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Guardo l'orologio appeso alla parete bianca e tiro un sospiro di sollievo.
Mancano 10 minuti e finalmente anche  questa settimana infernale avrà fine.
Ho voglia di tornare a casa e rilassarmi. Lavorare in banca è stressante, sempre costantemente concentrato per non combinare casini.

Non amo il mio lavoro.
È stato mio padre ad inserirmi qua grazie a delle conoscenze.
Io voglio aprire un bar tutto mio, insieme a Mario.
Ne stiamo parlando da quando siamo andati a convivere, un anno fa, ma abbiamo capito che avviare un'attività è più complicato del previsto.
Così, mi tengo stretto il mio posto fisso sperando di potermi licenziare il prima possibile.

In realtà lavorare con i numeri, all'inizio, mi rilassava, mi dava sicurezza.
La matematica non è un'opinione, tutto prima o poi doveva avere un risultato corretto.
Con il passare del tempo, peró, questa poltrona in pelle si era fatta sempre più scomoda e piccola per uno come me.

Cecilia, la direttrice, mi passa accanto con il solito sorriso di circostanza stampato in faccia.
I primi mesi credeva che potessi diventare il suo toy-boy poi aveva visto Mario, ogni giorno, davanti alla porta ad aspettarmi e i suoi sogni si erano infranti.

Allungo lo sguardo fino all'entrata eppure del mio fidanzato non c'è traccia, sbuffo e controllo il cellulare...forse mi ha mandato un messaggio e sta arrivando.
Niente, nessuna notifica da parte sua.
Sistemo i post-it con gli appunti per la settimana prossima, spengo il computer e dopo aver salutato i miei colleghi esco da quella gabbia.

Chiamo Mario.

<<Cla, dimmi...>>

<<Dove sei?>>

<<In agenzia, perché?>>

<<Sono le cinque...>>

<<Cazzo...ho fatto tardi, passi tu al supermercato?>>

Vaffanculo Mario, dobbiamo andarci insieme al supermercato.
Lo sai che sono una frana, mi dimentico sempre di tutto.

<<Non puoi uscire? Ci andiamo insieme.>>

<<Ne ho ancora per una mezz'ora, vai tu e ti raggiungo a casa.>> percepisco la stanchezza nel suo tono di voce eppure neanche questo riesce a rendermi più accondiscendente.

<<Ma non so cosa prendere...>> lo sento ridere, e io vorrei solo urlargli contro.
Sono stanco, voglio stare con lui dopo una settimana in cui ci siamo parlati solo pochi minuti prima di andare a dormire.

<<Ti mando un messaggio con la lista...>>

<<Ok.>>

<<Cla...>>

<<Che?>> continuo sempre più stizzito.
Lo devi capire che sono tremendamente incazzato, con te.

Aspetto fermo di fronte alla mia macchina, incrocio le dita sperando di sentirmi dire ciò che desidero.
Esci e vieni con me, Mario.
Molla quello stupido lavoro e torniamo a fare le cose in due.

<<Ricordati le sigarette.>>

Mando giù il boccone amaro e stringo con forza la portiera della macchina.
Non viene a prendermi al lavoro da non ricordo nemmeno io quanto tempo.

Il primo giorno era dovuto passare da Paolo.
Il secondo giorno era uscito prima.
Il terzo giorno aveva incontrato Rosita ed erano andati a fare un aperitivo insieme.
Il quarto giorno aveva mal di testa ed è tornato subito a casa.
Il quinto giorno ho smesso di chiedergli spiegazioni.
La settimana successiva ho smesso di pensarci.
La settimana dopo ancora ho smesso di rimanerci male.
Non trovare Mario ad aspettarmi è diventata la quotidianità.

Destinati a finire.Where stories live. Discover now