Capitolo 2

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ALCUNI MESI DOPO


«Lara, tesoro, è stato fantastico.»
Claudio si tirò su la lampo dei pantaloni di Armani e mi posò una mano sulla spalla. Mi rialzai e feci per baciarlo, lui però mi tenne a distanza.
Non che la cosa mi dispiacesse, lo frequentavo da qualche mese solo nella speranza che mi offrisse un posto nell'azienda di suo padre. Azienda che un giorno lui avrebbe ereditato.
«Ah, ho parlato a mio padre di te» esordì, passandosi una mano tra i capelli scuri.
«E?» lo esortai, fissandolo negli occhi castani. Forse il momento tanto atteso era arrivato e i miei sforzi sarebbero stati ripagati.
«Purtroppo assume solo laureati, quindi mi dispiace, ma non posso aiutarti.»
Mi caddero le braccia. Tutto quel tempo passato a soddisfare il suo ego e ogni suo basso istinto per niente.
«Capisco» mormorai e mi sistemai i capelli dietro le orecchie.
Lui si avvicinò. «Senti, tu mi piaci. I miei insistono che mi metta insieme a Stefania, la figlia di un amico di mio padre, ma noi potremmo rimanere amici, diciamo. Quello che sai fare tu con la bocca, Stefania non lo immaginerebbe nemmeno. Ovviamente avresti il tuo tornaconto, così disporresti dei soldi per coprire questa fastidiosa ricrescita. Di che colore è? Non è per niente di classe, stai molto meglio con i capelli scuri, sai?»
Spostai la mia mano, non ero ancora caduta così in basso.
«No, grazie» dissi, con l'ultimo briciolo di dignità che mi restava.
Uscii da casa di Claudio e sentii le lacrime che mi scorrevano sul viso.
Forse ero già caduta molto in basso, elemosinando un lavoro in cambio di sesso.
Ad un certo punto urtai qualcuno e caddi per terra. Invece che venire aiutata ad alzarmi, fui aggredita da un grosso cane spaventoso, che sembrava intenzionato a volermi mangiare la faccia.
«Aiuto!» strillai.
Il tizio che si era scontrato con me richiamò il cane.
Aspettai che mi aiutasse a rimettermi in piedi, ma non lo fece, così ci pensai da sola, poi cominciai a inveire contro quello sconosciuto tanto maleducato.
«Insomma, che modi sono questi? Non vedi dove vai?» strillai.
Lui scrollò il capo e i suoi capelli biondi e mossi, un po' troppo lunghi per i miei gusti, si spostarono in tutte le direzioni.
«In effetti no. Non vedo dove vado.» Indicò gli occhiali scuri che portava. «Lui è Guinness, il mio cane guida.»
«Oh, non me ne ero accorta. Comunque avresti potuto scusarti lo stesso.»
«Non me ne hai dato modo e poi di solito Guinness mi avvisa per tempo. Diciamo che anche tu non hai guardato dove stavi andando e ne avresti avuto la possibilità.»
Quel tizio mi stava facendo perdere un sacco di tempo.
«Sì, come no» ribattei, scioccata e poi mi allontanai in tutta fretta.
Dovevo trovare un lavoro, non avevo tempo di socializzare con un disadattato.

*

Durante la mia ricerca di un impiego mi fu presto chiara una cosa: lavorare non sarebbe stato affatto come avevo immaginato.

Dato che tutti i lavori che reputavo migliori e meno faticosi necessitavano una laurea o un'esperienza pluriennale, avevo esteso la mia ricerca a quegli impieghi che avevo sempre snobbato.
Se vedevo un cartello che diceva che cercavano una cameriera o del personale per il turno nei weekend, mi precipitavo a lasciare dei curriculum.

A due mesi da quando mi ero messa seriamente a cercare un lavoro, avevo sostenuto solo cinque colloqui e nessuno di loro aveva avuto esito positivo.
Tornai a casa di malumore e trovai Silvia che guardava la TV e intanto si passava sulle unghie uno strato di uno smalto molto costoso di una stupenda tonalità di turchese.
«Cos'è quello?» indagai. «Non ce lo possiamo pretendere.»
«Fatti gli affari tuoi! Questo me lo sono comprato con i soldi delle ripetizioni.»
Aveva cominciato a dare ripetizioni private al fratello minore di una sua compagna di classe. Guadagnava bene, a quanto vedevo.
«Se non fossi stata una schiappa a scuola e non odiassi i bambini avresti potuto dare anche tu ripetizioni o badare a qualcuno. Ancora nessun lavoro in vista?»
Scossi la testa, sconsolata. «Dov'è papà?»
«Al solito posto» rispose Silvia e tornò a passarsi lo smalto.
Mio padre trascorreva un sacco di tempo a dormire, ormai completamente stordito dall'alcol. Per fortuna quest'ultimo non aveva altri effetti sul vecchio, che era docile come un agnellino. Eppure vederlo così ogni giorno cominciava a farmi preoccupare. Bisognava mandarlo da uno specialista.
Prima però dovevamo trovare i soldi.
Sentii il cellulare squillare e pregai che fosse per un lavoro. Uno in ufficio, preferibilmente.
«Pronto, parlo con la signorina Lara Visconti?»
«Sì, sono io» risposi, speranzosa.
«La chiamavo per fissare un colloquio di lavoro, se è ancora disponibile.»
«Certo, mi dà l'indirizzo del vostro ufficio?»
Dall'altro capo del telefono ci fu una pausa.
«Il nostro ristorante è in piazza San Giovanni.»
Un flash mi attraversò la mente e mi ricordai del curriculum che avevo lasciato qualche giorno prima, precisamente una mattina durante la mia corsetta quotidiana.
Nonostante fossi rimasta senza soldi, non avevo rinunciato alla mia abitudine.
«Ci vediamo domani mattina alle undici, chieda di Karen.»
«Perfetto, la ringrazio.»
«A domani.»
Riattaccai, col cuore pesante. Perché tra tutti i lavori per cui mi ero proposta, dovevano chiamarmi per un impiego come cameriera?
Andai in bagno e mi guardai allo specchio. Se mi avessero presa, io, che fino a qualche mese prima non avevo neanche alzato un piatto da tavola, avrei dovuto servire gli altri.
Pensai di auto-sabotarmi al colloquio; no, quel lavoro mi serviva.
Lanciai un'occhiata ai miei capelli, quella ricrescita stava diventando troppo evidente. Dovevo guadagnare qualcosa per andare dalla parrucchiera e chissà, magari anche a passare una giornata in un centro benessere. L'idromassaggio di casa si era guastato e non potevamo permetterci di farlo riparare.


NOTA DELL'AUTRICE

In questo capitolo Lara comincia a rendersi conto che la sua vita non sarà più una passeggiata come prima, però non accenna a perdere la sua aria snob. L'incontro con Luca dimostra tutta la maleducazione della ragazza.
Purtroppo domani non potrò aggiornare la storia, ci si rilegge lunedì!

Grazie a chi leggerà, seguirà o commenterà.

Maria C Scribacchina

Quel che non riesco a vedereWhere stories live. Discover now