62. Felino su Robert, olio su tela

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Le foglie erano così fitte che gli ci volle molto più tempo di quanto avrebbe voluto per sentire il respiro lento e quasi assonnato che aleggiava nella radura dove sapeva di averla trovata. Sapeva che era lì ma non la vedeva. 

"Shoshanah." Chiamò il figlio di Efesto, coperto da punte di zanzara, sudore e insetti schiacciati, più di quanti avrebbe preferito. Gli occhiali avevano continuato ad appannarsi e ad un certo punto si era scocciato così tanto di pulirli che li aveva semplicemente cacciati nella tasca dei pantaloncini e aveva proceduto praticamente, e non per modo di dire, alla cieca. Il luogo dove l'aveva richiamato il suo istinto non era ben identificabile alla sua povera vista: appariva un sacco verde e l'umidità, l'ossigeno, i profumi, gli davano l'impressione di essere ubriaco. Per questo l'aveva trovata. 

Aveva camminato sentendosi sempre peggio fino a che non aveva raggiunto il posto dove davvero la definizione perdere il senso dell'orientamento sarebbe stata eufemistica. 

Anche quel breve richiamo gli richiese molta concentrazione, quasi troppa per quella che già gli serviva per non prendere fuoco immediatamente di nuovo, cosa che sarebbe stata ben pericolosa, date le quantità di ossigeno altissime e il verde. Forse l'umidità avrebbe fatto qualcosa, ma prima avrebbe bruciato di nuovo qualcuno. 

Quando la voce di Robert si levò nel coro della foresta, Shoshanah spalancò gli occhi e sentì che il suo cuore mancava un battito. Si era addormentata, affogata com'era nel suo dolore e nella sensazione di impotenza. Aveva perso coscienza di sé in un sonno nervoso e pieno di immagini psichedeliche, in cui le sue più recesse speranze si legavano agli eventi reali di cui purtroppo era stata testimone.  

Si mise seduta lentamente, attenta a non produrre alcun rumore che risultasse particolarmente interessante all'interno del canto della natura. Come diavolo aveva fatto a trovarla? Era impossibile che l'avesse vista: si trovava sopra il suo piano di visione, nascosta da una foltissima vegetazione che il suo stesso potere aveva reso rigogliosa. In secondo luogo, sapeva benissimo che Rob era praticamente cieco. Quindi opzione da inevitabilmente scartare. Dunque? Cos'altro? Shoshanah decise che non era il tempo di trovare una spiegazione: doveva scappare, prima che il grosso figlio di Efesto battesse palmo a palmo la zona fino a trovarla. Se era giunto fin lì, potevano esserci due motivi: o voleva riportarla al campo o voleva ucciderla. Nel dubbio, Sho pensò che fosse meglio levare le tende.  

Si alzò silenziosamente e si insinuò nello spazio tra le enormi foglie di una delle felci che avevano contornato il suo giaciglio. Approfittò della posizione per identificare Rob. Non fu difficile: i suoi capelli rossi spiccavano nel verde come una pallina su un albero di Natale. Impossibile non notarlo. Considerò la distanza tra lui e sé stessa, decidendo infine di tentare l'ardito passaggio da un albero all'altro per sfuggire al suo inseguitore e inoltrarsi ancora un po' all'interno del ventre sempre più fitto della foresta panamense. Si aggrappò a una delle schegge di corteccia del tronco e posò insicura il piede sul ramo vicino, che scricchiolò penosamente. Sho diede un'occhiata alle sue spalle, ma notò che il ragazzo si guardava attorno confusamente, di certo non l'aveva sentita.  

In un impeto di coraggio staccò entrambe le mani dalla sua unica sicurezza e le tese in avanti, in un tentativo cieco di afferrare qualcosa. Fortunatamente la mano sinistra si scontrò contro il tronco dell'albero e la figlia di Dioniso impersonò per qualche prezioso istante un leggermente sovrappeso bradipo, prima di ritrovare un briciolo di equilibrio e riaprire gli occhi, chiusi per ogni evenienza di morte incidentale. Si ritrovò ad abbracciare passionalmente il tronco fortuitamente spesso di una pianta sufficientemente frondosa per nasconderla, ma le buone notizie non finivano qui. I suoi occhi violetti si fissarono in quelli dorati di un animale, appostato sul ramo opposto sul quale era così magistralmente atterrata. Un animale molto carino, una specie di gattino. Un gattino che ha fatto uso di anabolizzanti per tutta la sua vita, però. Per farla breve, Shoshanah si trovò a fronteggiare il muso di un bellissimo esemplare di ocelot. Che era piuttosto intento a ricambiare il suo sguardo, muovendo lentamente la coda. Sho pensò di fare un passo indietro, ma quando spostò il tallone, si rese conto che sarebbe stato impossibile fare retromarcia, a meno che non avesse voluto lanciarsi nel vuoto e tentare la presa sul suo vecchio tronco come se fosse stato un quadro svedese. Decisamente infattibile. Perciò tornò a guardare il gatto malcresciuto e quando questo diede l'idea di volersi alzare per muoversi, la ragazzina decise che qualcuno lì doveva essere rimesso al suo posto al più presto. 

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora