15. I due draghi

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Erano passate ore, ma Jayden ancora non riusciva a smettere di pensare al misterioso biglietto.
E a quello che Allen le aveva detto sullo shuttle.
E anche a quello che era accaduto dopo che era scesa.
Era rimasta piuttosto colpita da quel contadino e, sebbene facesse di tutto per convincersi che non era così, non riusciva in alcun modo nell'intento. Era rimasta affascinata, divertita e ferita in poco più che dieci minuti. Come era potuto succedere?
Jayden scacciò quel pensiero e cercò di concentrarsi su qualcos'altro.
Ma qualsiasi pensiero pescasse nel mucchio non era felice.
Le emozioni di quella giornata erano state tutte negative e troppo forti per venire dimenticate. Prima aveva scoperto che Allen voleva diventare endar, poi aveva incontrato quel contadino che aveva preferito Zora, poi l'amica si era sfogata con lei sulle sue paure più grandi, riportando alla luce anche le sue. E ora non riusciva a smettere di pensare al test di ammissione che si sarebbe tenuto il giorno seguente.
E poi, la storia del biglietto era preoccupante.
Jayden non aveva alcuna intenzione di andare all'incontro con il misterioso mittente: il fatto che qualcuno su quel pianeta sapeva del suo ciondolo e voleva incontrarla nelle stalle dell'accademia le sembrava surreale e, decisamente, angosciante. In più, aveva giurato a Zora che non vi sarebbe andata. Ma era curiosa. Molto curiosa.
Non avrebbe dormito tranquilla fino a che non avesse risolto quel mistero e ciò rischiava di compromettere anche il test di ammissione.
Aveva bisogno di sfogarsi, e l'unico modo di sfogarsi che conosceva era cavalcare il suo cavallo preferito nell'Oasi delle Cascate nel deserto. Ma lì non c'era nessun deserto, lì c'era solo un'immensa, pericolosa, oscura ed affascinante foresta: la Notte Verde.
Aveva desiderato vedere quella foresta da quando aveva solamente cinque anni. E ora che ce l'aveva a pochi metri, non aveva il coraggio di andarci perché scendeva la notte, era sola, e uno sconosciuto era lì ad aspettarla in agguato.
Se avesse chiesto a Zora di accompagnarla, per tutta risposta l'amica la avrebbe chiusa a chiave nella stanza pur di impedirglielo.
Ma l'aria fredda, le fronde scure ed imponenti, la libertà... Erano tutte cose molto allettanti e, sicuramente, l'avrebbero aiutata a distrarsi. Senza contare che avrebbe visto in faccia colui che le aveva inviato il messaggio.
Sapendo di star facendo una cosa pericolosa e stupida, si slanciò fuori dalla sua stanza di corsa in direzione delle stalle prima di avere il tempo di cambiare idea.
Per tutto il tragitto attraverso i lunghi corridoi dell'accademia, continuò a ripetersi: "ormai ci sono, non posso mica tornare indietro".
Passando di fronte alle sale comuni, sentì un chiasso infernale anche attraverso le porte chiuse, e non poté non concedersi un pensiero per il contadino, che probabilmente stava facendo a botte con qualcun altro in una zuffa per qualche stupida scommessa.
Non avrebbe mai voluto essere nei suoi panni.
Perché i maschi dovevano avere la stupida idea che per scacciare l'ansia bisognasse fare baldoria, chiasso e grandi zuffe? Ovviamente, la mattina dell'esame sarebbero stati troppo stanchi per connettere il cervello.
Forse Zora aveva ragione: era difficile che un contadino riuscisse ad entrare a Tridia.
Ma quel pensiero le dispiaceva troppo per indugiarci ancora. Pur di non pensarci, si riscoprì a ripetere: «Che stupido Allen, proprio uno stupido». Cercava di mantenere la mente occupata per non pensare a Evander.
Appena arrivò alle stalle, si accorse che la notte era scesa molto prima di quanto si fosse aspettata. Si diede della stupida: non era più su Amaria. Era proprio strano che fosse riuscita a dimenticarsi di essere su un altro pianeta così in fretta!
Quell'oscurità così repentina e inattesa le fece tornare un profondo senso di malinconia. L'ansia, le emozioni e la stanchezza si fecero sentire e, come sempre le succedeva quando era troppo satura di emozioni contrastanti, le venne da piangere. Le stalle erano immerse nella più totale oscurità, ma gli parve di vedere l'ombra di un ragazzo appoggiata al muro laterale.
«Chi sei?! Si può sapere che vuoi da me?! E come sai dei miei draghi?!» gli disse. Cercò di rendere la propria voce il più ferma possibile, ma non riuscì a nascondere le lacrime.
La risposta che venne la fece sussultare:
«Non so nulla dei tuoi draghi, Jayden» disse il ragazzo, staccandosi dal muro e venendo alla luce.
Jayden aveva riconosciuto la voce prima ancora che Evander fosse comparso sotto ai flebili raggi che filtravano attraverso la tettoia.
Sconcertata e imbarazzata per la figuraccia che aveva appena fatto, esclamò: «Evander!».
Lui la guardò sorpreso: «Ti ricordi il mio nome?!» esclamò.
Il fatto che fosse così sorpreso la mise subito a suo agio. Temeva che lui avesse capito che era rimasta particolarmente scossa dal loro incontro quel pomeriggio e invece si stupiva che riuscisse addirittura a ricordare il suo nome.
«Certo. Tu ricordi il mio, perché io non dovrei ricordare il tuo?» disse, sorridendo.
Evander ricambiò il sorriso, sorpreso. «Se la metti così...» disse:
«Perché parlavi di draghi, prima?».
Imbarazzata, Jayden cercò qualcosa da dire, e le venne in mente solo la verità: «Parlavo del mio ciondolo» disse, tirandolo fuori dal vestito per mostrarglielo.
Evander lo guardò e sorrise: «Meno male ce li hai davvero dei draghi... Ti avevo quasi preso per una pazza. Comunque, quello rosso non è un drago, ma una fenice».
«No, è un drago» disse lei, convinta.
«Ti dico che è una fenice: ha le ali come fiamme. E poi ha tre code: una rossa, una azzurra e una rosa. É proprio così che venivano raffigurate le fenici, un tempo».
Jayden guardò il ciondolo, poi scosse la testa: «Secondo me, è un drago».
«Come vuoi tu» disse Evander sorridendo della sua testardaggine, poi le chiese: «Chi credevi che fossi, prima? Sembravi spaventata».
«Ti avevo scambiato per Allen. E comunque non ero spaventata» mentì lei.
«Allen Kilik? Allora è un tuo amico?» chiese Evander, sorpreso.
«Credevo che lo fosse» disse Jayden, andando a sellare un cavallo.
«Perché? Cos'è accaduto che ti ha fatto cambiare idea?».
«Abbiamo idee troppo diverse...». Evander cercò di buttarla sul ridere, perché vedeva che l'argomento rattristava Jayden: «Questo l'ho notato! Se ci fosse lui, al posto tuo, mi darebbe un pugno invece di rivolgermi la parola».
Jayden rise: «Però anche tu eri pronto a dargliene! Bel coraggio, il tuo: quattro contro uno! Cosa credevi di fare?».
Evander alzò di nuovo le spalle: «Andare a mangiare» disse. «Stavo morendo di fame».
Jayden scoppiò a ridere. «E ora, invece, perché sei qui?».
«A quanto pare, perché ho avuto la tua stessa idea».
«Vuoi dire lasciarsi inghiottire dalla foresta per scaricare lo stress, con tutti che ti cercano preoccupati?».
«Beh, nessuno verrebbe a cercare me».
«Mi... mi dispiace, non avrei dovuto dirlo».
«Perché mai? So perfettamente come stanno le cose. C'è una differenza fra noi, milady. È inutile fingere che non esista».
«Non così inutile» disse Jayden, con un sorriso di cui si vergognò subito.
Lui sorrise del suo imbarazzo. Dopo qualche istante, diventando improvvisamente cupo, disse: «In realtà sono venuto qui per ricordare un amico...». Abbassò gli occhi, in chissà quali pensieri.
Poi, scuotendo il capo come per scacciare un ricordo, si sforzò di tornare allegro ed aggiunse: «E, soprattutto, perché era l'unico posto dove ci fosse silenzio e dove potessi starmene in pace da solo».
«Finché non sono venuta io...».
«Tu non mi hai disturbato. Io parlavo...».
«Della sala comune? Sì, ci sono passata accanto. Ho ancora i timpani rintronati!».
Evander sorrise. Dopo un momento, disse: «Allora, ora me lo puoi dire, di quale nobile sei figlia».
Jayden ricambiò il sorriso: «Te lo dico solo se vieni nella foresta con me».
