Capitolo 3 (parte 1)

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IL GUERRIERO SENZA VOCE

Montargis, Francia

Anno del signore 1427

Rowan vibrò l'ultimo fendente mirando alla testa. In una mossa fluida e precisa affondò la lama della sua spada nel corpo del manichino d'allenamento che si divise in due senza opporre resistenza. Come ogni giorno, aveva finito con quel colpo micidiale. Rilassò le spalle, cercando di stabilizzare il respiro, e si terse la fronte con una mano mentre osservava il cielo. Era una bella mattina di fine estate, forse un po' troppo calda per i suoi gusti, ma c'era una fresca aria che rendeva piacevole i raggi penetranti del sole. Rinfoderò la spada, camminò lentamente fino al parapetto della grande terrazza del torrione e vi si appoggiò. Sotto di lui, il castello brulicava di vita.

Il blocco centrale sorgeva attaccato al torrione della guardia, collegato da camminamenti di legno e argilla di uno straordinario colore dorato, i locali delle stalle, dei fienili e delle caserme, dove c'erano gli alloggi dei soldati, erano tutti addossati alla cinta muraria. C'era molta gente che lavorava e si affaccendava in giro, per ricostruire ciò che nell'assedio era stato distrutto.

Nel cortile vide alcuni ragazzini che giocavano, quasi dimentichi del lungo periodo di scontri subito in quelle settimane. Avevano più o meno la metà dei suoi anni, forse ne avevano otto o nove, e stavano facendo la lotta nella polvere scura. Sembrava che si stessero divertendo ma non riuscì a gioirne. I giorni di sangue che aveva attraversato avevano appesantito il suo spirito e l'unica cosa che poteva fare era invidiare dall'alto della torre la loro spensieratezza. 

Non aveva mai potuto giocare alla lotta. Fin da quando era nato, era stato destinato all'arte della guerra. Aveva sempre e soltanto fatto sul serio. Soprattutto da quando il capitano De Dunois l'aveva preso nella sua compagnia come scudiero.

Distolse lo sguardo dal cortile e lo spostò più lontano. Poco oltre la prima cinta si vedevano spuntare i tetti delle case borghesi della città e la sagoma della seconda cinta muraria. Da lì non poteva vedere il fossato, ma sapeva che c'era, come sapeva che, oltre il ponte levatoio, c'era la campagna devastata e l'accampamento dell'esercito. Oltre ancora poi, c'erano il confine e le montagne.

Sospirò. La sua casa era là vicino, nei boschi sotto le vette a sud. Il castello in cui era cresciuto sorgeva in mezzo alle conifere, sulla catena dei Pirenei, e mai come in quel momento ne sentì la mancanza. Da due anni era al fronte ed era ormai da qualche tempo che anche suo padre non gli mandava notizie.

Il Capitano aveva deciso di stanziare le truppe a Montargis e aspettare una mossa degli inglesi, in attesa che il Delfino in persona facesse visita alla città liberata. L'erede al trono di Francia avrebbe reso tutto una cerimonia e avrebbe cancellato con la sua ombra le tragedie dei tre mesi precedenti. Per un po' la gente semplice, come i bambini nel cortile, avrebbe dimenticato che la guerra contro gli anglosassoni era sempre più aspra. Lui però non avrebbe dimenticato le vite e le ferite costate per quella causa. Era nato per la guerra e non aveva mai conosciuto la sensazione di una vita libera e in pace. Dopotutto, la missione della sua casata era quella: servire la Francia e vegliare sui suoi segreti.

Scosse la testa. Non era mai stato interessato alle questioni della nazione, ma aveva sempre desiderato vedere il mondo, studiare, conoscere. Aveva obbedito a suo padre per rispetto, ma non per questo non provava rimpianto per ciò cui aveva dovuto rinunciare.

Si asciugò una goccia di sudore sulla fronte e sospirò per l'ennesima volta. Lanciò un'occhiata al Marchio della Luna che gli fioriva sul palmo della mano sinistra e si perse, come spesso gli succedeva, a studiarne i contorni perfetti. Anche quel simbolo magico aveva contribuito a renderlo una macchina da guerra.

Historiae: HodieWhere stories live. Discover now