Uno o forse anche due.

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Sono appena uscito dalla sala operatoria. Dopo il giro visite di stamani ho passato sei ore in sala. Tra quelle mura verdi a tagliare, togliere, aggiungere. Guarire. Sì, in qualche modo, guarire. Un braccio. Una gamba. Un polso. Un dito. Avevo fatto tre domande di specializzazione. Tre test. Superati tutti e tre. I miei, in primis, hanno storto il naso quando ho scelto ortopedia, invece di cardiologia e neurologia. Eppure io non ho esitato un attimo. Mi piaceva l'idea di aggiustare. Aggiustare qualcosa che si è fratturato. Qualcosa che ti ha fatto male. E l'hai sentito. Hai sentito il crack. La rottura. Ma nonostante questo sai che non è la fine. Che si può mettere a posto. Sai che c'è una seconda possibilità. Le ossa hanno questa peculiarità. Nonostante la loro durezza sanno rimettere a posto i cocci. Riunirsi. Come a dire, se una cosa si rompe non è vero che non può tornare come era prima. Mi affascinava questo. Aveva un non so che di romantico. Ovviamente non l'ho mai detto a nessuno. Certe cose non ce le si aspetta da uno, superficiale, come me.

Sto per andare nello spogliatoio a cambiarmi ed uscire. Però. Però. Qualcosa che parte dal mio stomaco e percorre la mia schiena e poi le ginocchia mi induce a fermarmi davanti a quella porta. Davanti a quella stanza. A quel numero. 29. Beffardo il destino. 29 come 29 settembre. Il mio compleanno. Ma io non credo a queste cazzate. È un numero e basta. E quel ragazzo oltre la porta è solo un altro ragazzo. Che tra qualche settimana andrà via. Ed io voglio solo rendergli la sua permanenza qui un po' più difficile. Tutto qui. La mia mente lo sa. Solo che il mio corpo si ribella. E allora assecondo la carne. Il peccato. E fanculo. Apro la porta. Senza neanche bussare. Lui è lì. Con la testa china su di un libro. Per la prima volta da quando l'ho rivisto il fiato mi manca. Senza volerlo. Succede e basta. Quel suo ciuffo scompigliato. La barba un po' incolta. Quella t-shirt nera. Nera come i suoi occhi. Che dopo qualche secondo si alzano e guardano in mia direzione.

Oggi è la seconda volta che si incrociano. È la prima volta che sul mio volto si disegna un sorriso. Piccolo ma quanto basta. Me ne accorgo perché Mario sembra non capire. È stupito. Sono sempre stato duro con lui. Sempre formale. Ma questo sorriso è venuto da sé. Come reazione spontanea a tutta quella bellezza. Pura non ostentata. È la seconda volta che non mi controllo. È successo adesso. Era successo stamattina. Quando gli ho dato del tu. Quando l'ho chiamato Mario e non signor Serpa.

"E' successo qualcosa? Mi dimettete?"

Torno in me.

"Certo che no. Mi spiace ma dovrà passare un altro po' di tempo qui con noi."

Torno il Claudio di sempre. Quello inespressivo. Quello manierato. Quello indifferente.

"Stava sorridendo quindi credevo mi portasse buone notizie."

Incredibile. Scopro che Mario sa rispondere usando frasi intere. E mi mette pure in difficoltà. In qualche modo credo sia proprio quello che vuole.

"Bisogna sempre sorridere. Soprattutto in posti come questo".

Mi rendo conto che è la risposta più banale che potessi dare. Almeno è una frase che si addice perfettamente ad una figura professionale come la mia. Un medico esemplare.

"In realtà ero solo passato per ricordarle che domani ha la sua prima seduta con il fisioterapista. Si ricorda?"

Stavolta sorrido per tutta la durata della frase. Volutamente.

"Certamente. Me l'ha detto stamattina. Mica mi dimentico."

Questa volta lui mi risponde quasi stizzito. Come sempre d'altronde.

Ed io vorrei sorridere ancora più forte. Anzi vorrei proprio ridere. Perché mi diverte un sacco vederlo un po' arrabbiato. Un po' incazzato.

"Ho spesso a che fare con pazienti che si dimenticano le cose e devo ripeterle. Mi fa piacere lei abbia una buona memoria e sia uno che non dimentica."

E proprio come questa mattina il mio sguardo è fisso su di lui mentre pronuncio quelle parole. Mario cambia espressione. Qualcosa nei sui occhi si accende. Sento che quasi sta per scoppiare. Ma anche questa volta non gli lascio diritto di replica. Lo lasciò lì. In sospeso. Saluto. Sorrido e vado via.

Vado via anche se questa volta, a differenza di stamani, un piccolo battito del mio cuore si è fermato lì. In quella stanza. Davanti al suo letto. Dentro ai suoi occhi. Uno o forse anche due.

Quando imparerai ad amarmiWhere stories live. Discover now