Capitolo 7

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«Oggi viene la mia amica Katia» esordì Ginevra una mattina. Erano ormai tre settimane che stavo con lei e Luca, e mancava molto poco allo stipendio. Davanti ai miei occhi sfilavano le immagini di una spa non troppo lontana dalla città, dove c'era un salone di parrucchieri in cui le clienti, come nel resto della struttura, venivano trattate da regine.
«Hai in programma una serata fuori?» chiese Luca.
Non era una novità che la vita sociale di Ginevra fosse più movimentata di quella del nipote e della sottoscritta.

Le prime volte in cui eravamo rimasti in casa da soli erano state imbarazzanti, poi però avevamo messo appunto una specie di routine. Un po' come i segni che avevamo concordato per comunicare.Luca mi diceva quale dvd inserire nel lettore collegato al televisore del salotto, io eseguivo gli ordini e poi trascorrevamo qualche ora guardando perlopiù sparatorie in TV. Io ne avevo abbastanza di quei film d'azione, così ogni tanto inserivo una commedia, romantica o meno. Lui all'inizio sbuffava, poi rideva con me. Diceva che la mia risata era piacevole e anche la sua non era di certo fastidiosa.

Diciamo che arrivare al primo stipendio si stava rivelando meno tedioso di quanto avessi immaginato. A parte l'inconveniente del non poter fiatare, sia chiaro.
A proposito di ciò, il contatto fisico con Luca, pure se del tutto innocente, era quasi costante. Spesso lo tenevo per mano durante i suoi spostamenti: dopo la caduta durante il mio primo giorno di servizio, non mi fidavo delle trappole che avrebbe potuto lasciare Ginevra in giro per casa.

All'inizio avevamo pensato che gli avrei sfiorato il palmo della mano per dire di sì e il dorso per dire di no, poi però avevamo scoperto che Luca soffriva il solletico sul palmo, dato che ogni volta scoppiava in risate incontenibili e anche la più seria delle questioni rischiava di trasformarsi in una barzelletta. Così gli toccavo una spalla per il sì e una mano per il no.
Nessuno dei due pensava che fosse semplice e ogni tanto c'erano dei piccoli malintesi, ma era l'unico modo che avevamo per comunicare.
Non mi sentivo in colpa per la mia menzogna, solo perché avevo in mente ormai sempre più spesso l'immagine di me stessa a mollo in una vasca idromassaggio con la temperatura dell'acqua eccessivamente alta. Che goduria!
Alla fine dei conti ci stavo facendo l'abitudine, a non parlare, anche se ogni tanto, quando sapevo che nessuno avrebbe potuto sentirmi, pronunciavo qualche parola, stupendomi di quanto suonasse strana la mia voce alle mie orecchie. Non volevo però che in qualche modo le mie corde vocali si danneggiassero. Avevo scelto proprio di fingere una condizione di cui non sapevo un accidente, ma era la prima che mi era venuta in mente.

In quel momento mi limitai a guardare Ginevra, che proseguì: «Katia è una parrucchiera fantastica.» Mi lanciò un'occhiata attenta. «Dai, offro un taglio anche a te.»
Mi toccai i capelli, la cui ricrescita del colore che detestavo tanto era ormai più che evidente. Arrivava quasi a metà testa e mi faceva sembrare uno scherzo della natura.
Scossi la testa e scrissi sul mio inseparabile bloc-notes che non ce n'era bisogno.
Ginevra ignorò le mie proteste. Infatti, quel pomeriggio, fui lasciata nelle sapienti mani di Katia.
Non protestai. Tanto una volta avuto lo stipendio sarei andata a farmi sistemare tutto.

