Capitolo 18

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TYLER

Ridere e scherzare con Élodie era la cosa che avrei voluto fare per sempre, ma, per quanto fossi bravo a fingere in sua presenza, non sarei mai riuscito a esserle solo amico. Tra di noi c'era sempre stato un qualcosa di più che non avremmo mai potuto cancellare neanche provandoci seriamente come stavamo facendo in quel momento.
Infatti quella sera, dopo essere passato a prenderla, aveva sentito qualcosa di diverso nell'atmosfera e, sebbene avessimo passato il tragitto in macchina in silenzio, avevamo fatto un gioco di sguardi e frecciatine che si allontanavano molto dall'essere solo amici. Era allora che avevo capito che quella amicizia non ci sarebbe mai bastata.
Purtroppo però la situazione che si era creata tra noi era scomparsa appena entrammo nel locale in cui c'erano già i nostri amici. Fu il suono del mio cellulare a distrarmi da Élodie e, sebbene non lo sapessi ancora, a rovinarmi la serata. Appena vidi il nome del mittente crebbe in me un senso di rabbia mischiato alla curiosità di sapere cosa volesse. Tuttavia decisi di ignorare la notifica e cercare almeno di godermi un minimo la serata.
La voce di Élo che mi chiese dove andare mi fece dimenticare un attimo di quel mio problema e riuscendo così a distrarmi.
Mi presi la libertà di appoggiarle una mano alla base della schiena per condurla al tavolo che avevamo riservato e fortunatamente lei non disse niente per farmela togliere.
In fondo gli amici lo fanno, no?
Quando vidi i ragazzi seduti intorno ad un tavolo mi fermai e, controvoglia, allontanai la mia mano da Élodie. Lei però non si decise ad andare avanti, ma al contrario rimase ferma sul posto, immobile davanti alla scena che le si presentava davanti, sembrava persino che le si fosse bloccata anche la respirazione. Non capii il perché di quel suo comportamento, ma decisi di non interrompere i suoi pensieri così da poterla ammirare senza che lei se ne accorgesse.
Passò un paio di minuti ad osservare i nostri amici parlare e interagire tra di loro senza mai distogliere lo sguardo. Sul suo viso vidi la felicità, l'affetto che provava verso quei ragazzi e, maggiore di tutte, la tristezza nel vedere i suoi amici pronti a tornare a casa.
Chissà lei quando si sarebbe decisa a tornarci...
Avrei voluto fosse pronta a rientrare ad Orlando così che avessimo potuto riprendere le nostre vite in quella città, ma sapevo e capivo che i ricordi che quel posto ospitava erano troppi e ancora troppo freschi per essere rivissuti. Per questo motivo non avevo ancora aperto quella discussione con lei e le aveva lasciato tutto il tempo che voleva, anche se questo poteva essere dolorosi per me.
In quel momento Élo spostò lo sguardo dai suoi amici e sembrò tornare con la testa nel locale.
Decisi di mettere fine a quel momento ricco di emozioni e sentimenti per andare dagli altri.
« Vogliamo fare la nostra entrata in grande stile?» chiesi sorridendo.
Lei si riprese totalmente dal suo stato di trance e, ricordandosi che io ero al suo fianco, si voltò verso di me. Potevo giurare di aver visto le sue guance colorarsi leggermente di rosso, ma non mi lasciò neanche il tempo di chiederla perché era imbarazzata che proseguì verso gli altri.
« Andiamo!» disse solo.
La seguii lasciando che un ghigno divertito si disegnasse sul mio viso e, dopo aver salutato tutti, mi sederti sulla sedia a fianco di Élo.
La sentii parlare con gli altri fin da subito, ma non ascoltai la loro conversazione. Avevo di nuovo tra le mani il mio cellulare e, a mio discapito, avevo letto il messaggio che avevo ricevuto prima.
- È urgente. Chiamami.-
Era stato chiaro e conciso, ma non sarebbe servito solo quello a farmi dimenticare tutto ciò che era successo.
Come se mi avesse letto nella mente, il cellulare cominciò a vibrare e il nome di Travis apparve sullo schermo.
Non sarebbe stato tanto facile per lui contattarmi. Pigiai sulla cornetta rossa mettendo fine alla sua chiamata. Non sarebbero bastati una telefonata e dei messaggi a farmi tornare indietro.
Ovviamente lui continuò a chiamarmi non curante del fatto che io non avrei mai risposto. Misi il cellulare nella tasca dei jeans cercando di ascoltare gli altri e passare la serata in pace, ma il pensiero di quelle chiamate insistenti riuscì a sconcentrarmi dai miei amici.
Li guardai ridere e scambiarsi battute tra di loro, ma non fui mai realmente lì.
10 chiamate e altrettanti messaggi dopo però mi arresi.
Vaffanculo!
Mi alzai dalla sedia fregandomene del rumore che avevo prodotto e, borbottando qualcosa per rassicurare i miei amici, uscii fuori.
Ce l'aveva fatta. Anche a chilometri di distanza e dopo anni di assenza riusciva ancora a controllarmi. Mi conosceva troppo bene e sapeva che non sarei rimasto indifferente alle sue chiamate.
Visto che la fase in cui dovevo ignorarlo era fallita, decisi di intraprendere la fase due: dovevo affrontarlo.
Il telefono emetteva un bip a intervalli regolari vicino al mio orecchio, l'ansia mi stava divorando internamente e la rabbia mi faceva chiudere a pugno la mano libera facendo si che le mie nocche diventassero sempre più pallide.