E, nel dir così, saltò a cavallo.
Evander afferrò le redini in un gesto automatico come per impedirglielo e, guardandola sconcertato, disse: «Volevi davvero andare nella foresta da sola di notte?!».
«Sì».
Evander continuò a guardarla sconcertato, ma non disse ad alta voce quello che stava pensando.
Jayden non aveva bisogno che parlasse, per intuire ciò che avrebbe detto: «Mi credi fuori di testa, o pensi che non sono stata correttamente informata sul pericolo a cui potrei andare incontro?».
«Tu sei abituata al deserto. Le foreste di Veradria sono piene di insidie. E, se non le si conosce, non si riesce a trovare la strada per tornare indietro».
«Lo so. So perfettamente quanto sono pericolose. Ho anche una bussola. E ti assicuro che per perdere l'orientamento niente è meglio del deserto edresiano! E ci andrò lo stesso, in quella foresta, qualunque cosa tu possa dire».
«Ma io non posso permetterlo».
«Perché no?».
Evander stette un secondo in silenzio. Poi affermò: «Ma è ovvio: non potrei sopportare che ti accadesse qualcosa sapendo che potevo impedirlo».
«E come pensi di impedirmelo?».
«Impedendoti di andare nella foresta».
«Dimentichi che sono già a cavallo».
«Dimentichi che io tengo ancora le redini».
Jayden scoppiò a ridere: «Non credo tu sia abbastanza forte per trattenere il cavallo».
«Mi stai mettendo alla prova?».
«No. Ma ci tengo davvero ad andare in quella foresta».
«Ma per quale motivo, maledizione?!» esclamò Evander che incominciava a preoccuparsi seriamente.
A Jayden fece piacere quell'interessamento.
Ma non aveva intenzione di cedere. Ormai, era diventata una sfida.
«E se, invece, venissi con me?» chiese.
«Non sono così pazzo» rispose Evander.
La risposta non piacque a Jayden, che disse: «Ebbene, allora buonanotte». Diede un colpo di tacco per girare il cavallo, pronta a lanciarlo al galoppo per vedere se Evander avrebbe davvero tentato di trattenerla.
Evander parve preoccupato e Jayden vide che stringeva più forte le redini.
Dopo un secondo, lui disse: «Va bene, verrò con te. Aspetta qui e non ti muovere!».
«È un ordine?» disse Jayden divertita.
«Una richiesta!» rispose Evander, serio.
Evander tornò pochi secondi dopo a cavallo e, senza dire una parola, precedette Jayden nella foresta.
Dopo un po', stanca del silenzio, Jayden disse: «Credevo che fossi più coraggioso, quando ti ho visto affrontare quei quattro».
Punto sul vivo, Evander ribatté: «E cosa credi che possa fare io contro un branco di lupi?». Poi abbassò lo sguardo mormorando: "la stessa fortuna non può capitare due volte".
Ma ad alta voce disse: «Almeno con quei quattro avevo una possibilità, ma contro i lupi è un'altra cosa. È evidente che non ci sono lupi nel tuo deserto».
«Se vuoi puoi tornare indietro» rispose lei offesa.
«Ovviamente no» rispose secco Evander.
Dopo un po', però, cercò di far passare la rabbia e provò a scherzare: «Se anche non finiamo sbranati, tuo padre mi farà senza dubbio impiccare per non avertelo impedito».
«Mio padre odia le impiccagioni. Lo sapevi che è stato il principe Vlastamir a renderle legali e che l'imperatore non ha potuto impedirglielo?» disse Jayden, in tono di conversazione.
Evander parve un po' sorpreso: «L'imperatore che non può fare nulla contro il suo stesso figlio? Perché?».
«Come sarebbe "perché"? Ma da che galassia vieni? Qui è Vlastamir che decide ogni cosa, e l'imperatore non può fare un accidenti di niente contro di lui: gli endar sono tutti al servizio di Vlastamir. E nessuno si mette mai contro un Endar!» esclamò Jayden sconcertata, dalla sua ignoranza in politica.
«Ma Leandros è ancora l'imperatore...» esclamò Evander poco convinto.
«Sì, ma malato e pazzo. Nessuno lo ascolta più».
«Pazzo?!».
«Certo! Pazzo! Sul serio, Evander, va bene che sei figlio di un contadino, ma nulla giustifica la tua ignoranza in politica! Detesto chi non si interessa di politica: è come leggere un libro e non sapere chi l'ha scritto! Anzi, è anche peggio! È come vivere in una città e non saperne il nome! È come...».
«Va bene, va bene! Ho capito».
Dopo un po', Jayden rispose: «Sai, io non ho mai visto una foresta in vita mia».
Evander la guardò senza sorridere, e chiese: «E ti piace?».
«Tantissimo» rispose Jayden ricambiando lo sguardo.
Evander distolse il suo e rimase un momento in silenzio.
«Io non ho mai visto il deserto» disse dopo un po'. «Ma sono certo che mi piacerebbe».
«Eppure i tuoi genitori devono essere nati nella capitale».
«Come lo sai?!» esclamò Evander voltandosi.
Jayden, sorpresa del suo tono agitato, disse: «Non... non lo so.
Ma tu hai gli occhi e i capelli neri, la pelle scura che hanno solo quelli che hanno nei geni il sole rosso di Edresia... e poi sei molto alto... quelli di qui sono tutti bassi e biondicci. Mi chiedevo come abbiano fatto i tuoi genitori ad ottenere il permesso di lasciare Amaria, è così difficile ormai...».
«Hai ragione, ma forse erano i miei nonni e non i miei genitori ad essere espatriati. Allora c'erano meno restrizioni».
«Come sarebbe a dire "forse"? Non lo sai?!».
«No, non lo so. Sono un orfano».
«Oh, mi dispiace!».
«Sono stato adottato da una coppia di contadini quando sono nato e ho sempre vissuto al limitare esterno. Per quanto ne so, i miei genitori potrebbero non essere mai stati ad Edresia».
«Sei davvero un orfano?! Ma è terribile!».
«Non lo è. I miei genitori sono coloro che mi hanno cresciuto».
«Ma non ne sembri molto convinto».
«Lo sono, invece, è solo che avrei voluto...».
«Che cosa? Puoi dirmelo. Io... credo di poter comprendere».
«Mi hanno sempre trattato con troppo rispetto».
«Con troppo rispetto?».
«Come tratteresti il figlio di qualcun altro».
«Mi dispiace».
«Non importa più, ormai. Io sono grato per quello che mi hanno dato prima di morire».
«Sono morti?! Entrambi? Non hai più nemmeno loro? Nessun fratello? Né sorelle? Ma quando sono morti?».
Evander sorrise per quella raffica di domande. Poi, ricordandosi l'argomento, tornò serio.
«Sì, sono morti. Mia madre ormai da due anni. E non ho fratelli né sorelle».
«E anche tuo padre è morto? Quando?! Come?!».
«Oggi».
«Oggi!».
«A mezzogiorno».
«A mezzogiorno?!».
«Di malattia».
«Oh, mio dio! Ma è terribile».
«Sì, lo è».
«E tu eri presente? Lo hai visto morire?».
«Sì. Ma ora basta parlare di questo. Ho già abbastanza incubi su questa storia senza alimentarli parlandone con una sconosciuta nel cuore di una foresta la notte prima dell'esame di
ammissione».
«Come vuoi... ma mi dispiace molto. Io sono orfana per metà. Non ho mai conosciuto mia madre».
«Come è morta?».
«Dandomi alla luce».
«Anche la tua?!» esclamò Evander, sorpreso.
«Perché dici "anche"?».
«Non so... io non...».
«Lo so io, cosa intendevi. Intendevi come Cassarah, vero?».
Evander non rispose.
«Sono morte lo stesso giorno. Mia madre all'alba dando alla luce me e l'imperatrice Cassarah al tramonto, dando alla luce il principe Alekym».
Evander fermò improvvisamente il cavallo, voltandosi lentamente verso Jayden, con espressione attonita.
Jayden lo guardò sorpresa e gridò: «Cosa c'è? Sembri sconvolto! Perché ti sei fermato? Hai visto dei lupi? Oh, no!».
E si portò una mano alla bocca, terrorizzata.
«No... non ho visto...» disse Evander, scuotendo la testa. «Non ho visto alcun lupo».
Jayden tirò un sospiro di sollievo, poi lo guardò arrabbiata: «Stupido! Mi avevi spaventata a morte!».
«Tua madre era Lady Shal?» chiese Evander interrompendola.
«Che cosa...?».
«Tua madre era Lady Ester Shal?» continuò imperterrito Evander, sempre guardandola con espressione stupefatta.
«Sì, è lei».
«Tu quindi sei Lady Shal?!».
«Sì. Jayden Ester Shal, per la precisione» disse Jayden. Poi sbuffò e lasciò cadere la testa all'indietro: «Lo so, a cosa stai pensando» disse, come se stesse ripetendo un solfa già sentita un migliaio di volte. «Che fra dieci anni potrei essere la futura imperatrice e che quindi ora stai parlando con me senza...».
«No» la interruppe Evander. «Non sto affatto pensando questo.
Te l'assicuro».
Jayden parve sorpresa. «Strano, di solito tutti pensano così, quando gli dico chi sono. Incominciano a chinare il capo e fare un passo indietro e a scusarsi per aver pensato di poter diventare miei amici. Assurdo! Se non stai pensando queste cose... Beh, allora sei il primo!».
«Tu sei la ragazza della profezia?».
«Ah!» disse Jayden, ancora più amareggiata. «Peggio di quello che pensavo. Tu sei uno di quelli che crede nella profezia, e che magari mi vede come una specie di dio sceso in terra. Un altro fuori di testa. Perfetto. E io che credevo che tu fossi diverso...».
«No, Jayden, io... io non credo nella profezia».
«Non ci credi?!» Jayden lo guardò socchiudendo gli occhi, indecisa se credergli.
«No, per niente» dichiarò lui.
«E allora perché mi guardi così? Vuoi tornare indietro, vero? Hai paura di me, per caso?».
«No, io... non ho paura di te, ma vorrei tornare indietro, se per te va bene».
«Lo sapevo. Sei come tutti gli altri. E domani ti inchinerai di fronte a me e mi darai del voi. Come tutti gli altri».
«No. Non mi inchinerò».
«Io credevo che...» Jayden si bloccò, perché era vicina alle lacrime e non voleva farsi vedere a piangere da lui.
«Mi dispiace, Jayden... è solo che non me l'aspettavo!».
«Non ti scusare, ci sono abituata».
Evander, colpito da quelle lacrime, le disse: «No, Jayden, cerca di capire... non capita tutti i giorni a quelli come me di incontrare la futura imperatrice... non in una foresta in piena notte, poi!».
«Certo, capisco che tu possa essere imbarazzato. Ma allora perché non lo eri con Zora?».
«Lo ero eccome!».
«Lo eri? Non mi è sembrato affatto».
«Neanche le future imperatrici sono infallibili».
Jayden cercò di mantenersi seria e, invece, a quelle parole, sorrise.
«Te l'assicuro, Jayden» disse Evander: «Domani sarà proprio come stasera. Anzi, come prima che mi dicessi chi sei! Promesso!».
«Promesso?».
«Sì, te lo prometto. Ma ora torniamo indietro».
«Ok, torniamo indietro, mi sta venendo un po' di paura, ora. E lo stress è del tutto scomparso».
«Sì, lo stress è scomparso anche per me» disse Evander, guardando fisso davanti a sé con una strana espressione, cupa e preoccupata.
Non sembrerebbe affatto che lo stress gli sia passato, pensò Jayden guardandolo.
Per parecchi minuti, i due ragazzi proseguirono uno a fianco all'altro nel più completo silenzio. A Jayden stava incominciando a venir paura, ora che non c'era più la voce di Evander a distrarla dai rumori della foresta. Ogni tanto gli lanciava un'occhiata veloce per capire cosa gli fosse preso e per cercare il momento giusto per attaccare di nuovo una conversazione. Ma tutte le volte, vedendo il suo sguardo intento e turbato, le mancavano le parole.
Dopo un po', disse: «Vorrei che non mi chiamassi più milady».
Evander, perso nei suoi pensieri, a quelle parole sussultò.
«Certo» rispose, soprappensiero.
«Altrimenti avrei l'impressione che la tua promessa di fare come se niente fosse sia falsa».
«Ma non lo è».
«Lo sembra».
«Va bene, Jayden. Non ti chiamerò più milady».
«E non piomberai di nuovo nel più assoluto silenzio, per la paura di dire qualcosa che non mi vada bene».
Evander sorrise: «Se sto zitto, non è certo per questo!».
«Ah, meno male. Allora, voglio una prova».
«Una prova in che senso?».
«Una prova che non hai paura di dirmi qualcosa che non mi vada bene».
«Ok, allora... perché sei amica di uno come Allen Kilik?».
«Questa non è una prova, è una domanda».
«No, è una prova».
«No. Non lo è. Ma non importa. Tu non lo conosci, è migliore di quello che sembra».
«Ma stavi piangendo per lui».
«Non stavo piangendo per lui!».
«Sì, invece. Quando sei entrata nelle scuderie, tu stavi piangendo. E piangevi per Allen Kilik».
«E a te cosa importa?».
«Visto che con lui ho già un conto in sospeso, incomincio a credere che il conto potrebbe salire».
«Non mi ha fatto nulla perché tu lo debba prenderlo a pugni».
«E allora perché piangevi?».
«Ma non piangevo!».
«E allora perché non piangevi?» disse Evander sorridendo della sua testardaggine.
«Perché mi ha detto che avrebbe voluto diventare un endar».
Evander non rispose.
«Che c'è? Non rispondi?» gli chiese Jayden.
«No, è che stavo pensando».
«A cosa?».
«Che, se avessero scelto me, mi sarei tolto la vita prima di arrivare anche solamente in vista della Fortezza di Confine».
La stima di Jayden per lui salì alle stelle a sentire quelle parole, e mormorò: «Finalmente un ragazzo con un po' di cervello».
Evander la guardò sorpreso, poi sorrise. Dopo un po', disse:
«Non val la pena di piangere per uno che vuol diventare endar».
«Infatti, non piangevo».
Evander sorrise, indulgente.
Erano arrivati alle scuderie, sani e salvi nonostante le fondate
paure di Evander. E, nel vedere l'accademia, con le sue alte finestre ad arco e i suoi rampicanti, furono presi dall'ansia dell'esame. Entrambi per diverse ragioni puntavano tutto il loro futuro sulla riuscita di quel test. Ma Jayden, a differenza di Evander, ora aveva un'altra persona per cui preoccuparsi.
Lui si accorse della sua ansia e, nel salutarla, le augurò buona fortuna: «Stai tranquilla, lo passerai di certo!».
«Non... non era per quello» disse Jayden, evitando il suo sguardo, imbarazzata. Non era per sé, che era preoccupata.
«E allora per cosa?» chiese Evander, senza capire.
«Promettimi che lo passerai anche tu!» esclamò Jayden.
Le parole di Zora le avevano continuato a vorticare in testa per tutta la serata: «Tanto non credo che lo rivedremo mai più perché sono in pochi i contadini che riescono a passare l'esame».
Ora quelle parole avevano molto più significato di quando le aveva sentite per la prima volta perché il pensiero di non vedere più Evander era diventato più preoccupante.
Apparentemente infastidito, lui disse: «Io farò del mio meglio. Questo è tutto quanto posso fare».
Jayden annuì e, non riuscendo a rispondere con parole articolate, lo salutò con un cenno della mano e se ne andò di corsa nella sua stanza.
Dopo essere entrata, chiuse la porta e vi si appoggiò con un sorriso estatico.
Non si era resa conto di non essere sola nella stanza. Zora, vedendola, le venne incontro con espressione preoccupata: «Ma dove eri finita?!» le disse: «É tutta la sera che ti cerco! Incominciavo a preoccuparmi!».
«Oh, Zora, non ci crederai mai!» le disse Jayden, abbracciando l'amica, senza nascondere il sorriso.
«Che cosa ti è successo di così elettrizzante?» chiese Zora.
«Temo proprio di essermi innamorata» le disse Jayden.
Zora intuì in un lampo ciò che c'era dietro quelle parole. Ma non riuscì a sorridere.
«Evander!» mormorò.
Jayden la guardò sorpresa. «Sì!» disse: «Ma come hai fatto a capirlo?».
«Jayden, senti, devo metterti in guardia» le disse Zora, ignorando
la sua domanda.
«Perché?! Da cosa?».
«Lo sai che ci sono poche probabilità che passi il test di ammissione, vero?».
«Perché continui a ripeterlo!?» esclamò Jayden arrabbiata.
«Devo farlo, prima che tu perda completamente la testa. Appartenete a due mondi troppo diversi. Non sarà una cosa semplice».
«Non mi importa!» disse Jayden, quasi gridando: «Sono stufa di dover pensare sempre al futuro! Voglio pensare un po' anche a me, adesso! E non mi importa se è un contadino, non l'ho mica deciso io di essere la futura imperatrice!».
«Io non ho nulla contro di lui. Non è lui il problema. Il problema è il mondo attorno a voi».
«Che il mondo si faccia gli affari suoi, per una volta!».

Triplania- il predestinatoWhere stories live. Discover now