«Oh, Lara, come stai bene!» esclamò Ginevra quando Katia, una donna in evidente sovrappeso vestita in maniera vistosa e con dei gioielli finti e pacchiani, annunciò che aveva finito.
Mi guardai allo specchio e dovetti trattenere un'esclamazione. Non c'era più nessuna traccia del nero che tanto amavo. Avevo un taglio molto corto, con un ciuffo asimmetrico, del mio colore naturale, che tanto detestavo.
«Allora, ti piace?» mi domandò Katia.
Mica tanto. Non mi convinceva. Avevo sempre amato i miei capelli lunghi. Poi, chi le aveva dato il permesso di dare un taglio così drastico alla mia chioma?
Eppure, mi ritrovai a fare qualcosa che facevo sempre più spesso nell'ultimo periodo: mi dimostrai gentile con qualcuno anche se non dovevo ottenere nulla in cambio. Annuii e mimai "grazie" con le labbra.
Luca staccò le dita dal libro in Braille che stava leggendo.
«Lara, vieni qui, voglio sentire il tuo nuovo taglio.»
«Katia, andiamo a fare un giro, voglio mettermi in mostra un po'.»
Le due donne uscirono e lasciarono me e Luca da soli. Guinness dormiva tranquillo.
Mi avvicinai al ragazzo, che si alzò in piedi.
Lo aiutai a portare le mani all'altezza della mia testa. Comunque eravamo quasi della stessa statura.
Il suo tocco era delicato.
«Come sono lisci e morbidi.»
Lo erano per merito della piastra di Katia. Anche quello sarebbe stato un acquisto fatto con il mio primo stipendio.
«Sono corti. La prima volta che ci siamo incontrati li avevi lunghi. Vorrei tanto vedere di che colore sono.»
Abbassò di colpo le mani, sconsolato, e io sentii la mancanza del suo tocco sulla nuca.
Gli presi ancora le mani e me le posai sulle guance, senza sapere bene cosa stavo facendo.
Non ero mai stata così vicina ad un uomo, sola in una stanza, senza che cercassimo di saltarci addosso o usarci reciprocamente. Per me faceva poca differenza. Non sapevo cosa significassero le coccole o la complicità e mai le avevo desiderate. In quel momento, nonostante non avessi mai parlato seriamente con Luca, escludendo le nostre discussioni a suon di insulti, mi ritrovai a desiderare che succedesse qualcosa tra di noi.
Lui portò gli indici alle mie labbra e li fece scorrere. Sorrisi.
«Le tue labbra sono morbide, scommetto che il tuo sorriso è splendido come la tua risata.»
Al che il mio sorriso si allargò ancora di più.
«Ti ho resa felice.»
Gli accarezzai una guancia a mia volta. Aveva la barba fin troppo lunga per i miei gusti. Cercai di farglielo capire, a gesti.
«Non ho voglia di andare dal barbiere», protestò «Ho un rasoio elettrico ma la vecchia non me lo fa usare.»
Gli tirai un pelo della barba e lui mormorò: «Ci vuoi pensare tu? Beh, anche se facessi un brutto lavoro non m'importerebbe. Io non posso guardarmi allo specchio e gli altri non mi vedrebbero, dato che non esco mai.»
Avevamo ancora le mani l'uno sul viso dell'altra; sospirai e lui mi imitò.
«Scommetto che è difficile comunicare senza parlare. In più io non posso nemmeno vederti. Cominci a piacermi, Lara. Credo che se ci vedessi, ti porterei a cena fuori. Sarebbe bello avere un vero appuntamento. Parlare del più e del meno, guardare un film al cinema.»
La mancanza della solita ironia nella sua voce mi fece sentire male. Perché quello non sarebbe mai potuto accadere.
Mi diedi poi della stupida. Io avrei potuto parlare con Luca, se lo avessi voluto. Se solo non avessi recitato quella parte.
Eppure lui mi vedeva diversa da ciò che ero. Per lui ero una persona con un problema simile al suo. Desiderava uscire con una Lara che non era quella vera.
Le parole di Luca mi fecero sussultare: «Io penso che muoio dalla voglia di baciarti e non ti ho mai nemmeno vista.»
Nella mia testa sentii un campanello d'allarme. Non doveva andare così. Quello per me era solo lavoro.
Luca in più era una vera palla al piede, con tutti i suoi problemi. Altro che settimana bianca a Cortina o crociera ai Caraibi.
No, non faceva per me. Andai nella mia camera e mi ci chiusi finché non tornò Ginevra.
Tesi l'orecchio, in caso Luca avesse avuto bisogno di me, ma non mi chiamò.


NOTA DELL'AUTRICE

In questo capitolo le cose tra Luca e Lara cominciano a cambiare sul serio. Spero che vi sia piacuto. Se sì, lasciate una stellina oppure fatemi sapere cosa ne pensate.

Grazie a chi legge e segue la storia! :)

Quel che non riesco a vedereWhere stories live. Discover now