CAPITOLO IX

2.8K 171 3
                                    

Appena fui lasciata sola nella mia nuova cabina, mi chiusi dentro a chiave. Il signor Dinnington che, da quanto avevo capito, doveva essere il quartiermastro, mi era sembrato assai cortese, o perlomeno non aveva quei modi rozzi e incivili che tanto caratterizzavano il resto della ciurma. Non mi rivolse granché la parola, ma si assicurò che non mi mancasse nulla prima di lasciarmi sola. Aveva recuperato dai miei vecchi alloggi i miei vestiti e li aveva gentilmente riposti nel baule. Mi soffermai per un attimo a fissare fuori dall'oblò. L'acqua scorreva liscia come l'olio e il sole brillava alto nel cielo azzurro. Era una giornata torrida; le assi della Galatea scricchiolavano di tanto in tanto. Da qualche parte, lì nell'orizzonte, vi era Charlestown e la mia famiglia. Non potevano men che meno immaginare in che guai mi ero cacciata. Ma forse era meglio così. Lo avrebbero saputo nel giorno in cui tutto si sarebbe risolto. O almeno così speravo.

La cabina aveva due stanze: la camera da letto e il bagno, dove vi era un catino ricolmo d'acqua pulita. Mi spogliai e accantonai i vestiti lerci. Presi una spugna e me la grattai forte su tutto il corpo. Non mi ero mai sentita così sporca in vita mia. La saponetta che usavo profumava di lavanda e ben presto quella fragranza inondò l'alloggio, sovrastando il maleodorante odore di sudore e urina che avevo addosso. Quando vestii abiti puliti e mi sentii finalmente bene con me stessa, mi gettai sul letto.

Ero intrappolata su quella nave, adesso. E chissà cosa mi avrebbero fatto quelle persone se i miei genitori si fossero rifiutati di pagare il riscatto.

Sarei morta.

Sospirai. No, la mia era solo una visione pessimista. Non dovevo preoccuparmi. Mio padre avrebbe fatto tutto il necessario per ridarmi la libertà. Mi daranno la colpa? Saranno delusi da me? Mi punteranno il dito contro, accusandomi di essere la causa della loro disgrazia? Erano in grado di farlo? No, certo che no. A mia madre non sarebbe importato niente dei soldi e neppure a mio padre. Egli era nato povero e avrebbe pensato che così come aveva fatto fortuna una volta poteva farla di nuovo.

«Signorina!»

Schiusi gli occhi. La prima cosa che vidi era l'oblò sopra il letto. Il cielo si stava facendo scuro e stavano comparendo le prime stelle della sera. Qualcuno bussava alla mia porta.

«Signorina, aprite», ripeté la voce.

Mi ero addormentata.

Mi sollevai con fatica e mi diressi verso la porta. L'uomo di fuori continuava a battere, senza tregua.

«Cosa volete?» chiesi, a disagio e con molta insicurezza nella voce.

«Il Capitano mi ha mandato a chiamarvi. Dice che dovete cenare con lei.»

«Io non esco», replicai. «Ditele che non ho alcuna intenzione di uscire da qui.»

«Il Capitano si immaginava che avreste potuto rispondere in questo modo, perciò mi ha detto di dirvi che se rifiutate di obbedirle non mangerete per il resto della settimana.»

La minaccia mi spaventò. Sebbene avessi sopportato la fame abbastanza bene, l'idea di passare ancora qualche giorno senza buttar giù nulla mi incupì. Il mio corpo necessitava di cibo, lo potevo sentire chiaramente.

Feci scattare la serratura e schiusi la porta, lentamente. Un uomo alto, dalle spalle larghe e la pelle scura come il carbone mi squadrò da capo a piedi, i suoi folti capelli ricci gli cadevano sugli occhi. Era un uomo tarchiato. Le sue guance scavate erano segnate da varie cicatrici, alcune più profonde di altre.

Uno schiavo...?

Deglutii. «Conosco la strada verso l'alloggio del Capitano, non c'è bisogno che mi accompagniate.»

«Il Capitano insiste che lo faccia», rispose lui.

Uscii, richiudendomi la porta alle spalle. Seguii l'uomo fino alla cabina del Capitano, senza proferire parola. Trovai Arenis seduta dietro il tavolo accuratamente addobbato per la cena. Varie pietanze erano poste al centro e aspettavano soltanto di essere assaggiate.

«Grazie, Naade, puoi andare ora», disse il Capitano, rivolta all'uomo che mi aveva scortata fino a lì. Quando egli ci lasciò, la donna si voltò verso di me e mi osservò: «Be', ammetto che ora sembrate più consona all'etichetta rispetto a qualche ora fa. Vi sentite meglio?»

Non risposi.

«Su, venite a sedere.»

Feci qualche passo in avanti, raggiungendo la sedia più lontana da lei.

«Avete intenzione di convincermi sempre con le minacce?» sbottai, freddamente.

Ella sorrise, gentilmente, capendo immediatamente a cosa mi riferissi. «Be', sì. Sapevo che l'idea di farvi affamare non vi sarebbe piaciuta tanto.»

«Prima o poi le minacce smetteranno di funzionare», affermai.

«Non credo, fino ad ora non mi hanno mai deluso.»

Lanciai un'occhiata al cibo, piena di bramosia. Brodo di pollo, carne, patate e qualche verdura cotta.

«Del vino?» chiese il Capitano.

«Non bevo.»

«Oh, ma davvero? E perché mai?»

«Annebbia i pensieri.»

«Mi sembra quasi un affronto rifiutare un vino tanto pregiato. Ha un aroma straordinario, una fragranza davvero intensa. È stato rubato direttamente dalle stive di una nave francese.»

Detto ciò, Arenis si alzò. Mi mise dinanzi del brodo, una fetta di pane nero, una piccola porzione di verdure e un pezzetto di carne. «Questo basta per ora. Mangiate.»

«Perché lo razionate?»

«Il vostro aspetto sciupato indica gravi segni di denutrizione. Penso proprio che voi soffriate di mal di mare, signorina Adler, e avete avuto la cattiva idea di astenervi temporaneamente dal cibo. Dovete mangiare, ma non è bene esagerare dopo essere stata a digiuno così tanto tempo.»

«Perché vi importa?» chiesi ancora.

«Perché non dovrebbe? Siete la mia gallina dalle uova d'oro. Il vostro benessere è fondamentale per me.»

Sbuffai, irritata. Affondai il cucchiaio nel brodo e incominciai a mangiare. Non appena il cibo sfiorò le mie labbra, mi resi conto di quanta fame avessi. Mangiai con foga, ingoiando la carne non ancora del tutto masticata, rischiando quasi di strozzarmi. Il mio stomaco sembrava una voragine senza fine. Non si sarebbe saziato facilmente. Infatti, appena terminai tutto ciò Arenis mi aveva dato, sentii di volerne ancora. Guardai i vassoi e feci per prendere dell'altra carne, ma Arenis mi trattenne con un ferreo «No».

Irritata, la guardai. Quella donna aveva un'innata abilità per farmi innervosire. Abbassai lo sguardo sul mio piatto vuoto, come se il cibo potesse apparire da solo dinanzi a me.

«D'accordo», sibilai. «Posso ritornare nel mio alloggio, adesso?»

Arenis mi scrutò e, con mia sorpresa, annuì. «Andate.»

Mi alzai dalla sedia e mi diressi a larghi passi verso la porta, senza voltarmi indietro. 

Il Tesoro del MareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora