14. Finché batte va tutto bene.

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«Matthew», schiaffeggio il viso del dottore e cerco di mantenere la calma, «Matthew, che diavolo ti prende?».
Sono accovacciata sul pavimento, sto tremando e muoio di paura.
Non sono mai stata brava nel dare soccorso.
Appoggio la mia testa sul suo petto per sentire il battito e la mia bocca si spalanca in automatico: il suo cuore batte troppo velocemente.
Almeno è vivo.

Afferro il cellulare e chiamo il 911, «C'è un'emergenza», strillo non appena una signora risponde, sono nel panico, «Ci troviamo al numero centoventinove, Main Street» 
«Può spiegarmi cosa è successo?».
Lancio un'occhiata a Matthew e respiro profondamente, «Non lo so! È svenuto ed ha la tachicardia», metto in vivavoce e torno a controllare il suo petto.
Non morire sul mio Parquet, Matthew Jackson.

«Stiamo mandando un'ambulanza, sa per caso se ha qualche patologia cardiovascolare?» 
«I-io non lo so», ammetto, non so niente di lui, «Ma fate presto» 
«Cardiomiopatia», suggerisce qualcuno e io ripeto quello che ho sentito.
«Cardiomiopatia dilatativa»
«Dilatativa», aggiungo, poi strabuzzo gli occhi e fisso Matthew che pare abbia ripreso conoscenza.
Accenna un sorrisetto, i suoi occhi sembrano più scuri del solito, «Non guardarmi così», sussurra, «Va tutto bene».
Va tutto bene?

«Vi-vi aspetto», dico, poi chiudo la chiamata e afferro la mano del dottore.
«Come stai?» , mi accorgo che la mia voce trema, «Vu-vuoi alzarti? Vuoi dell'acqua? Sei tu il dottore, cosa devo fare?».
Lui sorride ancora e si mette a sedere, strabuzza gli occhi e rimane in silenzio.
«Non svenire ancora, ti prego» 
«Ssh, respira».
Lui dice a me di respirare.

Boccheggio, sono sconvolta, «Ho sentito il battito del tuo cuore», sussurro, «Ho avuto paura», confesso.
Il suo sguardo si addolcisce, si morde il labbro e porta la mia mano sul suo petto.
Il suo cuore batte ancora all'impazzata e vedo che respira a fatica, «Fino a quando batte va tutto bene, principessa. Va tutto bene».
E non so perché, ma mi ritrovo ad abbracciarlo.
Forte.
Con una strana angoscia addosso.

Quando arriva l'ambulanza, contro il volere di Matthew, li seguo fino all'ospedale.
Si parla di insufficienza cardiaca, di perdita dei sensi, cardiomiopatia.
Ed io non capisco nulla di tutto ciò.
Attaccano una flebo a Matthew e c'è anche un macchinario che controlla i battiti del suo cuore che a poco a poco stanno tornando regolari.
Io non dico una parola, sono seduta accanto al letto e fisso Matthew in attesa di una spiegazione.
Ho paura di sentire delle brutte notizie anche se conosco da poco questo ragazzo.

Lui cerca di fare dei respiri profondi e guarda il tetto, la sua mascella è contratta e dalla sua espressione potrei dire che è parecchio infastidito.
«Puoi andare», lo dice senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
«No, voglio restare qui», ribatto.
Non me ne andrò fin quando la situazione non sarà migliorata.
«Ho detto che puoi andare», ringhia, quindi si gira lentamente verso di me e mi uccide con lo sguardo.
Perché provi questo odio, Matthew Jackson?

«Non agitarti», borbotto, dunque mi alzo e mi siedo accanto a lui, sul letto.
«Sei una testona» 
«Le dimensioni della mia testa sono perfette».
Inarca un sopracciglio e accenna un sorrisetto divertito, «Non hai il tirocinio domani?».
Guardo l'orologio, sono ancora le nove, posso rimanere ancora un po', «È ancora presto, non preoccuparti» 
«Credo che mia madre sarà qui tra poco, quindi vai pure» 
«Aspetterò», incrocio le braccia al petto e lui sbuffa.

«Sono qui, infatti», una voce femminile mi fa sobbalzare e mi giro di scatto in direzione della porta.
Una signora dagli occhi verdi è proprio davanti a me, ha i capelli biondi legati in una coda alta e indossa un camice blu.
Mi scruta a fondo con un'espressione maledettamente seria, poi guarda suo figlio, «Cinthia dov'è?».
Ah.
Che simpatica.
Piacere mio, signora Jackson.
Matthew deglutisce e sospira, «Non è nelle condizioni adatte per stare in questo posto», il suo tono è severo, come se stesse rimproverando la madre di qualcosa, «Non sa niente, comunque».

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