Capitolo 8

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Il mio primo giorno libero dopo che Ginevra mi ebbe pagato, presi un taxi e mi feci portare dall'altra parte della città, verso il quartiere dove avevo sempre vissuto.
Mi stavo dirigendo verso la spa, per godermi una giornata di relax come ai vecchi tempi, lontana da Luca e dai dubbi che mi assalivano ogni volta che dovevo stargli troppo vicina. Per non parlare di quando le nostre mani si sfioravano, il che accadeva inevitabilmente troppo spesso. Avevo bisogno di un po' d'aria fresca, in senso figurato. Necessitavo stare in una situazione in cui la sua presenza non fosse contemplata.
A un certo punto, mentre osservavo fuori dal finestrino quegli edifici tanto familiari, vidi mia sorella che parlava con un uomo anziano. Silvia era vestita in maniera oscena, con una gonna cortissima e delle autoreggenti in bella vista. Non faceva di certo caldo, eravamo a metà febbraio, ma lei non portava una giacca o un cappotto, bensì un top striminzito con una scollatura più che generosa.
Forse mi sbagliavo, non era lei.
Chiesi al tassista di fermarsi un attimo, volevo controllare.
Mi avvicinai senza farmi notare dai due. Il vecchio stava tirando mia sorella per un braccio. «Non ti ho dato cento euro per uno squallido lavoretto di bocca. Su, ora vieni via con me, in un posto dove staremo più comodi.»
«Silvia!» chiamai e lei si girò. Vidi il terrore mischiato alla vergogna nei suoi occhi.
«Cosa ci fai qui?»
«Bellezza, sparisci, io e la tua amichetta abbiamo da fare.»
«La lasci in pace. È minorenne, potrei denunciarla.»
Ebbi il tempismo di prendere il telefono dalla tasca del cappotto. «Non ho problemi a procurarmi delle prove.»
Lui lasciò andare il braccio di Silvia, gli occhi spalancati dal timore, poi dopo aver bofonchiato che non sarebbe finita lì, salì sulla sua BMW e se ne andò,
Mia sorella mi corse in contro, in lacrime.
«Per favore, non sgridarmi. Non sapevo più come trovare i soldi. Papà è peggiorato e io con le ripetizioni non guadagno abbastanza.»
Lanciai un'occhiata alla sua borsa costosa. Forse alcuni vizi non riusciva a negarseli.
«Vieni, andiamo nella dependance della villa, dove potremo parlare tranquillamente.»
Non mi andava di rischiare di incontrare mio padre. Le porsi un paio di jeans che avevo comprato quello stesso giorno.
Lei storse il naso. «Sono della stagione passata.»
«Indossali o sul taxi penseranno davvero che sei una prostituta.» Non mi trattenni, volevo farla vergognare. In quel momento, oltre a essere preoccupata per quello che le sarebbe potuto succedere, ero furiosa con lei. «Da quanto tempo andava avanti questa storia?»
«Era la prima volta.»
«E l'ultima» le intimai, poi lasciai che indossasse i jeans e salimmo sul taxi.
«Ho un paio di idee per farti guadagnare quanto basta» continuai il mio discorso durante il tragitto.

