Capitolo venti - Dialogo con Dio

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Firenze era una delle città più belle e intrise d'arte che avessi visto. Passeggiavamo fra quelle strade e ci pareva di sentire la voce di Dante che ci salutava in endecasillabi, a volte mi soffermavo su qualche scorcio e lo fissavo nella memoria come se lo volessi dipingere nel mio cuore. Ci fermammo a prendere una cioccolata calda in un piccolo bar nelle vicinanze del Duomo di Santa Maria del Fiore, ne potevo vedere la cupola quando alzavo gli occhi al cielo; consumammo la cioccolata e i biscotti che ci avevano portato per accompagnarla e poi ci dirigemmo verso una delle opere d'arte che più mi facevano commuovere.

Stava lì, imponente e fiera, così femminile, quella cattedrale di marmi policromi, sormontata da una cupola mozzafiato e affiancata dal bel campanile. Era la prima volta che la vedevo e ne rimasi sinceramente meravigliata. Dio abita nella bellezza e nella meraviglia. Decisi che quello doveva essere il posto più vicino a Dio, per via di tutti quei sentimenti che mi faceva scuotere nel cuore.

Càel mi prese per mano, e insieme varcammo la porta per entrare, Elia rimase in secondo piano e ci seguì sorridendo.

Lo spettacolo all'interno fu altrettanto struggente, ma l'apice lo raggiunsi quando, precisamente sotto la cupola, alzai lo sguardo e conobbi in tutte le sue pitture dall'interno. Piansi.

Un sovraffollamento di Angeli e Santi, tutti intrecciati e in circolo, sembrano salire e rincorrere una meta più alta. Quanta luce. Un po' ebbi la sensazione di soffocare, di essere schiacciata, di essere terribilmente piccola e insignificante. La paura di essere inutile in contrasto con la consapevolezza di essere parte di un progetto grande. La consapevolezza di essere libera. La sensazione di essere conosciuta e amata da qualcosa che ancora non decifravo.

Càel era dietro di me, mi poggiò una mano sul cuore.

« Batte forte. Lo senti quest'amore Bree? Lo senti?»

« Da dove viene?»

Ero letteralmente pervasa da una sensazione paradisiaca, una pace ancora più quieta di quella che a volte provavo; era come se improvvisamente attorno a me non ci fosse più nessuno. Ero sola con quest'Amore inspiegabile.

A passi indecisi arrivai all'inginocchiatoio, rivolta con gli occhi piangenti davanti al bellissimo altare che custodiva quella che a me pareva la fonte di tutto. Da quel pomeriggio cominciò il mio dialogo con Dio.

Alla fine ce l'hai fatta. Ci è voluto tanto per incontrarci. Quindi esisti davvero?

Che strano incontrarti adesso, quando tutto sembra andare bene ma allo stesso tempo tutto si frantuma.

Sono sola? Chi sei tu? Sono innamorata di Càel? Elia merita il perdono? Ho paura.

Molti dicono che tu sia la loro forza. Che ne dici di essere anche la mia? Perché io da sola proprio non ce la faccio.

Tu mi conosci? Hai visto di quante cose mi distraggono dal mio vero obiettivo? Cerco di fare più cose per sentirmi meno sola e più amata, ma non funziona. Sto ottenendo fama, non amore. Il successo non credo sia la mia via, la mia strada. Lo sai, mi hanno invitata a questo festival, è pieno di gente importante, qualcuno mi ha detto "potrai sfondare nel mondo della vendita dell'arte". Ma io mica la voglio vendere l'arte, io ci voglio vivere, è diverso. Eppure all'inizio era proprio ciò che volevo. Anche Elia era ciò che desideravo. Ma cosa gli è successo?

Chissà se risponderai mai alle mie domande.

Aprii gli occhi di scatto. Avevo smesso di piangere e avevo concentrato tutta la pace in quel dialogo a una voce, apparentemente senza risposte.

« Tutto bene? » Càel era accanto a me e mi teneva ancora la mano, probabilmente me la tenne per tutto il tempo. Com'era bello quel suo sorriso.

« Benissimo»

Prima di tornare in albergo ci fermammo ad ammirare il fiume Arno dal centro di Ponte Vecchio. Il sole stava tramontando e noi tre eravamo incantati a guardare quelle sfumature incandescenti che facevano brillare tutto.

D'istinto mi voltai verso Elia e appoggiai con affetto la mia testa al suo braccio. Càel si allontanò e ci lasciò soli.

Tornai a guardare quello sguardo complicato di un uomo che sembrava tranquillo ma che allo stesso momento aveva un'inquietudine dentro che lo tormentava.

« Elia, ti perdono...»

Fu lui a commuoversi, ridendo e piangendo mi abbracciò forte e mi baciò la fronte. Non c'era più inquietudine nel suo sguardo, solo pura e semplice gioia. Lo meritava il mio perdono, anche se ancora non avevo capito bene cosa avesse provocato quel suo cambiamento.

Dopo un veloce aperitivo tornammo in albergo per la cena, e per riposarci prima della grande giornata.

Per cena il ristorante ci aveva proposto pennette all'arrabbiata, filetto di maiale in crosta e una macedonia, tutto accompagnato con del buon vino rosso toscano.

Ero felice.

Elia ci aveva salutati ridendo e si era recato nella sua camera al piano superiore mentre noi, stanchi morti, chiudemmo la porta della nostra matrimoniale.

Lentamente ci preparavamo per dormire, forse un po' in imbarazzo e contemporaneamente felici di poter trascorrere una notte insieme. Andai in bagno e mi lavai la faccia per rimuovere tutte quelle frastornanti emozioni vissute, anche se non si potevano cancellare con un po' d'acqua calda. Sentii bussare alla porta e Càel parlare con una persona, probabilmente un addetto dell'albergo.

« Bree!! Vieni!»

Colta dalla sua voce entusiasmante, corsi fuori per capire cosa stesse succedendo.

« Sbaglio o di la abbiamo una splendida vasca idromassaggio?»

Diventai prima rossa, poi bordeaux, poi bianca. Di fronte a me stava un carrellino con una bottiglia di Spumante immersa nel ghiaccio, due flut e due piatti pieni di pasticcini dolci. Non credevo ai miei occhi, da Càel non me lo sarei mai aspettato.

Continuava a sorridermi mentre apriva la bottiglia.

Per fortuna che una donna in queste situazioni sa sempre cosa fare e riesce sempre a cavarsela; avevo portato con me il costume da bagno – altra intuizione femminile – e così riuscii a non crearmi troppi problemi.

Ci trovavamo l'uno di fronte all'altra, immersi nell'acqua calda che continuava a giocare e a confondersi fra la nostra pelle; vi era anche qualche piccola luce incastrata fra le curve della vasca che colorava l'acqua secondo tonalità calde o fredde a seconda della temperatura dell'acqua. Era spazioso quel piccolo nido d'amore, avevamo la libertà di tenere i nostri corpi a distanza ma reagivamo come fossimo state due calamite e per una forza attrattiva le nostre mani non la smettevano di sfiorarsi anche solo accidentalmente o grazie ad una scusa.

Di quei momenti non ho ricordi lucidi, ma ricordo che ci fu un silenzioso istante durante il quale le sue mani sfiorarono le mie labbra e i suoi occhi le osservavano.

« Sono innamorato di te. Ti amo Bree.»

Mi spaventarono quelle parole. Io lo amavo? Mai come allora pesai quella parola: "Amore". Improvvisamente fu come se non riuscissi a trovare dentro di me una definizione appropriata, però ero certa che ciò che stavo cercando non si trovava tutto in Càel. Una parte sì, ma non tutto. Non mi bastava.

Che cosa amavo?

Càel era al primo posto fra le persone che pensavo di amare. Prima di lui c'erano solo i miei genitori. Quelle due anime perfette che hanno dato alla luce la mia vita. Quei due corpi che hanno generato la mia carne. A loro devo i miei respiri.Come si può non amare i propri genitori?E soprattutto, come poter definire l'amore che vi sta alla base? Non si può. Capii che non c'era più bisogno di definizioni, che non si poteva dare a tutto una spiegazione, e infine decisi che neanche all'amore era possibile darne uno. L'amore bisogna solo viverlo, non definirlo.


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