« Sapevo non avresti resistito.»
La sua prima frase dopo anni di assenza mi lasciò spiazzato, ma se voleva avere quel tipo di conversazione allora non gliel'avrei negata.
« Che cazzo vuoi, Travis?» risposi brusco.
« Sapevo anche che mi avresti salutato così.» continuò con lo stesso tono di voce per niente turbato dalla ira che la mia voce lasciava trapelare.
« Mi hai chiamato per ricordarmi che tu sai sempre tutto? Messaggio ricevuto, addio!» non gliel'avrei lasciata vincere e chiusi la chiamata prima che potesse aggiungere altro.
Purtroppo però non sarebbe finita lì. Infatti qualche secondo dopo, il suo nome apparve nuovamente sullo schermo del mio cellulare.
Risposi.
« Sono ad Orlando. Dimmi dove abiti, dobbiamo parlare.» questa volta non c'era più traccia della sua strafottenza e del suo divertimento. Nel giro di un attimo si era fatto serio e autoritario capace di farti fare qualsiasi cosa. Avevo sempre ammirato questa sia dote; sapeva divertirsi quando era il momento e si faceva rispettare quando ce n'era bisogno.
« Non sono in città in questo periodo.» risposi tralasciando il fatto che non lo avrei voluto incontrare.
« E dove sei?» chiese ancora.
« Non sono affari tuoi.» sbottai ancora.
Quando lo sentii sbuffare pensai che finalmente si fosse arreso e che ricominciasse ad ignorarmi come aveva fatto per cinque anni, ma purtroppo non fu così.
« Senti, so che ti abbiamo trattato di merda e che non siamo stati proprio una famiglia modello con te dopo l'incidente, ma non puoi biasimarci. Non sapevamo cosa fare, avevi ucciso delle persone e infangato il nome della nostra famiglia.» cominciò, ma lo bloccai subito.
« Infangato il nome della famiglia? Ma ti senti quando parli?» chiesi sempre più alterato.
« Tyler, sai come l'ha sempre pensata papà e non puoi...»
« Appunto! Era papà che la pensava così non tu. Tu eri mio fratello, eri la persona a cui tenevo di più al mondo e colui che prendevo come esempio. Io mi fidavo di te e, per quanto fosse stato grave quello che avevo fatto, tu saresti dovuto restare al mio fianco per aiutarmi e sorreggermi.» gli urlai contro arrabbiato.
« Non era così semplice.» sussurrò.
« Bastava che parlassi con mamma e papà e loro ti avrebbero dato ascolto, mi avreste potuto far seguire da una psicologa o da una persona che sa come affrontare quelle cose, ma voi avete deciso di buttarmi fuori di casa. Avete ripugnato vostro figlio e fratello e avete pensato prima a ciò di cui avrebbe parlato la gente che al mio bene.» Continuai con disprezzo.
« Io non avevo voce in capitolo!» mi rispose con il mio stesso tono di voce.
« Mi avete abbandonato, questa è quanto e io non sono disposto a perdonarvi. Torna a Miami e fatti la tua vita perché io non sono disposto a riallacciare i rapporti con voi.» conclusi aspettando una sua risposta e sperando che mi desse retta.
Prima che però Travis potesse dire anche solo una parola, un'altra voce provení dalle mie spalle.
« Tyler, è tutto a posto?» chiese Élodie.
Avevo ancora i pugni serrati e non ero nello stato emotivo per avere una conversazione con lei, avrei sicuramente detto qualcosa di cui mi sarei subito pentito.
« Si, torna dentro, vi raggiungo subito.» le risposi cercando di controllare il tono della mia voce, ma fu tutto inutile.
Purtroppo per me però quel giorno nessuno voleva darmi retta e, invece che rientrare, lei si mise al mio fianco, mi guardò negli occhi e allungò una mano verso la mia. Delicatamente cercò di farmi aprire le dita strette a pugno così che il sangue riprendesse a scorrere normalmente in tutta la mano.
« Con chi stai parlando? Noi non abbiamo finito!» Travis ci interruppe.
« Te l'ho detto, io non ho più niente da dirti.» ringhiai serrando di nuovo il pugno e, prima che potesse rispondermi, chiusi la chiamata.
Respira.
Mi staccai bruscamente da Élodie e scagliai un colpo al cassonetto al mio fianco.
Respira.
Un calcio ammaccò la plastica.
Respira.
Pugno, calcio, pugno. Non ce la potevo fare, era troppo persino per me.
« Tyler» bisbigliò Élo avvicinandosi.
« Non avvicinarti!» gridai.
« Vuoi dirmi cos'è successo?» chiede cauta e continuando ad avvicinarsi a me.
Alzai lo sguardo verso di lei.
« No, rientramo.» dissi dirigendomi verso la porta.
La sentii seguirmi sconsolata, sapevo che non si sarebbe arresa e che mi avrebbe di nuovo chiesto cosa fosse successo, ma per il momento avevo bisogno di calmarmi.
Ci sedemmo di nuovo al tavolo, nessuno fece caso al nostro ritorno tranne Josh. Quest'ultimo infatti mi lanciò un'occhiata indagatrice chiedendomi silenziosamente cosa fosse successo.
« Mi ha chiamato Travis.» risposi come se non avessi appena avuto una discussione con lui.
Quando pronunciai quel nome anche Peter e Steven si voltarono nella mia direzione cercando di decifrare attraverso lo sguardo ciò che provavo. Quando fallirono nel loro intento, si guardarono tra di loro e, in sincrono, si alzarono dalle sedie.
« Andiamo.» disse solo Josh.
A quel punto non potei fare altro che seguirli con gli occhi di Élodie addosso mente mi allontanavo.

Fight for herOù les histoires vivent. Découvrez maintenant