Capitolo 6

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Timidamente Bucky trasparì in un sorriso sincero camminando senza fretta verso Steve, già venutogli incontro abbastanza vicino. I capelli castano chiaro tirati indietro con del gel, la barba scura bel sfoltita sul viso e le labbra color della primavera ad evidenziare la sua tenerezza. Con la mano non occupata a tenere il mazzo di fiori ben incartato, Steve accarezzò la nuca di Bucky tastando la lunghezza dei capelli morbidi, si spinse verso il suo viso senza essere insistente o persuasivo, e lo salutò come era solito fare, con un bacio per guancia, non facendo sfiorare i loro visi, ma poggiando le labbra sulla pelle pallida di James. Lui quasi trasalì, sentendosi in imbarazzo, finché Rogers non si allontanò dal suo volto, e con gentilezza lo invitò ad entrare al locale in cui avrebbero cenato abbastanza presto. In fin dei conti non era un ristorante di lusso, anzi, era un semplice fast food con i tavoli alla parete e la vista sulla strada della città.
  «Qui fanno i migliori hamburger di tutta Brooklyn!» gli disse scherzosamente Steve una volta seduti intorno ad un tavolo per due appena davanti alla vetrata lucida del fast food, uno difronte all'altro, in attesa del proprio ordine. Sul piccolo tavolo, poggiato contro il vetro, il mazzo di rose dalla carta vetrata argentea ed un fiocco rosso a tenerle insieme. Bucky abbassò lo sguardo imbarazzato, quando gli occhi di Steve si concentrarono sempre di più si di lui, e ritornarono all'argomento di quei fiori.
«Te l'avevo detto che non avresti dovuto.» disse James sorridendo con timidezza divertita.
«Troppo gay?» imitò Steve con tono scherzoso, ringraziando con un sorriso la cameriera che aveva portato i vassoi con i loro ordini.
«Già.» annuì Bucky in una debole risata, mentre afferrava con la mano destra il proprio panino.
Steve, masticando allegramente, alzò un sopracciglio, quello il cui occhio era decorato con la lacrima grigia, facendosi osservare da Bucky.
«Usi solo una mano? L'altra è morta?» la domanda di Steve fu ingenua e priva di cattiveria, anzi, centrata sul suo irresistibile tono carino, ma Bucky si irrigidì, cambiò subito espressione, deglutendo il morso della propria porzione che stava masticando. Strinse il pugno sinistro tra le gambe, il braccio era poggiato sul corpo con fastidioso dolore, e alla domanda di Steve le parole quasi gli scapparono dalla bocca, trattenute solo dall'enorme angoscia che lo aveva inghiottito. Gli avrebbe riposto volentieri; «magari fosse morta, sto facendo di tutto per ucciderla
Ma i suoi occhi persero l'attenzione serena che avevano acquistato grazie alla presenza di Rogers, che era stato capace anche di renderlo il solito groviglio di silenzio e freddezza che aveva lavorato da lui nel corso di quelle settimane. Steve notò immediatamente l'umore velocemente declinato di James, che a quella domanda non proferì riposta, solamente silenzio. Smise di mangiare, e con voce seria e rammaricata gli disse;
«Ho detto qualcosa di stupido, non è vero?»
«Oh no, sta tranquillo.» gli rispose Bucky velocemente, scrollando il capo con la fronte corrugata. Il fatto di far sentire colpevole Steve del suo continuo soffrire, di lasciarlo in balìa dei propri demoni lo fece sentire ancora più insignificante, ma allo stesso tempo, non abbastanza da rovinare quella serata, in cui desiderava soltanto la presenza di Steve.
«Ti chiedo scusa per qualsiasi cosa stupida io abbia detto senza capire di averti ferito. Ecco, per questo non ti ho ascoltato quando mi hai detto di non portare dei fiori, perché già sapevo che mi sarei dovuto far perdonare per una figura di merda!» gli disse Steve, corrugando le sopracciglia con rammarico.
Bucky sorrise, cancellando un po' di tristezza.

«Io penso sempre ad un universo parallelo, a te non capita mai?» gli domandò Steve, bevendo con la cannuccia la propria cola, dopo aver finito di mangiare l'hamburger.
