I.

1.9K 170 21
                                    

<<Che ci fai qua?>>

<<Ti aspettavo.>>

<<Per far cosa?>>

<<Andare a casa.>>

<<Non sei ripartito.>>

<<No, non mi andava molto.>>

<<Chiudo il bar e andiamo.>>

<<Dove sei stato?>>

<<Al lago.>>

<<Lo immaginavo.>>

<<Tu?>>

<<Qui.>>

<<Fino a quest'ora?>> controllo l'orologio. Sono le 22:00 passate e i miei dipendenti se ne sono andati da almeno un'ora.

<<Gli ho detto che ero un tuo amico, e mi hanno lasciato qua.>> annuisco mentre lui mi guarda terrorizzato, le mani nascoste nelle tasche dei jeans scuri.

<<Potevi dirmi che non eri partito, sarei tornato prima.>> alza le spalle e si accende una sigaretta.

<<Perché sei tornato qui?>>

<<Non dormo a casa.>>

<<Ancora?>>

<<Si.>>

<<Forse è meglio che prenda un albergo.>>

<<Non dormo a casa, senza di te.>> rettifico e abbasso la saracinesca del bar. Tutto tace.

Ci avviamo a piedi verso casa, il tragitto è più breve di quanto ricordassi.
Riesco a percepire il nervosismo di Mario anche solo dal modo che ha di camminare.

<<Mario, stai tranquillo.>>

<<Non ci riesco Cla.>> sbotta.
Cla, il suo nomignolo preferito.

<<Perché?>>

<<Perché me ne sono andato giurando di non tornare, ho paura di varcare questa soglia e voler scappare, da te.>>

<<È passato. Dobbiamo superarlo entrambi.>> annuisce non troppo convinto e io apro il portone principale.

Salgo le scale e sento i suoi passi dietro di me, non so che cosa possa passargli per la testa in questo momento e voglio lasciarlo libero di abituarsi all'idea.
È passato ma fa ancora male.
È una ferita aperta mai curata del tutto.
Ho una paura matta che scappi, che non riesca a superare il mio tradimento.
Odio questa parola: dura, irriverente.
Non sopporto il significato.
Non perdonerò mai a me stesso ciò che ho fatto, ma voglio andare avanti.
E voglio Mario al mio fianco.

<<Si congela qua, apri.>>

<<Si, scusami.>> apro piano il portone di legno chiaro e accendo la luce del salotto. Non ricordavo di averlo lasciato così ordine, poi intravedo un post-it e capisco che mia madre è passata a fare ordine.

<<Tua madre.>> commenta sul mio collo.

<<Credo proprio di sì.>>

<<Non hai cambiato niente.>> faccio segno di no con la testa e mi chiedo il portone alle spalle con un tonfo sordo. Osservo Mario camminare per il salotto, impacciato, le mani in tasca e gli occhi fissi sulle nostre foto appese alle pareti.

In un attimo la sicurezza e la forza che credevo di avere mi abbandonano, sono costretto a sedermi sul divano e riprendere fiato.
Non so cosa mi stia succedendo.
Rivedo Mario in lacrime mentre mi urla contro di avergli rovinato la vita.
Rivedo i suoi occhi distrutti, il suo corpo scosso dal pianto.
Rivedo noi due seduti a terra, stremati. Le urla, i respiri corti, i vestiti gettati a terra.
Rivedo me, codardo. Un naufrago senza bussola, perso in se stesso e nei suoi errori.
Rivedo gli ultimi pezzi del nostro amore trasformarsi in polvere quando Mario mi sbatte la porta in faccia correndo via da me.
Rivedo il passato, quello che tanto ci spaventa. La causa delle mie notti insonni.
Ecco perché non sono mai voluto tornare qua, di notte. Essa riporta a galla gli errori di una vita, i rimorsi, i ripianti, tutti i pensieri che col sole riesci a deviare tornano più forti che mai.

Destinati a finire.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora