-Capitolo 1-

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I fatti risalgono all'estate del mio quarto anno di liceo. Avrei compiuto i diciotto anni a breve e, come sempre, avevo in programma di passare un mese di vacanze in Giappone a visitare i miei parenti. Avendo la madre giapponese ed il padre italiano era sempre complesso gestire queste due culture tanto diverse quanto incompatibili, tuttavia sarebbe stata un'occasione stimolante per immergermi nella società dell'estremo oriente.

<<Ren, ricordati di scrivermi regolarmente, mi raccomando>>, mi rammentò mio padre, mentre mi accompagnava verso il controllo bagagli dell'aeroporto.

<<Sì, certamente>>.

<<E vacci piano anche con i bulletti>>, aggiunse con un sorriso complice.

La frase in questione era un riferimento ad un fatto di tre anni prima. Essendoci in Giappone solo un mese di vacanze estive, ero solito seguire le lezioni scolastiche, subito dopo le lezioni in Italia. Durante uno dei miei regolari soggiorni, mi era capitato di essere preso di mira da un trio di bulletti più grandi: coerentemente alla mentalità giapponese, non gradivano il mio essere un gaijin, uno straniero.

All'inizio non mi preoccupai eccessivamente, cercai di evitare lo scontro, ma alla fine, quando questi cominciarono ad importunare anche i miei amici, decisi di cambiare metodo di interazione: tirai un solo pugno deciso al loro capo. Da allora ebbi l'impressione che questi mi portasse rispetto, e notai anche che limitò molto i suoi comportamenti da bullo.

Tornando al presente con la mente, posai lo sguardo sull'orologio.

<<E' meglio che vai ora>>, mi sollecitò mio padre, intuendo i miei pensieri.

<<Ci rivediamo tra un mese allora>>, lo salutai abbracciandolo.

<<Certo, figliolo>>.

L'aereo partì da Firenze con un leggero ritardo; dopo un paio di ore arrivai a Francoforte, dove rimasi in attesa per sei ore prima di ripartire. Dopo un lungo viaggio, giunsi all'aeroporto di Narita. Un volo spossante: rimasi sveglio per l'intero tragitto.

<<Ben arrivato>>, mi accolse mia madre. <<Tutto bene il viaggio?>>.

La trovai non appena ritirati i bagagli, era insieme ad i miei zii; era contenta di rivedermi anche se mi aveva preceduto giusto un paio di settimane prima. Ovviamente tra noi nessuna dimostrazione pubblica di affetto conformemente alla rigida consuetudine nipponica, alla quale si adeguavano diligentemente il resto dei famigliari presenti.

<<Sì, tutto bene, ma non ho dormito molto>>.

<<Male, dato che domani si parte subito con i nonni per Kyoto>>.

Avendo viaggiato per più di una dozzina di ore senza mai dormire, e nonostante il fuso orario che mi stremava, ritenni che non ci sarebbe stato nessun problema.

Fuori dal grande edificio una pesante afa mi piombò addosso. Ormai avrei dovuto essere abituato a quel caldo pregno di umidità, ma, nonostante l'abitudine a quel soggiorno, ciò mi risultava spossante. Per fortuna uno lieve venticello di passaggio mi fece rilassare un attimo, mentre ci dirigevamo verso la imponente auto famigliare di mio zio. Parecchie famiglie giapponesi usavano questo modello d'auto. Davvero parecchie.

Tra il forte odore di cemento surriscaldato e la radio a tutto volume, con cui il guidatore seguiva con religiosa attenzione una partita di baseball, giungemmo fino alla città di Chiba, a casa dei miei nonni. Cenetta insieme e poi subito a dormire, in vista del viaggio che ci aspettava il giorno dopo. Non che ci fosse altro da fare.

Il fuso orario aveva reso difficile il sonno per cui il risveglio fu devastante. Riuscii comunque a prepararmi per compiacere i nonni pur procedendo con l'energia di un bradipo. Saremmo partiti in quattro: i miei zii erano totalmente concentrati sul lavoro, mentre mio cugino aveva ripetizioni di matematica tutti i giorni.

I Guerrieri PerdutiWhere stories live. Discover now