«Guardi troppa TV.» gli rispose divertito Bucky, pulendosi le labbra con un tovagliolo.
«No, davvero, immagina un universo dove in questo momento i loro Steve e Bucky sono insieme, proprio come noi adesso. Immaginali in guerra magari...»
«Guerra?» sbottò James in una risata trattenuta a fatica.
«Proprio così! Si conoscono sin da bambini magari, sono cresciuti insieme, ma Steve è rimasto più gracile di Bucky, e per questo motivo è riuscito ad arruolarsi solo grazie ad una specie di esperimento che lo ha reso un super soldato.»
«Questa è la trama di un film.» gli fece notare Bucky, divertito e curioso di sapere altro su quel racconto.
«Lasciami finire -disse Steve ridendo, continuando- Dunque, Steve diventa famoso e finalmente si arruola, ma lo ha fatto soltanto per ritrovare Bucky, che è stato catturato dai nemici durante una missione. Allora Steve dell'universo parallelo va a recuperarlo, mettendo a repentaglio la propria vita per salvarlo, finché i due non si ritrovano, e continuano a combattere accanto.»
«E cosa ci sarebbe di così eccezionale tra questi Steve e Bucky? L'esperimento di Steve?» chiese il moro per stare al gioco.
«No, l'attrazione che li unisce. In questo universo parallelo loro si amano, ma nessuno può saperlo, solamente loro nascondono questo segreto. Altrimenti per quale motivo Steve avrebbe rischiato di morire per lui?»
«Perciò stai dicendo che anche noi siamo attratti, cioè, tutti gli Steve e i Bucky di tutti gli universi si amano.» la voce di Bucky non fece terminare la frase con una cadenza interrogativa. Steve annuì con dolcezza, sorridendogli quasi si fosse vergognato.
«È bello da pensare. Magari il 98% si ama, mentre il resto, in cui siamo compresi noi, ancora si regala dei fiori. E in questo momento, nell'universo parallelo della guerra, magari Steve e Bucky stanno mangiando una scatoletta di fagioli davanti ad un fuoco, chiacchierando.»
«Tu sei matto.» mormorò James, non riuscendo a smettere di manifestare il proprio entusiasmo divertito creatosi come una nuvola soffice tutta intorno a loro.
«Diciamo che mi piace viaggiare con la fantasia.» Steve fece spallucce, poggiando i gomiti sul tavolo. Le sue dita picchiettarono contro la superficie punteggiata di briciole di pane. Bucky abbassò lo sguardo, e si concentrò sulle sue mani. Steve aveva un tatuaggio per ogni falange, scolorito dalle tonalità tra il grigio e il verde. Le unghia delle dita medie erano tinte da smalto nero, ai bordi mangiucchiato via con i denti. Bucky studiò con attenzione i dieci tatuaggi sulla seconda falange di ogni dito. Nella mano sinistra delle lettere che partivano dall'indice all'anulare creavano la parola "Cap", in stampatello maiuscolo sottile e ordinato, così come sul pollice e il mignolo a sostituire delle lettere c'erano dei piccoli disegni stilizzati di due stelle. James si soffermò troppo tempo su quei piccoli scarabocchi, così da distrarsi per prima cosa dall'altro disegno sul palmo della mano, vistoso, che poteva vedere con la coda dell'occhio, e poi da fargli accorgere che quelle mani si stavano come avvicinando, di più a lui. Bucky non credeva che Steve fosse squallido o ridicolo; che al tutto fosse alimentati da palese interesse nei suoi confronti era quasi divertente, solitamente certi comportamenti infastidivano James, gli facevano pensare a quell'altra persona come qualcuno da cui stare lontano, qualcuno da evitare e da non vedere mai più, per i propri comportamenti, per le proprie intenzioni durature o meno, e per la sua malattia. La sua malattia allontanava tutti, ma non stava riuscendo a fare lo stesso con Steve. Per quanto provasse ad avvicinarsi in maniera esasperatamente carina a Bucky, non riceveva un rifiuto dalla personalità fredda e distaccata del moro, che con lui stava via via affievolendosi.
Bucky portò anche la mano destra sotto il tavolo, a stringere il polso di quella sinistra, e a sorreggerla perché stanca ed indolenzita. La nascose dalla vista di Steve per evitare che, magari, il tatautore fosse così sfacciato da allungare una delle sue e stringerla. Le rose erano sufficienti per rendere il tutto egregiamente romantico,  Bucky si sarebbe trovato troppo in imbarazzo a rimanere mano nella mano con Steve.
«Steve Rogers, credo che per questa sera lei ci abbia provato abbastanza con me.» gli disse scherzosamente Bucky, con voce flebile, timida.
«Come desidera signore, posso accompagnarla fuori?» lo imitò Steve, alzandosi in piedi e porgendogli la mano con fare buffo. Bucky abbassò il capo verso il basso, ridendo a bassa voce con le spalle rilassate. Guardò Steve negli occhi, vividi di dolce contentezza; James gli sorrise con i denti bianchi e le labbra piene, increspò le sopracciglia teneramente e seguì le indicazioni di Steve.
Fuori, per le strade l'aria fresca della sera tarda accompagnava il rumore di sottofondo del traffico, e della corrente di gente che continuava a camminare sui marciapiedi, ad attraversare le strade, ad intrattenersi dentro i locali. Bucky, con le mani ben strette in tasca, mantenne il passo sicuro e allegro di Steve, standogli di fianco.
«Ti va qualcosa da bere?» gli domandò Rogers, voltandosi a guardarlo, allegramente.
«Evito di bere.» mormorò James non trasparendo nessuna espressione, nascosta dalla penombra della strada.
«Oh no, intendo qualcosa come un frappé al cioccolato, o un frozen yogurt.» sorrise il tatuatore.
«Il frozen yogurt si beve?» chiese divertito il moro.
Steve fece spallucce in maniera quasi infantile, tendendo il labbro con innato fascino; «Dipende, se lo lasci sciogliere puoi berlo con la cannuccia! Te ne prenderò una rossa, per il tuo milkshake.»
«Non sapevo che le cannucce avessero un colore preciso in base al cliente.» Bucky si fece stranito, voltandosi verso di Steve, e piegandosi di poco più vicino alla sua spalla.
«Stai parlando con un tatuatore, io abbino qualsisia colore a qualsiasi cosa, per rendere la composizione più armoniosa.»
«Sei strano.» commentò James guardando dritto, un lampione in fondo alla strada sempre più vicino.
«Senza la stranezza il mondo sarebbe tutto bianco, immagina che apatia. Ci sono io a mettere un po' d'inchiostro colorato qua e là. Nella mia vita ho tatuato centinaia e centinaia di persone, che rimarranno colorate per sempre.» Steve rallentò il passo, e indicò con il braccio teso un uomo dall'altra parte della strada, intento a lavorare con i fili di un piccolo generatore di un negozio. L'uomo sul punto di imprecare si voltò per sbaglio verso la strada, notando quasi immediatamente Steve che lo indicava. Lo sconosciuto sorrise e salutò con un gesto della mano Rogers, che ricambiò con lo stessa cordialità.
«Lui è Scott, gli ho tatuato il nome di sua figlia sul braccio, e qualche tempo dopo, una formica sul polpaccio.» disse Steve, indicandolo ancora per poco.
«Perché una formica?» sbottò stranito James.
«Gli piacciono gli insetti.» Steve salutò un ultima volta Scott, e ritornò a camminare, seguito da Bucky. «Visto? Tantissime persone come Scott prima erano tutte bianche, spoglie, ma grazie a me nella loro monotonia c'è un po' di colore.»
«È un bel pensiero.» commentò Bucky con un filo di voce. Steve gli sorrise con le labbra serrate, strizzando gli occhi in maniera dolce. Bucky si bagnò le labbra, sfilò dalla tasca la mano destra e si portò una ciocca di capelli lunghi dietro l'orecchio. I fiori tenuti con premura da Steve, che mantenne la distanza tra le loro braccia, non rimanendo né troppo lontano e né troppo vicino. Percepiva il bisogno di Bucky di avere dello spazio fisico, ma allo stesso tempo, poteva sentire la debole voglia del ragazzo di assecondare un avvicinamento sottile. Steve attraversò la strada, lasciando in silenzio Bucky, curioso e confuso dalla meta ignota prescelta da Rogers.
Concentrato a seguire Steve, a stargli dietro e a non perdere di vista la schiena del ragazzo, suo punto di riferimento, Bucky non si accorse della strada da lui presa, ritrovandosi in un parco buio, illuminato da qualche lampione. Deserto, le poche panchine di legno vuote, gli alberi verdi rigogliosi mossi piano dal vento, ad accarezzare le foglie. Steve lo chiamò, in piedi qualche metro più avanti di Bucky, rimasto fermo a guardarsi intorno, per orientarsi e soddisfare le proprie manie di controllo ingestibile. Se non riusciva a gestire il proprio corpo, almeno, si era ripromesso, di equilibrare ciò che lo circondava.
«Andiamo Bucky, seguimi!» lo chiamò ad alta voce, facendogli segno con la mano di percorrere quel breve tratto di sentiero in mezzo al verde. Bucky si trovò in un fascio di aria fresca e lievemente umida, con le scarpe che calpestavano l'erba bagnata, e nel naso il profumo soffuso della natura debole in quella città. Vide Steve seduto su di una panchina di cemento priva di schienale, di un colore chiaro ma puntellata di mille parole scritte sulla superficie con un pennarello indelebile di colore nero. Rogers gli sorrise piano, con estrema tenerezza, invitandolo ancora una volta a fidarsi delle sue indicazioni. Bucky deglutì, e si sedette accanto al ragazzo. A separarli, una distanza che ricopriva tre volte la mano di Steve tra di loro. L'aveva scelta Bucky quella precisa precauzione, anche se il suo braccio sinistro era al sicuro sul lato dell'estremità opposta della panchina, non riusciva a sentirsi a suo agio a stargli troppo vicino, specialmente da fermo.
Steve si chinò verso terreno, allungò una mano sotto la lastra di cemento, e poi ritornò subito dopo a sedersi dritto, scaturendo l'attenzione sempre più curiosa del moro. Tra le mani Steve teneva un taccuino con la copertina rigida, nera ed un po' rovinata ai bordi. I fogli ingialliti erano rovinati e spiegazzati da qualche orecchione, l'umidità aveva fatto sciogliere la carta, rendendo così maggiore lo spessore irregolare del piccolo blocco per disegni. Steve lo aprì, direttamente sulla pagina bianca a cui era arrivato, superando tutti gli altri numerosi schizzi che James riuscì ad intravedere di sfuggita. Dalla copertina posteriore prese una piccola penna bic spezzata a metà, e se la mise tra le dita.
«Cos'è?» Chiese Barens, non riuscendo a tenere per sè quella curiosa domanda.
«Un piccolo angolo di disegno. Quando sono in giro, e improvvisamente ho un lampo di ispirazione, corro qui e mi metto a disegnare. Non sono un tipo che porta sempre dietro una sacca con degli album e delle matite colorate, perciò ho scelto questo mio personale posto silenzioso dove stare in tranquillità.» spiegò Steve, voltandosi con il capo nella sua direzione. Ne vide il profilo perfetto delineato da una sottile contorno della luce dei lampioni, che ne accentuò anche la profondità degli occhi, e il colorito delle labbra di Bucky. Alcuni capelli ricaddero sulla sua guancia ingrigita dalla barba corta, così castamente, che Steve dovette trattenersi per non allungare una mano e portare via da quel quadro perfetto le ciocche marroni.
«Ti ho già detto che sei un tipo strano?» scherzò James a bassa voce, guardando in terra, e sorridendo raucamente. Steve scosse la testa e si unì a quel breve istante di serenità, incapace di allontanare gli occhi da James.
«E che ispirazione hai avuto adesso per venire qui?» fece Bucky, con espressione sarcastica ma stanca, rivolgendosi finalmente verso Steve, che trasalì quando lo vide frontalmente. Si bagnò le labbra, picchiettò la penna di plastica contro il quaderno, guardandolo.
