Capitolo 12 (parte 2)

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FERITE

Grande accampamento della Conca

Francia, anno del signore 1427

Rowan venne raggiunto da uno dei tutori delle reclute nel bel mezzo di un allenamento. Il nuovo arrivato rischiò una spalla, interrompendo con il suo stesso corpo una tecnica che stava eseguendo.
Si asciugò la fronte con una manica e squadrò da capo a piedi l'uomo che gli stava di fronte. Lo conosceva solo di vista, era colui a cui Libeth aveva affidato il loro gruppo. Gli sembrava uno in gamba ma non esattamente un guerriero. Si chiese per che cosa fosse venuto a cercarlo. Da quando la Viaggiatrice e lui erano tornati erano stati sommersi di compiti. La donna era tornata con Travis nell'Oltre per seguire le elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco e lui era stato mandato di stanza alla Conca, per monitorare gli addestramenti. Nessuno però l'aveva mai interrotto se non per questioni di estrema necessità.
Lanciò il bastone ai confini dell'arena e si diresse a grandi passi verso il suo padiglione, facendo segno all'uomo di seguirlo.

- Signore, non vorrei mancarvi di rispetto, ma... temo non ci sia tempo per andare a sedersi e discutere- disse il tutore con aria seria.

- Temo che dovrete seguirmi, vi spiegherò tutto strada facendo- disse e Rowan non se lo fece ripetere.
Piuttosto di seguire la prassi, che l'avrebbe visto seduto su uno scranno come un signore vero e proprio, avrebbe preferito essere scambiato come un intransigente.
Affiancò la sua guida, che per rispetto decise di rimanere sempre un passo indietro a lui, e invitandolo con una mano a parlare ascoltò senza interrompere il resoconto disastroso della sortita di quella mattinata.
Quando sentì nominare Stephen, si oscurò. Quel ragazzino dai capelli rossi era cambiato durante il viaggio che avevano fatto insieme da Pigneridel al Varco, e dal Varco a lì. Aveva imparato ad apprezzare quel carattere particolare e aveva stretto un rapporto quasi amichevole.

- Signore... siamo arrivati- gli fece notare Daniel fissando la porta dell'infermeria, l'unico edificio in pietra del campo. Rowan annuì e ringraziò con un cenno, poi entrò per consultare il medico e il mago.
Sapere che Stephen era stato ferito gravemente fu molto diverso dallo scoprire che in realtà era delirante in un letto, quasi in fin di vita.
Il marchio magico, che come tutti aveva ottenuto alla cerimonia di ingresso al campo, stava lentamente svanendo.
Rowan guardò tra le coperte il ragazzo che riposava, apparentemente tranquillo. Per esperienza sapeva che non necessariamente si trattava di un buon segno. A volte era meglio sentire    le urla e i lamenti dei soldati, significava che erano ancora vivi, che avevano ancora la forza per lamentarsi. Si voltò verso gli unici due uomini che gli facevano compagnia nella stanza con una muta domanda negli occhi. Fu il medico a parlare per primo.

- Anche se fosse stato un guerriero temprato, chirurgicamente parlando, la ferita è difficilmente curabile. La freccia ha passato degli organi e non solo i muscoli. Ho fatto del mio meglio per fermare l'emorragia, suturare e pulire la ferita, ma ha comunque perso molto sangue ed è molto debole...- disse con tono serio l'uomo con il camice. Rowan annuì e si voltò verso il mago, un uomo vecchio ma atletico, vestito di una lunga tunica blu notte. Questi proseguì.

- Signore, il marchio di questo ragazzo è incredibilmente forte. Ha avuto il potere di mantenerlo praticamente lucido fino a quando non è arrivato qui. Tuttavia temo non abbia la forza per contrastare quello che questo povero corpo ha dovuto passare. La magia può molto, certo, ma non funziona sempre...ora, possiamo solo sperare che reagisca ancora. Questa notte sarà decisiva. Se la passerà, sarà fuori pericolo- concluse, non era una prospettiva positiva, ma lasciava ben sperare.
Rowan sospirò e lanciò un'occhiata impassibile verso Stephen e nel frattempo si fece dire se ci fossero altri feriti, ma nessun'altro aveva riportato gravi danni. Confortato da quella notizia, si avvicinò al lettino del giovane ferito e si sedette su uno sgabello dimenticato lì vicino.
Studiò il volto scavato di Stephen, le sue lentiggini opache che risaltavano comunque sull'incarnato cinereo, i capelli rossi e gli occhi chiusi, agitati sotto le ciglia scure. Il torace si abbassava e si alzava a ritmo sconnesso, i fianchi erano fasciati con bende nuove ma già piene di chiazze scarlatte.
Scosse la testa scosso dal senso di impotenza che si era impossessato di lui. Se avesse potuto, avrebbe sussurrato qualche parola di conforto, ma come sempre rimase semplicemente in silenzio, ad osservare quella vita mentre si consumava lentamente.

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