Capitolo undici - Un salto nel vuoto

52 0 1
                                    

Ero a casa di Càel la sera prima dell'inaugurazione del nuovo locale; avevamo cercato musicisti e barman per la serata, tutti ragazzi dal talento emergente. Eravamo felici, molto. Stavamo festeggiando con una bottiglia di vino e un paio di panini che mi ero fermata a comprare poco prima, ridevamo tranquilli e ci lasciavamo trasportare dalle emozioni. Ricordo perfettamente l'attimo in cui mi alzai da tavola per sparecchiare e lui fece lo stesso con una certa fretta, ricordo come si avvicinò e come mi guardò, in un modo che difficilmente si scorda, mi sfiorò una guancia e mi baciò lentamente sulle labbra e subito le dolci insicurezze divennero fiammeggianti desideri. Le sue mani d'improvviso forti e grandi mi strinsero le braccia e mi guidarono verso la stanza da letto, trascinandomi in una specie di oblio che non riuscivo a controllare. Accadde tutto in fretta, eravamo insaziabili e l'uno cercava di nutrire l'altra, le mani sfioravano e la labbra baciavano. Poi un urlo, un urlo straziante riempì l'intera casa, e vidi Càel accartocciato su se stesso, pieno di spasmi e con i muscoli contratti. Mi spaventai e mi allontanai subito da lui cercando di capire cosa mai stesse succedendo e se avesse bisogno di aiuto; corsi in sala e cercai il cellulare nella mia borsa per poter chiamare un'ambulanza, ma quando tornai in camera la finestra era spalancata, le tende svolazzavano e di Càel nessuna traccia. Le braccia mi crollarono e una sensazione di terribile spavento mi assalì; mi avvicinai al davanzale della finestra e mi affacciai sotto per cercare spiegazioni. Appoggiai la mano al davanzale e qualcosa sotto al palmo mi punse leggermente, con un movimento cauto e svogliato guardai cosa avevo toccato: quasi svenni.

Stava lì, luccicante, che catturava i riflessi della luna, un rosario splendente esattamente identico a quello di mia nonna che avevo trovato qualche giorno prima.

Prese a girarmi la testa, una serie di immagini mi turbinarono nella mente senza lasciarmi respirare e obbligandomi ad accasciarmi per qualche minuto al pavimento. Dopo circa mezz'ora di riflessione e di shock mi decisi ad alzarmi e tornarmene a casa mia per tranquillizzarmi. Chiusi dietro di me il portoncino dell'appartamento di Càel e mi avviai a piedi verso casa mia, gettando un'ultima occhiata verso la finestra che avevo lasciato spalancata. Un salto di quasi dieci metri e di lui nessuna traccia. Mi affrettai verso casa ancora con le labbra indolenzite da quei baci, segno chiaro che quei baci c'erano stati e che non era stato solo un sogno. Ero completamente agitata e mentre svoltai l'angolo di casa mia travolsi con una spallata un ragazzo con un cappotto nero.

«Ti chiedo scusa!» mi affrettai a dirgli.

«Bree, tutto bene?» Elia.

«Elia? Ma che diavolo ci fai sotto casa mia?»

«Volevo passare a farti un saluto ma tua madre mi ha detto che avresti passato la sera da Càel, così ho pensato di aspettarti qui...»

«Tu sei pazzo»

«Domani sera verrò all'inaugurazione, se per te non è un problema...Anzi, vorrei accompagnarti io se è possibile».

« Sono impegnata con Càel, se non te ne fossi accorto; mi pare che sia stato lui ad aiutarmi a realizzare il mio sogno...»

Una risata gli sgorgò dalle sue più intime viscere.

«Sì, sì hai ragione. È stato lui. Bene, ora che ho visto che va tutto bene e che niente ti turba, e che dormirai sonni tranquilli immaginandoti tra le braccia del tuo Càel, posso andare. Il mio lavoro è finito qui...»

Quanto era bravo Elia con le parole, non smetterò mai di ripeterlo; aveva la capacità di piegare tutto a suo volere, ti metteva in condizione di dargli ragione, ed effettivamente quella sera qualcosa nelle sue parole emanavano una strana sensazione di verità. No, non avrei dormito sonni tranquilli e non ero per niente tranquilla e chissà per quale strano motivo, lui lo sapeva, in cuor suo sapeva che non era nulla a posto. Forse lo leggeva dai miei occhi, forse lo capiva da come mi tormentavo una ciocca di capelli, forse lo capiva dal mascara colato.

« Perché mi dici così?»

« Hai il respiro affannato, ti stai torturando i capelli. Se potessi sentire il tuo battito cardiaco sicuramente potrei diagnosticarti un infarto in corso. Hai il volto sconvolto Bree. Cosa è successo?». Scandì le ultime parole con decisione e con chiarezza, e lì presa dalla paura, fui costretta ad invitarlo a casa per raccontargli tutto mentre bevevo una camomilla.

Eravamo in salotto, io sul divano con la camomilla in mano e il plaid sulle spalle, lui affacciato alla finestra, rivolto alla luna con la sigaretta fra le labbra.

« Un salto nel vuoto per più di dieci metri...»

« Elia, lui stava soffrendo, urlava e aveva i muscoli contratti! Io avevo paura!»

« No, non soffre, lui ama...»

« Che vuol dire? Elia cosa sai?»

Spense la sigaretta e la gettò nel posacenere sul davanzale, prese il cappotto e si avvicinò al mio volto ancora più stravolto di prima.

« Riposati Bree, domani sarà un giorno speciale. Chiamami per qualsiasi cosa, e cerca di non dire in giro ciò che hai visto questa sera...»

« Ma dove stai andando?! Ma cosa avete tutti che scappate senza farmi capire nulla?!»

Sorrise. «Vuoi che resti a dormire con te?»

« Sei un cretino!» Gli lanciai un cuscino e gli misi il broncio. Lui sorrise ancora, era sereno e non pareva affatto preoccupato di lasciarmi sola. «Buonanotte Bree!» E chiuse dietro di se la porta.


Ti regalo l'infinito (Completo - In Revisione)Where stories live. Discover now