Capitolo 18

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Isabel

Avevo impiegato tantissimo tempo per organizzare quella festa, avevo messo tutta me stessa nei preparativi, eppure non era bastato. Niente era andato secondo i miei piani. Avevo organizzato una festa nei quartieri periferici dello Yorkshire, ma non abbastanza vicino alla casa abbandonata.

Ed era un pomeriggio come un altro, l'ennesimo cielo estivo, il solito sole e la solita gente; ma era stata proprio quella monotonia a far crescere i miei presentimenti.

Non sapevo in che modo o con quale aiuto, ma Betty Angel era uscita di prigione. Aveva avuto mesi interi per programmare la sua fuga. Aveva corrotto, convinto, pagato. Aveva il potere ed era quello che aveva sempre desiderato: poter decidere per gli altri, comandare, uccidere o far uccidere. Quell'essere malvagio desiderava disintegrare ogni cosa che ostacolava i suoi piani, e quella cosa -o meglio, persona, ero io.

Paura di non farcela, paura di sbagliare di nuovo. La paura la leggevo negli occhi di Niall e la sentivo nei miei. Sentivo ogni arto del mio corpo che tremava.

Parlava di cose senza senso, parlava ed io non la stavo ascoltando. Mi domandavo dove fossero gli altri, perché nessuno veniva a salvarci? Mia madre, mio padre, dove erano tutti? Eravamo soli, di nuovo. "È finita per voi due, è finita." l'ultima frase che disse Betty, l'ultima frase prima di direzionare la rivoltella verso il petto di Niall, verso il suo cuore, che era il mio.

Non so quanto tempo impiegai a correre verso di lei, non so cosa fosse passato alla mia mente. Sicuro e ne ero certa, avevo scaraventato Betty a terra con una spinta.

Un tuono! Un suono troppo forte da poter dimenticare. Il fastidio che provai, non era stato tanto il rumore ma il non sapere dove quel proiettile era andato a finire. Forse avevo fatto un errore, forse quasi sicuramente avevo fatto del male a Niall. E urlai. Urlai così forte che la gola bruciava. Era stato un urlo di dolore e paura.

Avevo iniziato a colpire Betty, non sapevo in che modo, ma avevo tanta di quella rabbia da sfogare...

"Lasciami." Urlava lei, ma era come se non fossi più me stessa, la dolce ed ingenua Isabel. Il dolore trasforma ogni cosa, il dolore rovina l'anima. Poi mi trovai di nuovo a terra, lei sopra di me, e sentivo le sue unghie sulle mie braccia, vedevo il sangue che fuoriusciva e sentivo il bruciore. Non riuscivo più a lottare, non riuscivo a muovermi. Dove era andato Niall? Era ancora vivo? Mille domande in pochi secondi, secondi che erano bastati per sentire un altro sparo e vedere il corpo inerme di Betty cadere su di me. E Dio! Stava succedendo tutto troppo in fretta che non mi resi conto che Betty aveva un coltello nella sua mano e quando cadde su di me, l'arma affilata vagò nella mia coscia fino in fondo. E no, non era quello che faceva male, era stato vedere il corpo di Niall in piedi dietro di me con la pistola ancora puntata verso la mia direzione; spaventato e forse pentito.

Il mio corpo era bloccato da Betty sopra di me, Niall aveva buttato la rivoltella a terra e mi aveva aiutata ad alzarmi. Le mie braccia erano ricoperte di sangue, la mia maglia strappata per metà, le gambe non volevano stare in piedi. La paura, la rabbia, lo shock e l'adrenalina, mi avevano ridotta così. Io avevo salvato Niall e lui aveva salvato me, in amore funziona così. "Isabel è finita." Lo sentì dire, la sua voce era sovrastata dalle sirene, stavano arrivando ma era troppo tardi ormai. Ero ricoperta di sangue, Niall mi guardava impaurito. "L'ho uccisa." sussurrava. "Sono un assassino."

In quel momento non riuscivo a sentire nulla; le orecchie erano ancora tappate per colpa del rumore cosi acuto, caddi a terra scivolando tra le mani di Niall. "Vattene Niall, devi andartene." Gli dissi in fretta. Quella era l'unica soluzione che mi venne in mente per salvarlo di nuovo. Doveva fuggire. "Non ti lascerò qui da sola, sei ferita, stai perdendo troppo sangue. Scusami amore, scusami Isabel." Prese le mie mani, le baciava, le stringeva, era come se quei secondi fossero interminabili. "È finita Niall, devi scappare. Ti incolperanno e io non voglio questo per te. Vattene, salvati, io me la caverò." Maledizione! I suoi occhi erano così feriti, delusi, usurati. Il mio cuore era usurato, il mio cuore era pieno di crepe, tanto valeva finire di rompere qualcosa che non aveva più speranza. "Verrò a prenderti. Te lo prometto, ti amo Isabel." Un suo bacio sulle mani sporche, graffiate, e il rumore di sirene invase le mie orecchie.

Parte di me era andata via. Lasciai che il mio corpo si adattasse al terreno della casa abbandonata. Lasciai che la mia anima si abbandonasse lì, dove la mia vita mi aveva appena lasciata. Lui doveva vivere, lui poteva ancora vivere, e lo meritava. Avevo rinunciato a tutto per lui, per renderlo felice, lo avevo ripromesso a me stessa, e così avrei fatto, fino alla fine.

Non c'è descrizione. Al dolore, non c'è descrizione. Il dolore è astratto come l'amore. Due potenti fondamentali della vita; se non hai dolore, non puoi avere amore. Non l'ha mai detto nessuno, te lo insegna semplicemente la vita. Sentivo che il dolore fisico non era niente in confronto a quello interiore, e non riuscivo a capire se fosse al petto o in tutto il mio organismo; perché perfino le mani, che mi ricordavano il suo tocco; le sue mani che avevo appena sfiorato e chissà quando le avrei riviste, bruciavano. Tutto bruciava, come se fossi tra le fiamme. Non capivo se fossero i miei occhi a fare brutti scherzi o se davvero la sua figura, insieme alle mie dita si stavano oscurando. "L'hai mandato via tu, Isabel." Ripeteva la mia mente. "Sei tu che hai buttato la tua vita per salvare la sua." Ed era vero, la colpa era la mia.

Dopo un po' mi resi conto che stavo piangendo, dopo quel tempo che parve infinito, vidi tutto buio, e non so dove abbia preso la forza di combattere ancora, contro tutti, contro me stessa.

***

L'odore di ospedale non era mai stato così forte, avevo il viso bloccato dalla mascherina per l'ossigeno e sentivo tutto il mio corpo indolenzito. La mia mano era stretta a qualcuno, qualcuno che continuava a massaggiare il suo pollice sul mio dorso, era piacevole. Non avevo il coraggio di aprire gli occhi, sapevo che la luce mi avrebbe dato così fastidio da farli stringere e quello scatto avrebbe fatto male alla mia pelle ricoperta di dolore. Cercai di muovermi ma la mia gamba mi aveva dato una fitta di dolore fino alla schiena. "Isabel" La voce di mia madre sussurrata. "Bel sei sveglia?" il mio soldato. Mugugnai qualcosa, un verso incomprensibile per chiunque. "Chiama il dottore, è sveglia." Il sollievo di mia madre lo sentivo, era come se riuscissi a sentire ogni emozione degli altri, ma non le mie. Non sentivo più niente.

"Signorina Trust, guardi su." Era fastidiosa la luce che il dottore mi stava puntando negli occhi. "Guardi a destra." I miei occhi stavano benissimo, erano solo stanchi, erano solo spenti. I miei genitori erano nella stanza borbottando qualcosa di incomprensibile per le mie orecchie ancora deboli a ogni suono. Avevo ancora la mascherina per l'ossigeno e non avevo detto nessuna parola, non c'era nulla da dire. Avevo avuto solo la forza di aprire gli occhi, anche se era stato davvero doloroso.

"È scomparso." Aveva detto mio padre. Il dottore era andato via dicendo che il mio stato era buono e che ero solamente debole, come immaginavo. "Ci deve essere un motivo valido, avevo imparato a conoscerlo e non l'avrebbe mai lasciata."Mi perdevo qualche risposta di mia madre, la sua voce era così sottile. "Hai rovinato l'unico sorriso che avevi Abigail. Hai rovinato tua figlia per i tuoi stupidi capricci." Mio padre era arrabbiato con lei. La colpa non era di nessuno, era solo mia. Il sonno e la stanchezza mi stavano trasportando via da quella conversazione troppo importante per me.

"Niall." Sembrava di urlare, volevo urlarlo quel nome. Tutti dovevano sapere che lo volevo, che era mio. Lui doveva sentire la mia voce, il suo nome chiamato da quel letto di ospedale, invece lui non c'era. Lui, il mio tutto che di tutto non c'era più nulla. L'avevo lasciato andare ed avevo sbagliato. Una volta lessi un libro dove diceva che se amavi davvero dovevi lasciar andare la persona amata. Non ci avevo mai creduto davvero, eppure in quei secondi interminabili, mandarlo via sembrava essere stata la cosa più giusta. "Niall" provavo a chiamarlo, ma qualcosa mi bloccava. Non riuscivo a parlare, la forza non era più parte di me. "Isabel." Il mio nome pronunciato da labbra che non erano le stesse che amavo. Il mio nome pronunciato in modo diverso da come solo lui, pronunciava. "Isabel, sono papà." E no, per quanto adoravo ed amavo mio padre, non era quello che volevo sentire in quel momento. Tornai a dormire contro la mia volontà, perché l'unica cosa che avrei voluto fare era alzarmi da quel letto ed andare fuori a cercarlo. Dormire pensando alla sua figura andare via da me, quel corpo che amavo e adoravo. Dormire tra incubi di me stessa che l'avevo lasciato andare, perché restare sola prima di conoscere la vita, ovvero lui, non faceva paura, ma quando le mie narici avevano odorato quell'odore che tanto amavo e che tanto desideravo ancora, allora si, restare da sola faceva paura. Dormire e continuare ad essere stanca come mai lo ero stata.

Isabel Trust /Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora