Capitolo dodici - Una nuova consapevolezza

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Dormii pochissimo quella notte, continuavo a rigirarmi nel letto per trovare una posizione comoda ma il problema non era quello, quanto piuttosto riuscire a calmare il respiro e il battito del cuore. Verso le quattro di mattina scesi senza speranze dal letto e mi diressi in cucina per prendere un bicchiere d'acqua; preoccupata mi strascicai lungo i corridoi di casa con la bottiglia e il bicchiere, rientrai in camera e mi andai a sedere di fronte alla finestra sul bosco in camera mia. La luna era piena e ancora una seconda volta durante quella notte mi trovai a fissarla; stavo in silenzio con il bicchiere ormai vuoto fra le mani, finché non mi parve di vedere un volto fra gli alberi al buio. Mi alzai di scatto e aprii la finestra per vedere meglio, ma niente, solo una gelida ventata che mi scompigliò i capelli. Dovevo assolutamente dormire, dopo poche ore avrei dovuto affrontare la giornata più bella della mia vita.

La tazza con il latte caldo fumava di fronte a me e i miei occhi non volevano saperne di stare aperti. Era la mia tazza preferita, rosa cipria, l'aveva comprata mia mamma a Parigi e la usavo per le occasioni importanti. Mi ero raffreddata quella notte, per colpa della finestra che avevo lasciato aperta, e il mio pigiama caldo non era bastato a proteggermi dal freddo. Sorseggiavo il latte caldo e tentavo di penare alle cose che mi mancavano da fare: per prima cosa dovevo passare dal fioraio a ritirare i fiori e andare al bar per creare al momento le composizioni, passare a prendere Lucia in stazione, mangiare con lei, cambiarci e passare in laboratorio a prendere le tele che avevo deciso di portare al locale come decorazione. Sembrava facile, no? Eppure ero completamente spaventata.

Ma a cosa serviva avere paura? Cosa avrebbero provocato tutte quelle brutte sensazioni? Mi avrebbero solo rovinato la serata, e avrebbero portato ad emozioni ancora più negative. Certo, ero spaventata, non sapevo dove fosse finito Càel e non sapevo perché Elia era stato così piacevole la sera prima, ero spaventata per un nuovo inizio, per un nuovo capitolo. È sempre così: quando cominci un nuovo dipinto hai sempre paura di sporcare la tela, non sai se fare il primo tratto obliquo o verticale, a volte non sai proprio cosa dipingere e allora aspetti l'ispirazione, hai paura, ma ti bastano pochi tratti e poi viaggi verso l'ennesimo capolavoro della tua vita. E se poi non ti piace? Se poi sbagli? Niente panico. Tutti gli artisti devono affinare la propria tecnica, e noi non siamo altro che artisti che lavoriamo al capolavoro della nostra vita. Affrontai tutto con uno spirito diverso, migliore, ma dentro di me restava nascosta un'inquietudine non sana che rischiava di rovinare tutto.

Mi affrettai verso quella giornata piena di cose che avrebbero cambiato il mio futuro e mi decisi ad uscire di casa, ma poi tornai indietro: volevo con me il Rosario della nonna, lo stesso che avevo trovato anche a casa di Càel.

Passai dal fioraio e ritirai le rose bianche e le foglie da posizionare assieme a loro.

«Bree, è passato di qui un uomo poco fa e mi ha fatto preparare delle composizioni da portare al locale stasera, ne sei a conoscenza?» Così mi disse Marco, il fioraio.

«No, non ne sono a conoscenza ma penso già di aver capito di chi si tratta...» Sbuffai alzando gli occhi al cielo. Elia doveva sempre fare le cose in grande.

«Le porto per le cinque al locale?»

«Se riesci si, e per favore, se ti ha ordinato dei fiori rosa, sostituiscili con bianchi e rossi. Almeno si intonano col resto...».

Salutai con un sorriso pieno di gratitudine verso quell'omone che stava nascosto dietro le sue montagne di fiori, e mi diressi con le braccia piene di rose, alla mia macchina.

Parcheggiai abbastanza vicina al locale ma dovetti fare un piccolo pezzetto a piedi con tutto il carico che avevo dietro. Camminai per qualche metro ma quasi subito mi bloccai davanti all'entrata della chiesetta che stava in quella stessa strada. Non l'avevo mai vista aperta, o forse sì ma non ci avevo mai fatto caso, sentivo una musica di organo provenire da lì: entrai.

Era quasi tutto buio a parte una specie di luce dorata che stava esattamente al centro della navata, sull'altare. Solo dopo aver messo a fuoco vidi un Ostensorio completamente dorato, bellissimo, di quelli che avevo sempre visto nei libri di storia dell'arte ma che mai avevo visto davvero, se non in qualche museo, mai ne avevo conosciuto la vera funzione. Al centro stava quella che sapevo essere un'ostia grande, e attorno a lei tanti raggi dorati spuntavano per farle onore. Mi avvicinai ancora di più, involontariamente, e mi sedetti un attimo per poterlo ammirare da più vicino. Avevo sempre pensato che l'unica funzione di un ostensorio fosse contenere l'ostia durante i momenti che i cristiani chiamano "Adorazione Eucaristica", ma in quel momento cambiai idea: non era solo un contenitore, era un mezzo per esaltare quel bianco candido al centro, era qualcosa di estremamente bello che mi diceva "Guardami!". Effettivamente scorsi nell'ombra una persona, un ragazzo mi pareva, seduto con lo sguardo rivolto a questa strana luce. Ma non era semplicemente uno "sguardo rivolto", avvicinandomi di più mi accorsi che quello era uno sguardo innamorato. Non seppi spiegarne il motivo, ma ricordo che di colpo ebbi la sensazione di avere voglia di starmene seduta anche io, in penombra, illuminata solo da quella luce. Mi sedetti e dopo qualche minuto di silenzio la mia mente tornò alla nonna e al suo Rosario che avevo deciso di portarmi dietro: lo presi fra le dita e con delusione mi accorsi di non saper usarlo nel modo corretto. Cercai di sforzarmi per ricordare l'unica preghiera che più mi era rimasta impressa:

Angelo di Dio, che sei il mio custode,

illuminami, custodiscimi, reggi e governa me,

che ti fui affidata dalla Pietà Celeste.

Amen

Pensai molte cose nei secondi che succedettero quella preghiera, ma soprattutto ripensai a tutte le mie teorie su questo strano Dio, ed un pensiero si fece largo nel mio cuore: Mi ha affidata ad un angelo custode.

Cos'è un angelo? Perché fa da tramite a Dio?

Mi sentii consolata. Improvvisamente tutte le paure di quei giorni, tutta quell'angoscia che mi logorava il cuore parve per un attimo fermarsi ed essere sostituita alla consapevolezza che qualcuno mi avrebbe protetta da tutto. Non mi immaginavo certo catastrofi imminenti o il Giudizio Universale, ma sapevo che c'erano molte cose dalle quali avevo bisogno di essere protetta. Per esempio da me stessa. Da quel momento un velo di pace scese su di me, e anche se sentivo che poteva essere strappato non appena fossi uscita da quel luogo pieno di sollievo, sapevo che avrei potuto ritrovarne uno nuovo esattamente lì. Completamente frastornata da questa nuova scoperta, uscii dalla Chiesa con tutto il carico di rose e mi diressi verso il bar.

Ti regalo l'infinito (Completo - In Revisione)Where stories live. Discover now