9. La profezia

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Jonathan morì una mattina, il 4 del Mese delle Piogge, un anno e mezzo dopo la morte di Constance, esalando il suo ultimo respiro fra le braccia di Evander, che non aveva potuto far altro che assistere inerme.

Senza Jonathan, Evander era completamente solo.

Solo, in una città di malviventi, in una casa priva di alcun agio e, per finire, con una cultura straordinaria, fraintesa e odiata datutti coloro che gli stavano attorno e che gli provocava un'insaziabile curiosità verso tutto ciò che ancora non conosceva e che fino ad allora gli era stato negato, ovvero un mondo ignoto chiuso fuori da quella città che costituiva solo un piccolo nodo nella rete dell'universo.

In tutta la sua vita, Evander aveva visto soltanto un piccolo villaggio di contadini, una caotica città di mercanti e una frazione della periferia di Tridia, il giorno in cui era andato a vedere il triste e fatidico torneo d'arco durante il quale Reymond era stato portato via.

Ora desiderava di più.

Non aveva potuto viaggiare, perché non poteva permetterselo.

Ad Eythien, il lavoro nei campi era stato da sempre l'unica fonte
di guadagno della sua famiglia e li aveva impegnati tutto il giorno senza tregua, tranne quando non studiavano. E a Porto Grande, Evander riusciva appena a sopravvivere con il suo basso stipendio.

Se Jonathan non fosse spirato, lasciandolo completamente solo e libero da alcun legame che lo potesse ancora trattenere in quel luogo, forse Evander sarebbe rimasto in quella città ancora a lungo. Ma la morte di Jonathan aveva allargato i suoi confini, sfondato le pareti del suo mondo, lasciato intravedere un nuovo futuro, verso l'infinito mondo di fuori.
Per tutti i ragazzi prima o poi arriva il momento in cui si sentono infinitamente potenti di fronte a un destino infinitamente grande, soprattutto all'età di quindici anni, quando per la prima volta si affaccia alla mente la domanda: «Che cosa vuoi fare della tua vita?».
Questa domanda ti giunge da un mondo infinito, sconosciuto e ostile, proprio quando tu senti che qualcosa dentro di te sta crescendo e modificandosi senza il tuo controllo.
Chi e che cosa diventerai, ora che sei il vero e unico padrone del tuo futuro?
Il rito di iniziazione, solitamente, comincia con la scelta di una scuola in cui formarsi per dare inizio al proprio destino.
Ma ci sono persone che non hanno neppure questa scelta, e che sentono il loro infinito chiudersi entro i confini di una piccola cittadina al limitare esterno di un universo che mai conosceranno e che mai li conoscerà.
Evander credeva di essere uno di questi.

O, almeno, lo aveva creduto fino a pochi istanti prima, quando tutto il suo mondo, tutte le sue credenze e tutte le sue convinzioni erano crollate insieme a colui che gli aveva fatto da padre e da maestro, e che era spirato di fronte ai suoi occhi di ragazzo.
«Evander...».
Quel nome non gli era mai sembrato tanto suo quanto in quel momento, pronunciato a fatica da quella voce familiare.
Ma il senso di proprietà che credeva di poter vantare su quelle poche sillabe fu subito distrutto dalla rinnovata consapevolezza che quello non era affatto il suo nome.
Il suo nome era Alekym.
Nome odioso ed estraneo.
Il popolo lo chiamava: "luce nelle tenebre".
Jonathan non aveva mai affrontato quel discorso apertamente con lui: non aveva mai pronunciato ad alta voce quel nome fino a quel momento, pochi istanti prima della fine.
«No! Padre, ti prego, non parlare! Devi riposare!» gridò il ragazzo, provocando una nuova fitta di sofferenza al maestro, che cercava invano di attirare la sua attenzione.
«No, Evander, io non sono tuo padre».
Ma Evander non voleva essere la "luce nelle tenebre": voleva che qualcun altro fosse la sua luce, voleva che le sue tenebre fossero rischiarate da qualcuno più potente, più forte, più grande. Qualcuno come colui che proprio in quel momento lo stava abbandonando per sempre.
«Tu sei il principe scomparso».
Evander aveva dovuto trattenere un'altra esclamazione di rifiuto, temendo di mancare di rispetto al suo maestro, e di affrettare il suo ultimo respiro.
«Ascoltami, Evander! Promettimi che farai di tutto per riguadagnare il tuo trono!» continuava a ripetere Jonathan.
«Padre! Non parlare, non ce n'è bisogno!» rispondeva Evander, scuotendo la testa con forza.
«Lasciami parlare, ragazzo! Ho poco tempo!».
«No! Il tempo ci sarà, vedrai... Ci sarà tutto il...».
«E invece no, Evander! Non ci sarà. Quindi tu devi lasciarmi parlare. Quello che devo dirti è di fondamentale importanza per tutti!».
«Va bene. Va bene, ti sto ascoltando» rispose il ragazzo, per non agitarlo.
«Mi stai ascoltando?».
«Sì, sì. Certo» disse Evander, che non lo voleva ascoltare affatto e che si sarebbe tappato entrambe le orecchie con le mani pur di non dover mai sentire quelle parole.
«La profezia è vera! Io l'ho udita dalle labbra di tua madre, la tua vera madre, prima che morisse».
Quelle parole erano del tutto nuove per lui. Non era sicuro di averne afferrato il significato.
Ma la stanza aveva incominciato a girargli attorno, il soffitto si era smaterializzato in un istante, le pareti sembravano sfondarsi per lasciare intravedere una galassia di stelle, di pianeti, di satelliti, di astronavi, di supernove. Questa visione aveva il profumo di un immenso potere e il gusto di un'immensa impotenza. Evander la rifiutò con rabbia: quell'infinito era troppo grande, se sommato a quello che già sentiva scoppiargli dentro prima dell'odiosa rivelazione. Il suo corpo faceva già fatica a contenere un infinito: due sarebbero stati troppi.
Tuttavia, non disse niente. Chiuse i pugni e strinse le labbra per impedirsi di gridare che: "Non era vero! Non poteva esserlo! Lui era solo Evander! Evander, e nessun altro!".
«Promettimelo, Evander! Promettimi che tornerai a riprenderti il trono e libererai il mondo dal dominio degli endar... Promettimelo! Lascia che io muoia in pace...».
Evander fu costretto a concedergli ciò che quell'uomo a cui doveva tutto gli implorava in punto di morte: «Lo prometto» sussurrò, chiudendo gli occhi.
Ed appena lui chiuse gli occhi, Jonathan spirò.

Triplania- il predestinatoWhere stories live. Discover now