Capitolo primo - Incontro

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Ricordo che stavo passeggiando.

Era una fredda giornata d'inverno, nevicava. Mi piaceva: quei fiocchi cosÍ bianchi, puri, candidi, soffici. Scendevano lenti, raffreddandomi anche il cuore. Entrai in un bar in cerca di caldo e ordinai una cioccolata calda.
Da tre anni avevo finito la quinta superiore e ora mi stavo dedicando all'università: studiavo Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo. La scelta di intraprendere questi studi è stata faticosa perché mi faceva paura iniziare una vita autonoma, scegliere cosa fare della mia vita. Mi è sempre piaciuto stare a contatto con l'arte, fin da quando ero piccolina e disegnavo insaziabilmente. Le scuole superiori -un istituto d'arte- sono state per me la conferma che di arte dovevo vivere. Sapevo che sarebbe stato difficile, che lavorare nell'ambito culturale non era il massimo, ma mi piaceva l'idea di poter creare occasioni per sensibilizzare le persone all'arte, che sia stato tramite eventi culturali o altre manifestazioni. Non rinunciavo all'idea che il mondo senza arte e cultura non potesse continuare ad esistere.
Arte per me non era solo quadri e dipinti -anzi, il pennello lo avevo appeso al chiodo da un po'- bensí era tutto ciò che appartenesse alla definizione di "bello".
Arte era scrivere, leggere un libro, ascoltare musica, immergersi in una sorta di mondo trascendentale.
Per questo portavo avanti un progetto, un progetto che avrebbe realizzato i miei sogni contribuendo con lo sviluppo delle Arti intorno a me, fra le persone, che le hanno messe da parte.
Mia madre e mio padre erano le prime persone che mi sostenevano,entrambi artisti: mia madre pittrice, mio padre restauratore; sono sempre stati contenti della mia passione, perché era per loro un modo per ricordargli che ero la loro figlia : da due artisti, nasce un'artista. Da piccolina organizzavo mostre private solo per loro, nelle quali esponevo i miei piccoli capolavori: composizioni colorate e brillantini sui fogli. Quella era la mia arte e a loro piaceva. Mia madre mi riempiva la camera di libri e mi insegnava a cercare tra le righe i significati delle parole cosí la mia passione diventava via via sempre più forte, fino ad arrivare a divorare interi libri, intere storie, interi mondi.
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Quando arrivò la mia cioccolata ero intenta nella lettura di "Il ritratto di Dorian Gray".
Oscar Wilde non era tra i miei autori preferiti ma quello era un periodo in cui gli Esteti del Decadentismo mi affascinavano particolarmente: "Coloro che scendono sotto la superficie lo fanno a loro rischio", diceva cosí in una delle sue frasi provocatorie della prefazione al libro che avevo tra le mani.

Un accostamento perfetto, cioccolato , odore di pagine e inchiostro. Frequentavo spesso quel bar che ormai non vedeva più tanti clienti quanto quelli di una volta: era partito molti anni fa come un semplice bar, poi vedendo che non entravano abbastanza soldi per pagare i rifornimenti, il proprietario aveva deciso di fare qualche serata notturna con dj e ragazze ammiccanti. Il risultato fu scarso: riempivano i divanetti di pelle sgualcita solo uomini di mezza età senza lavoro che spendevano i loro guadagni nel gioco d'azzardo e nell'alcol.
Ma io a quel bar ci ero affezionata. Nelle ore di luce si riempiva di un tepore familiare, la boiserie di legno chiaro dava quel tocco di provenzale e in primavera il pergolato di glicine all'esterno emanava un profumo che incantava.
Purtroppo però le spese diventavano insostenibili e la clientela si faceva sempre più disastrata. I proprietari erano due simpatici signori dall'animo elegante, ma erano quel genere di persone che lasciano cadere i propri sogni pur di guadagnarsi da vivere...
Quel bar era troppo bello per cadere a pezzi, ogni giorno che passava scompariva la delicatezza e la cura con cui era stato messo alla luce.

Il mio libro mi portava lontano,tra gli esteti di fine ottocento, mi portava a ragionare sulla bellezza e sulla contemplazione di essa, quando improvvisamente fui costretta a tornare nel mondo reale a causa di una flebile voce che mi chiese se potesse sedersi al mio tavolo perché gli altri erano occupati. Alzai gli occhi verso il ragazzo, sui venticinque anni credo, dall'aspetto abbastanza particolare. Sembrava uscito da quei borghi francesi pieni di artisti di strada : camicia bianca, gilet scozzese, capelli scuri mossi e lunghi ,occhi chiari.

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