CAPITOLO VI

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La mattina seguente mi svegliai presto. Svolsi i miei soliti passatempi: leggevo, cucivo e mi facevo il bucato. Di solito non ero abituata a lavarmi i vestiti -compito che avevo sempre riservato alle serve-, ma considerando tutto ciò che Mary mi aveva detto sulla pulizia, fui costretta ad imparare. Avevo le braccia indolenzite e le mani secche a causa della lisciva. Non mi capacitavo all'idea che le lavandaie svolgessero un lavoro tanto duro, sia d'estate che d'inverno, con l'acqua sempre ghiacciata. Io mi sfiancavo già a lavare solo le mie sottovesti, figuriamoci tutto il resto.

Avevo deciso di scrivere un diario di viaggio, quindi dopo aver fatto colazione mi mettevo dietro la scrivania e intingevo la penna nel calamaio, la fronte corrugata per la concentrazione. Mi piaceva starmene lì, con l'inchiostro che mi macchiava le dita, a scrivere tutto ciò che mi accadeva. Avevo appuntato i miei pensieri, avevo descritto tutto l'equipaggio, avevo buttato giù le varie storie marinaresche che avevo imparato dal signor Phillips, e naturalmente, continuavo a scrivere della voglia irresistibile di concludere quel viaggio e di rivedere la mia famiglia.

A mattina inoltrata uscii sul ponte, desiderosa di sgranchirmi le gambe e fare una passeggiata. Respirai a fondo, assaporando l'aria salmastra. I marinai erano al lavoro, qualcuno però se ne stava appisolato con la schiena poggiata sulla balaustra, con il cappello sceso sugli occhi. Era una mattinata tranquilla e mi godetti quelle ore miti prima che facesse troppo caldo. Non ero abituata a quelle giornate perennemente soleggiate. Il tempo umido e nuvoloso di Londra si faceva desiderare in quelle giornate così afose.

Quella sera, mentre ero intenta a leggere un libro, sentii la nave agitarsi più del solito. Pensai che fosse normale, probabilmente era solo stata un'onda più grossa delle altre, ma poi la situazione peggiorò. La Galatea cominciò a muoversi pericolosamente e dovetti tenermi sulla sedia, presa da una folle paura. Guardai fuori dalle finestre e mi resi conto che pioveva a dirotto e il mare era in tempesta, mosso e scuro come la pece. Mi alzai e mi diressi verso l'uscita, sorreggendomi sulle pareti della mia cabina. Fuori regnava il caos. I marinai si affrettavano ad ammainare le vele e a legare tutto con corde e lacci. Salii sul ponte di comando, sostenendomi sulla balaustra.

«Signorina Adler, ritornate nelle vostre stanze!» urlò il Capitano non appena mi scorse. Era affannato a governare il timone.

«Non potete evitare la tempesta?» chiesi, ignorando deliberatamente il suo ordine.

«No, è troppo tardi», rispose lui, seccato. «Ritornate nelle vostre stanze e restateci. Non è sicuro qui fuori, le onde saranno sempre più alte!»

«Ce la caveremo, vero?»

«Certamente! Non sono un inetto! Ho superato tempeste ben peggiori di questa! Ora andate nei vostri alloggi e non uscite!»

Quindi obbedii. Ritornata nella mia cabina, mi recai nel bagno, sentendo la nausea salire sempre di più. Abbattuta all'idea di stare male nuovamente, afferrai il secchiello da sotto il lavabo e lo misi dinanzi a me. Feci dei respiri profondi, chiudendo gli occhi. La nave sotto di me si muoveva così tanto che dovevo tenermi sul lavabo per non scivolare dall'altra parte della stanza.

Per favore, Signore, per favore, fa che la tempesta non sia tanto terribile, pregai. Probabilmente la mia preghiera ebbe effetto, perché il mare non si agitò più di così. Stetti male comunque, tuttavia. Vomitai gran parte della notte.

Poco dopo l'alba entrò il signor Phillips. Mi trovò in bagno, per terra, completamente sfinita. La tempesta era cessata da un pezzo, ma il malessere persisteva. Lui si preoccupò di svuotare i secchi in mare e di portarmi dell'acqua fresca. Mi concesse di bere e di darmi una ripulita. Non disse niente, ebbe solo pietà di me. Mentre ero intenta a indossare abiti puliti, udii la sentinella cacciare un urlo agghiacciante. Presi un colpo così terribile che sobbalzai dallo spavento. Uscii dal bagno e vidi il signor Phillips allarmato quanto me.

«Che cosa succede, ora?» chiesi, confusa.

Lui non mi rispose; non lo sapeva. Uscimmo insieme e ci guardammo attorno. La campanella suonava, insistente. I marinai si affrettavano tutti a salire sul ponte, col cuore in gola. Mi guardai attorno, cercando di individuare la causa di tutto quello scompiglio. E fu in quel momento che la vidi. Una nave, proprio dietro di noi. Il signor Phillips si irrigidì di colpo.

«Pirati», mormorò.

Corrugai la fronte, con il cuore che mi pompava all'impazzata. «...cosa?»

I marinai erano tutti all'erta. Avevano tirato fuori le armi e il signor Phillips si affrettò immediatamente a procurarsene una. Un colpo di cannone mi fece sobbalzare. Proveniva da sottocoperta, dalla nostra nave. Il colpo andò a segno e alcuni marinai esultarono di gusto, alzando le spade in aria. Ne susseguirono altri colpi. A quanto pareva la nave pirata non contraccambiava e questo fatto diede maggior sicurezza all'equipaggio. Continuava tuttavia ad avvicinarsi, sebbene continuassimo a cannonarla.

«Signorina Adler, ora dovete venire con me.»

«No... no.»

«Andiamo.» Lui mi prese per un polso e mi portò sottocoperta, veloce. Non riuscivo a stargli dietro; inciampavo maldestramente nelle mie gonne. Mentre correvamo, la paura continuò a crescere dentro di me. Non ne avevo mai avuto così tanta.

«Cercate di stare calma, signorina Adler. Combatteremo, con tutte le nostre forze. Ve lo prometto. Siamo un equipaggio preparato per ogni situazione. Spediremo quei farabutti dritti all'inferno, dove meritano di stare.»

«Ma se...?»

«No, evitante certe domande.»

Non voleva dirmelo. L'alternativa era troppo terribile da immaginare. Che cosa ne avrebbero fatto di noi se avessimo perso? Che cosa ne avrebbero fatto di me? Rabbrividii più volte, sentendo il cuore stringersi in una morsa di orrore. Non poteva finire così...

«Mi violenteranno, vero? E quando avranno finito con me mi getteranno in mare, come un mero oggetto, persino peggio di una bestia.»

Lui rimase in silenzio e guardò altrove. Incominciai a respirare a fatica. Stavo andando in iperventilazione. Portai una mano sul petto e mi chinai in avanti. Non c'era aria lì dentro.

«Cercate di calmarvi, vi prego! Ora vi nasconderete.»

Annuii, non vedendo alternative. Mi portò in uno sgabuzzino ben nascosto alla vista. Aprì la piccola porticina e mi invitò ad entrare. «Coraggio, non abbiate timore.»

Entrai. La stanza puzzava di muffa e stantio. Prima che il signor Phillips chiudesse la porta, lo trattenni. «Non mi abbandonerete, vero? Ritornerete?»

«State tranquilla», parlò lui.

«A presto, allora», feci, speranzosa.

«A presto, signorina Adler.»

Quando mi ritrovai chiusa lì dentro venni assalita dal panico. Era troppo stretto e troppo buio. Non c'erano spiragli di luce e non vedevo assolutamente niente. Quel buio così denso e pesante mi terrorizzava. Il lato peggiore di tutta quella situazione però era che non udivo niente. Ero troppo in basso per udire i rumori della battaglia e delle grida. Mi sedetti per terra, afferrandomi le ginocchia e portandomele al petto. 

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