scusa. Le sue orecchie non sentivano più nulla, e i suoi occhi ve-
devano soltanto quella nube di polvere che la navicella aveva
sollevato nel partire. Tutto gli appariva ovattato, nero e oppri-
mente.
Poi, la nuvola si diradò e di fronte a lui apparve... il nulla.
La piazza era vuota. La navicella era partita.
L'aveva persa.
Aveva perso la sua unica possibilità di realizzare il proprio so-
gno. Si gettò a terra, con entrambe le ginocchia nel fango. «Per-
ché?!».

Ora che il suo futuro era scomparso, il suo passato si fece più op-
primente.
Si diede dello stupido per aver messo a rischio il proprio sogno
entrando in quel maledetto tempio sacro. E una bella porzione di
colpa ce l'aveva anche quell'uomo che lo aveva trattenuto senza
alcuna ragione.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse lì, con le ginoc-
chia nel fango e lo sguardo fisso a terra. Quando si risvegliò, si
alzò, senza sollevare lo sguardo sulla piazza e, lentamente, le die-
de le spalle, dicendo definitivamente addio al suo unico sogno.
Per legge non poteva tentare l'esame di ingresso l'anno seguente,
quindi non aveva più alcuna speranza.
Che cosa avrebbe fatto, adesso?
Di certo non sarebbe tornato a casa.
Avrebbe invece cercato un lavoro nella città di Andez, un lavoro
dove avrebbe obliato sé stesso, dove le sue potenzialità si sareb-
bero a poco a poco dissolte così come si era dissolta la speranza
di far qualcosa di grande della propria vita.
Si mise a camminare, senza sapere dove era diretto, ma una voce
gli ronzò nelle orecchie.
«Ragazzo!».
Evander non si voltò.
«Contadino!» esclamò la voce, ed una mano afferrò il suo brac-
cio. Evander si voltò e riconobbe l'uomo dal mantello.
«Ragazzo, mi era parso che avessi fretta di salire su quella navi-
cella. Mi sono forse sbagliato?» gli disse lo sconosciuto.
Evander gli diede di nuovo le spalle, svincolandosi dalla sua pre-
sa in silenzio e fece un altro passo avanti,  addentrandosi  nella
folla.
Per la terza volta, l'uomo lo trattenne per un braccio.
«L'hai persa, non è così?».
Evander era troppo sconvolto per arrabbiarsi. Prese un respiro, si
girò a guardarlo negli occhi e, con voce calma ed espressione fie-
ra, disse: «Vi burlate di me, signore?».
«No, al contrario! Voglio aiutarti!».
Evander lo fissò sorpreso. L'aspetto curato e ben tenuto, lo sguar-
do intelligente e penetrante:  tutto di  quell'uomo faceva capire
che doveva essere di alto lignaggio. Eppure, c'era qualcosa, nel-
l'espressione di quegli occhi, che gli sembrava stranamente fami-
liare. Possibile che fosse vero, che si erano già incontrati prima
di quel giorno?
«Che cosa volete da me?» disse Evander,  girandosi verso di lui
completamente  e facendosi  più determinato.  Ormai  non aveva
nulla da perdere,  e aveva anzi  tutto il  tempo per  rispondere a
tono: quel giorno aveva già ricevuto un numero sufficiente di in-
sulti, anche più di quanto era in grado di sopportare.
E non era dell'umore per ingoiarli in silenzio.
«Che cosa saresti disposto a fare, se ti dessi un passaggio per Tri-
dia con solo un'ora di ritardo rispetto alla navicella?» disse l'uo-
mo dal mantello.
Gli occhi di Evander splendettero di speranza per qualche istante,
ma, un secondo dopo, rispose:
«Nulla» e fece per andarsene.
«Credevo ci  tenessi  molto,  ad arrivare a Tridia entro domani»
disse l'uomo, socchiudendo gli occhi e stringendo la presa.
«No, non ci tengo. Non è un posto per un contadino, quello» di-
chiarò Evander  guardandolo fisso negli  occhi,  per  convincerlo
che doveva essersi sbagliato. Aveva paura di quel che stava pas-
sando per la mente di quello sconosciuto, ma quest'ultimo scosse
la testa, e disse:
«Invece, ti sbagli: chiunque può varcare le Porte di Metallo, pur-
ché ne sia degno».
«Le Porte di Metallo?!» esclamò Evander, di sasso.
«Ragazzo, non sono uno stupido. La tua meta sono alte inferriate
ricoperte di rampicanti, scale, torri, e osservatori, aule illuminate
da immense vetrate, porte di metallo di dimensioni colossali che
riflettono la luce del sole sparandola tutt'intorno come laser. O,
se vogliamo,  la tua meta è l'inospitale,  affascinante,  misterioso
Spazio, con la sua natura misantropa e selvaggia, che attende so-
lamente di essere domata dal genio dell'uomo e asservita all'Im-
pero edresiano. Sbaglio forse? Vuoi forse dirmi che non è così, e
che tutto quello che desideri  è continuare per il  resto della tua
vita a zappare la terra?».
Evander sentì quelle parole come provenissero da un altro mondo
e percepì  il  significato come venisse dal  profondo del  proprio
cuore. Non riuscì a negare quella verità:
«Avete ragione, ci tenevo» disse, con una profonda tristezza, ma
aggiunse: «Tuttavia, non sono disposto a fare nulla che io stesso
non abbia deciso di fare. E, dal momento che non so cosa voi vo-
gliate chiedermi, preferisco non sapere nulla, così non mi com-
prometterò con voi, un uomo sconosciuto che dimostra un infon-
dato interesse per il figlio di due semplici contadini!».
L'uomo  lo  guardò in silenzio,  con un'espressione  strana,  che
Evander non riuscì a decifrare. Poi, interrompendo quel silenzio
con voce sommessa, affermò chiaramente queste parole:
«Tuo padre non era un contadino».
Evander provò un moto di paura. Fece un passo indietro, apren-
dosi una via di fuga. «Che cosa sapete di mio padre?!» mormorò.
«Ehi, ragazzo, non voglio farti alcun male! La mia domanda era
solo per metterti alla prova e sapere se la mia impressione su di
te fosse vera. Ora che lo so, sono disposto a dirti la verità, se tu
vorrai ascoltarla».
«Che cosa volete da me?! Ditemelo, una volta per tutte!».
«Voglio sapere dove si trova tuo padre, e se è ancora vivo. Voglio
solo delle semplici informazioni».
«E perché dovrei parlarvi di mio padre?! Chi mi dice che voi non
vogliate servirvi di quelle informazioni per scopi che non posso
neppure immaginare?!».
«Te lo proverò».
Evander attese che parlasse.
«Tuo padre si fa chiamare Jonathan, non è vero?».
Evander non rispose.
«Ma il suo vero nome è Robert Valt. Era un endar, ma inscenò la
propria morte ed abbandonò il corpo dei Mantelli Neri, per vive-
re come un semplice contadino, con sua moglie ... e suo figlio».
«E chi vi avrebbe mai detto tutto questo?!».
«Fu lui stesso a dirmelo. Io sono venuto qui apposta per raggiun-
gerlo e parlarci. E tu sei l'unico legame che mi resta con lui, l'u-
nica speranza che ho di trovarlo!».
La voce dell'uomo tradiva un'emozione così forte che Evander
non poté non credergli. C'era del vero in quelle parole, lo senti-
va. E poi tutte quelle informazioni erano troppo esatte e troppo
pericolose... Dove poteva esserne venuto al corrente, se non dallo
stesso Robert? Chi altri sapeva del passato di Jonathan?
«Io non mi fido di voi! Voi venite in nome del condottiero degli
endar, non è così? Venite per riportarlo alla Fortezza di Confine
e, infine, giustiziarlo a morte, come un disertore!».
«Ragazzo! L'ultima cosa che voglio è che Robert muoia!» escla-
mò l'uomo con l'orrore negli occhi.
Evander finse ancora di non credergli e chiese: «Datemi una pro-
va! Chi siete voi, per parlare così di lui?».
«Io? ... io sono suo fratello!».
Evander lo guardò attonito.
L'uomo dal mantello, riprendendosi un poco, disse:
«Sono Kaleb Valt, fratello maggiore di Robert. Quando ho rice-
vuto sue notizie,  ed ho scoperto che era vivo,  ho viaggiato per
due anni senza sosta, per ritrovarlo! Sono riuscito ad arrivare fino
a qui, e poi ho perso le sue tracce. Da più di sei mesi sono bloc-
cato a questo punto della ricerca,  senza riuscire a fare un solo
passo nella direzione giusta. Non mi sarei certo dato per vinto, e
avrei battuto alle porte di tutte le case di tutti i villaggi attorno a
questa città, ma sono migliaia! E, purtroppo, non sono libero di
continuare la ricerca: sono atteso a lavoro, e non posso mancare
o insospettirei gli endar. Ed è qui, che ho incontrato te!».
Evander annuì.
«Io credo...  che possiate dire la verità.  Ma come avete fatto a
scoprire che io sono suo figlio?».
«Ho un tuo ritratto».
«Un mio ritratto?!».
«Sì, un tuo ritratto, inviatomi da tuo padre in persona con poche
righe sul retro, scritte di suo pugno. Robert era molto bravo a di-
segnare...».
Sì, era vero: Evander lo sapeva.
L'uomo continuò: «È grazie a quel ritratto che sono riuscito ad
arrivare sin qui. Nel mio shuttle, c'è questo ritratto ed altri che ti
proveranno la verità delle mie parole. Ma per vederli devi venire
con me. So che ti apparirà come una prigione: nello shuttle non
potrai più fuggire, mentre qui sei libero di farlo. Se io avessi la
tua parola che mi aspetterai qui, te li porterei... Ma devo avere la
tua parola, mi capisci? Non posso permetterti di andartene, prima
di sapere come raggiungere mio fratello! Mi capisci? Ti  prego,
vieni nello shuttle, permettimi di mostrarti quei ritratti affinché tu
possa credermi! Io ti porterò a Tridia in tempo per l'esame di am-
missione e non chiederò altro da te, se non di darmi le informa-
zioni che mi servono per trovare Robert! Accetti? Io ti ho detto
tutto ciò che potevo, ora la scelta è solamente tua».
«Jonathan è morto» mormorò Evander. Con un gesto meccanico
si strinse nel cappotto, per far fronte al freddo rigido che lo av-
volgeva.
«Oggi» aggiunse.
Lo sguardo sconvolto e sorpreso del fratello di Robert gli tolse
ogni dubbio.
Passarono lunghi istanti di silenzio, poi l'uomo dal mantello, dis-
se:
«Vieni con me? Andiamo a Tridia».
Evander annuì. E lo seguì in silenzio.

Triplania- il predestinatoWhere stories live. Discover now