Una volta arrivate alla dependance, che era sporca e chiusa da tempo, perché Carla non ci viveva più da un pezzo, spiegai pazientemente a Silvia che non poteva pretendere che il tuo tenore di vita fosse quello di prima.
Le dissi che per il momento le avrei dato il mio stipendio, mi avanzavano ottocento euro dopo lo shopping e i due viaggi in taxi. Tenni cinquanta euro per me e diedi il resto a lei. Mi stupii di come fossi diventata generosa in quella circostanza. Pensare però che mia sorella si era abbassata a tanto pur di avere dei soldi mi aveva fatto riflettere. Che me ne sarei fatta di una giornata alla spa, se avessi avuto il timore che mia sorella potesse offrire la sua compagnia ad uomini molto più grandi di lei in cambio di denaro?
«Ma...» cominciò e io la interruppi.
«Non è molto, ma ogni mese darò a te e papà ottocento euro, intesi?»
Avrei tenuto da parte giusto qualcosa per le emergenze e magari avrei anche potuto cominciare a fare qualcosa che non avevo mai fatto in precedenza: risparmiare. La spa avrebbe dovuto aspettare.
«Che lavoro fai, per guadagnare una miseria tale?»
Di fronte a quella reazione, cominciavo a capire quanto fossi stata snob anche io prima di conoscere Ginevra e Luca; prima di trovarmi in mezzo a una strada.
Le raccontai tutto, mentre lei spalancava gli occhi, a metà tra il sorpreso e l'indignato. Le riferii che badavo a Luca, che lavavo, stiravo e cucinavo.
«Sei cambiata, Lara» fu la conclusione di Silvia, non compresi se fosse un complimento o meno.
«E loro ti hanno presa così, sulla fiducia?»
Se ci pensavo era stato tutto così surreale. «Ginevra è una donna difficile e Luca, beh, non mi ha accettata fin da subito. Ora però tutto sembra andare bene, anche se...»
«Cosa?»
Gli occhi di Silvia scintillarono di curiosità.
Non riuscii a tenere dentro oltre i miei sentimenti nei confronti di Luca, così le raccontai tutto. Non avevo mai parlato così tanto con mia sorella, né tantomeno messo a nudo le mie emozioni in quel modo.
Lei rimase sbalordita. «Così ti sei innamorata di uno che non può vederti e con cui non puoi spiccicare una parola perché altrimenti ti caccerebbe via?» Scoppiò a ridere. «È assurdo!»
«Non me ne sono innamorata» protestai, senza troppa convinzione. Non capivo proprio cosa provassi, dato che quei sentimenti erano totalmente nuovi per me, che non avevo mai voluto bene a nessuno, figuriamoci amarlo.
«Lui cosa prova? A parte morire dalla voglia di baciarti?»
Arrossii al ricordo di quel momento che avevo condiviso con Luca.
«Non lo so.»
«Fossi in te, gli direi la verità.»
«No. Ho paura che lui mi voglia solo perché sa che ho un problema simile al suo.»
«Allora uscite insieme e vedi cosa succede. Se poi le cose dovessero evolversi, gli dirai la verità.»
Sospirai. Messa in quel modo sembrava facile, ma non lo era affatto.
«Certo che è un bell'impegno. Innamorarsi di una persona così. Non potrà mai guardarti negli occhi e dirti ciò che prova; non potrà mai dirti quanto sei bella con un certo vestito o portarti a fare un giro in macchina. Hai mai considerato che lui possa piacerti solo perché è l'unico ragazzo che frequenti al momento?»
Altri dubbi si affollarono nella mia mente, di fronte a quelle riflessioni inaspettatamente così mature che provenivano dalla mia sorella minore.
Cambiai discorso, tanto più mi ci arrovellavo, meno trovavo una soluzione.
«Torniamo alla questione della salute di papà e dei soldi.»
Anche Silvia era convinta che papà avesse bisogno di un aiuto. Arrivammo alla conclusione che avrebbero dovuto trovare una casa più piccola, dato che ormai lo sfratto era imminente. Lei avrebbe smesso di comprare borse e scarpe e avrebbe venduto alcune delle sue cose. Ogni mese le avrei fatto avere dei soldi e in qualche modo se la sarebbero cavata.

NOTA DELL'AUTRICE

Mi scuso se ieri non ho aggiornato senza avvisare, per farmi perdonare oggi pubblicherò questo capitolo e quello successivo. Spero vi piaceranno!

Se ho fatto qualche errore riguardo le questioni di sfratto o altro -non ne conosco le tempistiche effettive- è perchè ho scritto la storia di getto, senza fare ricerche approfondite come per altri miei racconti (che non ho ancora pubblicato qui). Chi avesse suggerimenti a riguardo, non si faccia problemi a scrivermeli, grazie!

Maria C Scribacchina

Quel che non riesco a vedereOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz