Capitolo 5

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Ginevra, la nonna di Luca, mi illustrò una giornata tipo del nipote.
Mi spiegò che molte altre avevano rinunciato a quell'impiego, sia perché inizialmente avevano pensato di dover badare ad un'anziana disabile e non ad un poco più che ventenne che aveva perso la vista, sia perché lei stessa aveva un carattere difficile.
La facevano innervosire molte cose: i bambini, le coppiette, la gente che parlava per niente e gli impiccioni che ponevano domande indiscrete.
Per mia fortuna non rientravo in nessuna di quelle categorie, quindi, se mi fossi comportata bene con lei e con il nipote, sarei rimasta a lungo tra le sue grazie. La paga era di mille euro al mese più vitto e alloggio. Non potevo fare paragoni perché non avevo mai lavorato in vita mia.
Ripensando alla mia vecchia vita, quella era una cifra davvero iniqua, invece, in relazione a tempi più recenti, mi sembrava una manna.
Certo, avrei dovuto pulire, rifare i letti e cucinare, tutte attività che avevo imparato a svolgere da poco e che consideravo adatte a una donna di servizio.
Rabbrividii al pensiero che era quello che ero diventata. Ero finita a fare ciò che avevo sempre rinnegato: servire gli altri.
Per di più, Luca era seriamente infastidito dalla mia presenza.
Non sapevo niente su di lui, solo il nome, l'età e che sembrava non voler accettare la sua condizione. Guinness, il suo cane guida, era sempre al suo fianco e mi fissava con i grandi occhi marroni.
Di sicuro il bestione si ricordava di me e aspettava solo che io facessi un passo falso per potermi sbranare.
A metà pomeriggio, dopo che ebbi riordinato la cucina e dato una rassettata alle camere da letto, rimasi sola in casa con Luca; Ginevra era uscita per andare al Bingo con delle amiche.
Luca era seduto su una sedia e leggeva un libro in Braille, mentre io sfogliavo una rivista di moda vecchia di alcuni mesi.
Mi stavo annoiando e sentendo a disagio, in più ero stanca per la notte passata praticamente insonne. Agognavo il letto dalle lenzuola candide che Ginevra mi aveva mostrato, anche se il mio vecchio, di una piazza e mezza, era di sicuro più comodo. Tuttavia in quel momento ero così stanca che qualsiasi materasso mi sarebbe sembrato estremamente invitante.
Magari, se avessi fatto piano, sarei potuta sgattaiolare nella mia camera a dormire senza che Luca se ne accorgesse. Del resto, anche se mi avesse parlato, pensava che io fossi muta, quindi non si sarebbe aspettato una risposta.
Eppure gli occhi del cane si riaprivano ad ogni minimo rumore. Brutto sacco di pulci, non poteva mettersi a dormire e basta?
Stavo per sbuffare ma mi trattenni.
«Sai, è strano stare in compagnia di qualcuno che non mi pone continuamente domande sulla mia condizione e sulla mia cecità.»
Ovviamente rimasi in silenzio, lui continuò a parlare.
«Da una parte è un sollievo. Dall'altra parte, sarà difficile liberarmi di te.» Fece una pausa. «Niente di personale, solo che non mi vedo come uno che ha bisogno di una badante. Insomma ho venticinque anni. In più è ridicolo che a farmi da babysitter sia una mia coetanea.»
Era strano sentire confessioni del genere da parte di uno sconosciuto. Chissà se si fosse accorto che si trattava della stessa ragazza che l'aveva messo sotto con l'auto, dopo averlo insultato in varie occasioni.
In effetti lui stesso stava dicendo di non volermi tra i piedi, quindi non riuscivo a sentirmi in colpa per l'imbroglio che avevo messo a punto.
Luca sospirò rumorosamente. «Cielo, prevedo delle lunghe conversazioni edificanti e pomeriggi molto divertenti tra noi due.» Chiuse il libro di scatto e si alzò.
Guinness rizzò le orecchie e gli toccò una gamba col muso.
«Buono, bello.»
Mi alzai anche io, facendo rumore con la sedia.
«Non ce n'è bisogno, Lara, devo solo andare in bagno e gradirei un po' di privacy.»
Non mi fidavo molto del suo senso dell'orientamento in quella casa. Nel corridoio c'erano vari ostacoli e, giusto prima di uscire, Ginevra aveva posato un grosso scatolone a metà strada tra il salone e il bagno.
