A.

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Non ricordo una sola volta in cui io non abbia festeggiato il Natale con i miei genitori.
Natale significa famiglia e famiglia, per me, significa il mega pranzo da mamma e papà con mio fratello e mia cognata.
Zii e cugini che arrivano per prendere il caffè e i classici aneddoti raccontati intorno al tavolo mentre si inzuppano i cantucci nel vinsanto.

Negli ultimi cinque anni Natale significava Mario. Lo abbiamo sempre trascorso a Verona, mai a Roma.
Il rapporto con i suoi genitori è ottimo, eppure non ha mai voluto privarmi della mia famiglia rinunciando in qualche modo alla sua.
Questo è Mario. Mette i suoi bisogni da parte per far felice me.
So quanto ama i miei genitori e quanto si sentisse a casa pur avendo i suoi affetti distanti.
So che non gli è mai pesato nulla ma, forse, in cuor suo si aspettava che fossi io a mettere per una volta lui al primo posto.

So che quest'anno gli saranno mancati i cannelloni di mia mamma o la partita a carte con mio padre dopo pranzo.
So che forse sto sbagliando nel presentarmi a casa sua il giorno di Santo Stefano ma Mario è sempre stato il mio Natale e non intendo rinunciarci.

Leonardo mi ha detto che si è trasferito nella sua vecchia casa, da solo, ed è stato così gentile da accompagnarmi lui stesso fin qui chiedendomi in cambio di non fare altri casini.
Fosse facile amico mio.

Suono il campanello e aspetto con il cuore in gola.
Non mi sentivo così da troppo tempo.

<<Chi è?>>

<<Sono io.>>

<<Io chi?>>

<<Son Claudio.>> qualche secondo di silenzio poi il rumore del portone che scatta.
Salgo le scale senza sapere a quale piano fermarmi, arrivo al sesto con il fiatone. Perché proprio all'ultimo?
La porta si apre e un Mario in pigiama mi fa cenno di entrare. Non sembra molto contento di vedermi, non che mi aspettassi un'accoglienza in grande stile.
Controllo l'orgoglio, è quasi mezzogiorno e lui ha tutta l'aria di essersi svegliato da poco.

<<Non hai fatto l'albero di Natale?>>

<<No, non ho avuto tempo.>>

<<Beh poss...>>

<<Che vuoi Claudio?>>

<<La mia felpa.>> rispondo di getto. Me ne pento nell'esatto istante in cui Mario punta i suoi occhi su di me, deluso.
Merda sei così coglione se credi che abbia fatto ore e ore di treno per una stupida felpa.

<<Te la prendo subito.>> sparisce e io ne approfitto per sedermi sul divano di pelle.

<<Eccola.>> me la lancia stizzito.

<<Non sono qua per la felpa.>>

<<Me stai prendendo in giro?>>

<<No, volevo farti gli auguri.>>

<<Ah...il mio numero non è cambiato.>>

<<Di persona...>>

<<Ok.>>

<<Puoi dire non me l'aspettavo. Non è una bestemmia sai?>> cerco di allentare la tensione ma Mario non sembra volermi aiutare.
Rimane immobile con le braccia incrociate al petto, le sopracciglia all'ingiù e le labbra corrucciate.

<<Perché devo dire quello che tu vuoi sentirti dire?>>

<<Dai Mario, per favore. Sono qua perché mi andava di essere qua, ok?>> alza le spalle fingendosi indifferente.
Dio come è difficile fargli abbassare la guardia.

Destinati a finire.Where stories live. Discover now