Vecchi E Nuovi Nemici

86 2 1
                                    

E poi successe l'impossibile, ciò che non credevo minimamente possibile: l'auto d'epoca si arrestò proprio accanto alla nostra e un ragazzo si sporse dal finestrino, posando un gomito sullo sportello, mentre si tirava sui capelli castani gli occhiali da sole.

Strinsi in un pugno la maglia che indossavo in un pugno, quando riconobbi chi fosse. Era uno scherzo? Non poteva essere vero. Ma mi dovetti costringere a crederci nel momento nel quale sentii la sua voce squillante e roca chiedere se ci eravamo persi.

Era proprio lui. Non c'era alcun dubbio. Era Lorenzo.

Lo guardai a lungo, forse con gli occhi spalancati, perché lui si girò repentinamente verso di me e mi guardò come fosse stranito. Be', credo ne avesse ogni diritto, dato che lo stavo fissando con gli occhi fuori dalle orbite.

«Vi siete persi?» Chiese ai miei, riportando lo sguardo su mia madre, poi su mio padre, in attesa di una risposta. I suoi capelli castani erano ordinatamente spettinati, i suoi occhi color cioccolato brillavano alla luce del bollente sole, mentre il suo sorriso dritto e bianco mascherava una finta cordialità che, se fosse stato per me, avrei volentieri cancellato dalla sua faccia con una gomma, fosse stato almeno possibile o razionale su questa terra.

Alla domanda del gentil sconosciuto, mia madre annuì, lanciando uno sguardo come di rimprovero a mio padre, intenzionata forse a sottolineare agli occhi curiosi del giovane ragazzo il fatto che fosse stata colpa di mio padre. Lui sapeva che era così e non poteva di certo negarlo, o scaricare la colpa di qualcun altro che non fosse stato lui.

«Il nostro navigatore satellitare ha iniziato a dare i numeri e poi è morto, perciò ci siamo persi.» Ammise mestamente la donna, riportando il suo sguardo sul guidatore all'interno dell'Impala, che fece prontamente un cenno col capo.

«Immagino foste diretti al Kirwan Hotel e vi siate persi.» Affermò con convinzione Lorenzo, sfoderando uno dei suoi migliori, ma falsi, sorrisi: si poteva ben notare la sua ipocrisia.

«Sì. Anche tu devi andarci?» Curiosone e ficcanaso com'era mio padre, si permise di chiedere, più che altro, forse, perché desiderava ammirare da più vicino il gioiellino che aveva a pochi metri di distanza.

«Be' sì. Vi faccio strada.» Propose cordialmente, accennando un altro sorriso mentre portava sul sottile volante di pelle nera dell'auto d'epoca le sue grandi ma magre mani, come a spronare mio padre a mettere di nuovo in moto la vecchia Audi che, anziché accendersi con i suoi soliti singhiozzi e colpi di tosse, decise che era arrivata la sua ora.

Alla fine, riluttante, a causa del volere di quel catorcio metallizzato, fui costretta a ficcarmi nell'auto di Lorenzo, finendo fra mia madre e mio padre nei sedili posteriori, mentre davanti c'erano il proprietario del pezzo di antiquariato e un altro ragazzo del quale riuscivo a scorgere solo dei lievi tratti vagamente spigolosi di una testa di capelli corvini, alzati in una cresta abbastanza alta di gelatina e lacca; la sua mascella era stretta e, accanto agli occhi, quando rideva per le battutacce del suo amico, si formavano delle grinze di pelle di pallida ambra.

Durante tutto il viaggio tenni un auricolare in un orecchio, giusto per origliare le conversazioni sottovoce dei due ragazzi, mentre il motore rombante della vecchia Impala faceva da sottofondo ad alberi e infiniti campi incolti che passavano al di là del finestrino chiuso per il forte caldo.

«Posso sapere come ti chiami?» Sentii tutt'un tratto la voce di Lorenzo e io, facendo finta di nulla, come se non stesse parlando con me, spostai lo sguardo da un'altra parte, fin quando non lo sentii imprecare a bassa voce e spostare lo specchietto retrovisore in modo che mi potesse vedere da dove si trovava. «Nel caso non lo avessi capito, lo sto chiedendo a te, signorina.» La sua voce risuonò per tutto l'abitacolo con durezza.

72 Ore Con Il Nemico Where stories live. Discover now