Ignorai quindi le proteste di Luca e lo presi per un braccio, stringendo troppo forte.
«Non sarai mica una di quelle badanti violente, eh?»
Allentai la presa e lo guidai in corridoio. Guinness era rimasto al suo posto. Forse non mi avvertiva più come una minaccia. Arrivati a metà strada, Luca strattonò il mio braccio.
«Falla finita, da qui è tutta dritta.»
Cercai di afferrarlo di nuovo. Era così difficile farsi capire da un cieco senza parlare, dannazione!
Lui però era veloce. Non ci vedeva, ma era veloce.
Inciampò nello scatolone e mi buttai in avanti per prenderlo al volo.
Il risultato non fu affatto quello sperato: inciampai anche io e caddi distesa addosso a Luca.
Stavo per mettermi ad urlare se avesse qualcosa di rotto, quando mi ricordai della mia farsa.
Intanto anche Guinness era accorso e si era messo ad abbaiare allarmato.
Mi immobilizzai per la paura.
«Guinness, buono» mormorò il ragazzo con tono calmo.
Quando il cagnone si tranquillizzò e si spostò, trovai il coraggio di alzarmi e aiutai anche Luca a tirarsi su. Era più leggero di quello che mi sarei aspettata.
Avevo notato che a pranzo non aveva mangiato molto e avevo incolpato le mie carenti doti culinarie, ma magari il motivo non era solo quello.
Gli occhiali scuri di Luca si erano spostati un pochino di traverso. Allungai una mano per sistemarglieli e quando lui se ne rese conto mi diede uno schiaffo sul palmo. «Non farlo mai più» mi intimò con voce fredda.
Lo aiutai a tornare in salotto, dove lui continuò a leggere il suo libro in Braille e io a sfogliare quella rivista datata fino a un'ora dopo, quando rientrò Ginevra.
«Bello lo scherzo dello scatolone, vecchia» esordì Luca, appena sentì i passi della donna nel salotto. «Io e Lara abbiamo rischiato di romperci l'osso del collo, se ti può interessare.»
«Che esagerato» ribatté l'anziana e mi guardò in cerca di conferma. Io annuii seria.
In tutta risposta Ginevra scrollò le spalle. «Preparami un bel tè, Lara, con due gocce di limone e non troppo bollente.»
Luca ridacchiò. «Le vuoi proprio male, eh?»
«Zitto tu.»
Lui tacque. Qualcosa mi diceva che Ginevra era molto esigente riguardo al suo tè.
Andai in cucina e misi a bollire l'acqua, poi presi un limone e ne spruzzai qualche goccia in una tazza; aggiunsi l'acqua bollente e aprii l'antina della credenza dove Ginevra mi aveva mostrato che teneva le bustine tè.
Ok, ecco dove stava il problema: c'erano almeno dieci tipi di tè e infusi differenti.
Ed ora quale cavolo era quello che voleva bere la donna?
Per non sbagliare, misi varie bustine – una per ogni tipo - in un bell'ordine su un piattino e glielo portai, insieme alla tazza con l'acqua bollente e il limone. Se non avessi avuto un disperato bisogno di un lavoro e di un posto dove stare, l'avrei allegramente mandata a quel paese.
Lei mi fissò incuriosita quando le poggiai davanti il tutto.
«Il limone?» chiese, accigliata.
Indicai la tazza, per farle capire che era dentro nell'acqua.
Lei mi lanciò un'occhiataccia, che io sostenni. Cosa pretendeva di più quella megera?
Poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere.
«Cosa è successo?» domandò Luca, curioso, chiudendo il libro.
Ginevra gli descrisse la scena e anche il nipote si mise a ridere, poi si alzò, chiamando Guinness.
«Vado in camera a riposarmi.»
Feci per seguirlo, di riflesso.
«Fagli prendere le medicine che ci sono sul comodino, mi raccomando.»
Annuii vigorosamente.
«Nonna, non sono un bambino, so prenderle anche da solo.»
«Se ti dovessero cadere, come le raccoglieresti? Fatti aiutare da Lara, è qui per questo.»
«Non sono stato io a chiamarla.»
Ginevra sospirò, chiuse gli occhi e si posò le dita sulle palpebre. In quel momento vidi uno sprazzo della fragilità di quell'anziana signora. Chissà qual era la sua storia e quella del nipote.


NOTA DELL'AUTRICE

Da qui inizia la parte che mi ha divertito ed emozionato di più mentre la scrivevo. Spero che piacerà anche a voi!

Grazie a chi deciderà di continuare a leggere la storia!

Maria C Scribacchina

Quel che non riesco a vedereWhere stories live. Discover now