«Credevo di averti già detto che riesci ad ispirarmi in una maniera quasi incontrollabile.» disse.
«Non cambi proprio, sei sempre troppo smielato.» aggiunse Bucky a voce bassa. Rogers poggiò il mazzo di rose nello spazio tra di loro, come un confine delicato e naturale, che nonostante la sua bellezza ingenua e ipnotica non avrebbe mai dovuto essere superato. Non rispose all'affermazione di Bucky, concentrandosi insistentemente sulla pagina bianca della sua piccola tela tra le mani. Il moro lo guardò mettersi all'opera, ma la mano di Steve creava così velocemente quelle linee di inchiostro nero da non riuscire a capire, nell'oscurità della sera, quale fosse esattamente il soggetto del disegno. Dopo un paio di minuti Steve si calmò, risvegliatosi come da un ipnosi che lo aveva del tutto incantato nel proprio lavoro. Guardò Bucky, che alzò lo sguardo sul suo viso, e si guardarono insieme.
Galassie blu che si immobilizzano nello spazio.
Steve sorrise timidamente, chinando il capo verso le sue mani, dove stava il quaderno aperto. Con cautela, come se stesse porgendo un pezzo di pane ad un cane impaurito, diede a Bucky il cumulo di fogli disegnati, che venne preso con insicurezza gentile dalla mano destra del moro. James socchiuse le labbra e si lasciò attrarre dal veloce schizzo sotto i suoi occhi, composto in maniera orizzontate.
Volti in miniatura ma perfettamente in proporzione, rigorosamente incastonati e obbligati a seguire le regole del realismo anatomico. Erano profili, uno dei quali ritratto dal vero, sul momento. Uno era certamente Steve, lo si capiva dalla forma del naso, dalla barba folta, dall'ombreggiatura leggera delle labbra, e dal taglio degli occhi semichiusi, brillanti da un leggero tocco di inchiostro che donava lucentezza all'iride. Difronte a lui, distanze in maniera quasi vuota e bisognosa, il secondo soggetto, che era Bucky. Tutto era perfettamente fedele alla realtà, di una bellezza singolare e magnifica. La spigolosità della mascella, la rotondità del mento, la piega del labbro e la linea del naso perfetta. L'increspatura della fronte dolce, innocente e tenera, dava spazio un po' più giù, dopo la forma delle sopracciglia, agli occhi chiusi di James, allungati dalle ciglia morbide. I capelli erano corti, il viso liscio, privo di barba, e l'espressione serena. Era Bucky, ma non era lui; Steve lo aveva ritratto come appariva nel suo ideale, senza conoscere il particolare più importante, ovvero la sua malattia. Steve aveva rappresentato Bucky senza la sua malattia, e per la prima volta dopo anni, James riuscì a distinguere se stesso, ad avere malinconia per come avrebbe potuto essere, se la decomposizione non lo avesse inghiottito.
Nello spazio che divideva i loro visi perfettamente in equilibrio con la linea d'orizzonte, in prospettiva e da lontano si potevano notare due mani, estremamente particolarizzate, perfettamente sfumate, una meravigliosa rappresentazione. Quella sinistra appartenete a Bucky era morbida, rivolta delicatamente verso il soggetto difronte a se, con i polpastrelli verso l'alto, e le dita armoniose. Quella di Steve invece si accingeva a sfiorare il palmo dal basso, senza stringere la mano di Bucky.
James rimase con le labbra ancora semichiuse, la gola secca e gli occhi incollati al disegno. Steve si godette ogni impercettibile emozione suscitata dal suo lavoro su di James, in silenzio, senza disturbarlo. Indicò il disegno con gli occhi, anche se Bucky non lo stava guardando in viso.
«Questi sono Steve e Bucky dell'universo parallelo. Stasera loro si sono presi per mano, noi no, ma non fa nulla, perché su questo disegno è come se fosse successo davvero.» disse Steve, di nuovo oggetto dell'attenzione emozionata e timida di Bucky.

Vita decomposta ||Stucky AU|| ✔Where stories live. Discover now