1. Pigiama nero

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L'uomo con i capelli bianchi entrò per ultimo. Non ricambiò il saluto dei presenti e si accomodò sulla poltroncina color verde salvia, in prima fila.
Gli si avvicinò un tizio di circa cinquant'anni, nelle mani una tazza di caffè e sul viso un'espressione logora e vuota che denunciava le troppe ore di sonno perso.

«Siamo pronti» bofonchiò, prima di riprendere a sorseggiare il caffè.

L'uomo con i capelli bianchi lo squadrò con sufficienza. «Luman, non l'avete sedato come settimana scorsa, vero?» gli chiese sollevando il sopracciglio destro.

Il cranio lucido del sottoposto, incorniciato da una corona di capelli di un castano innaturale, iniziò a ondeggiare. Con un sorriso imbarazzato allontanò la tazza dalla bocca. «No, professor Valentin, abbiamo seguito le sue indicazioni. Vedrà, E10 sarà subito reattivo questa volta.»

Valentin non mutò espressione e con il dubbio bene impresso sul volto si limitò a spostare l'attenzione da Luman alla ragazza alla consolle. Un impercettibile cenno della testa fu sufficiente a Barbara per capire che doveva iniziare.

Il tonfo sordo dei neon che si accendevano in rapida sequenza rimbalzò nella saletta. Una luce gelida si irradiò davanti a Valentin come un'onda richiamata dal mare, svelando, oltre la spessa vetrata, uno spazio di quasi duecento metri quadrati rivestito da cupe lastre di metallo.

Un uomo giaceva nel mezzo privo di sensi. Indossava un pigiama nero e aveva i capelli rasati come un militare appena arruolato.

Barbara si girò di nuovo verso Valentin in attesa di un secondo segnale. L'uomo dai capelli bianchi squadrò Luman, che aveva ripreso a tenere salda con entrambe le mani la tazza di caffè, e poi alzò due dita senza staccare il polso dal poggiolo. La ragazza pigiò il tasto su cui aveva da tempo posato l'indice e un forte getto di acqua ghiacciata colpì l'uomo a terra, facendolo sobbalzare.

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