AD UN PASSO DA TE

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Perdonate il ritardooo!! Sono immersa da compiti ma non ho affatto dimenticato il libro, giuro!! Per farmi perdonare eccovi il primo e vero capitolo nuovo di zecca. Spero vi piaccia....e niente: BUONA LETTURA! XD

"AAAAALICE!!!" Mia madre urló il mio nome come una forsennata e funzionó peggio di una sveglia. Mi alzai di scatto dalla paura beccandomi in pieno viso quella maledetta trave in legno che dimenticavo ogni santo giorno di avere appena mi sollevavo seduta sul letto. Ed avevo anche il presentimento che fossero tutte le testate prese di prima mattina appena sveglia a garantire il mio essere rimbeccilita. Mugugnai dolorante massaggiandomi la fronte con una mano certa dell'esistenza dell'ennesimo bernoccolo, tirai un pugno alla trave che non si mosse ovviamente e mi feci solo dannatamente male alla mano. Imprecai in tutte le sacrosante formule esistenti per mandare a quel paese una trave. Come iniziare allegramente una giornata. Fantastico, Alice.
"Alice SVEGLIATI!!" Sentii ancora la voce insistente che urlava a gran voce che era ora di svegliarmi ed andare alla mia amatissima scuola. Scivolai giù dal letto e mi distesi per bene a terra sperando con tutta me stessa di poter riposare tranquilla almeno sul pavimento senza VOCI o TRAVI a disturbare il mio sonno. (Ogni riferimento a fatti o a persone è PURAMENTE CASUALE) cantilenò la mia coscienza in risposta a ciò che pensavo. Sospirai contro il pavimento freddo che non aveva l'esatta consistenza morbidosa del letto. Il mio amato letto. Il mio fidanzato: il letto. Perché avrei dovuto separarmene per andare in un orribile liceo pieno di cattive persone che tra l'altro non mi consideravano altro che il giullare di corte prendendomi minuziosamente in giro?
Ero sola. Solo di Megan, la mia migliore ed unica (guarda un po') amica che avevo, potevo realmente fidarmi. Tuttavia anche se lei era capace di far nascere in me un barlume di speranza, era troppo poco per darmi la forza ogni giorno di alzarmi e percorrere la strada fino alla scuola. No! Preferivo di gran lunga stare abbracciata ad un cuscino per sempre. Ultimo anno del liceo: il più terribile, il più temibile di tutti.
"Ti ci vuole un cannone per svegliarti?" Sentii domandare urlando, sempre dal piano di sotto. "SONO SVEGLIA!" Ululai tentando di darmi un contegno. A malincuore mi sollevai dal pavimento, dirigendomi in tutta fretta verso il mio piccolo bagno, su cui viaggiò velocemente il mio riflesso allo specchio dipingendomi come l'essere più inguardabile della storia: capelli stizzati da pazza, occhi gonfi e rossi, faccia mogia e magta. Potevo essere ingaggiata per un horror, perfetto!
Desiderosa di non guardare più quella faccia da zombie, aprii la fontana e presi profonde "boccate d'acqua" sul volto per nascondere i segni della nottataccia: avevo, infatti, avuto un tremendo incubo in cui era stato difficile riscuotermi. Finito l'operazione "lavaggio", passai alla fase due in cui mi pettinai velocemente i lunghi capelli neri e lisci che, nonostante tutto, mi portavano non pochi problemi (quali i nodi).). Fatto questo passai a ravvivarmi con un po' di trucco, non eccessivo poiché detestavo il trucco pesante, per cui un po' di matita nera che sollevò gli angoli dei miei occhi leggermente verso l'alto, fard, ed eccomi finalmente presentabile. Feci un leggero sorriso al mio riflesso, sorriso che inevitabilmente si incurvò verso il basso dimostrazione della mia infinita gioia di tornare a scuola, yuppy!

Con un sospiro tornai in stanza ed aprii l'armadio in legno trovando il disordine totale. Prima o poi dovrò decidermi a sistemare meglio la roba. pensai lasciando vagare lo sguardo verso i panni alla rinfusa che tutto sembravano tranne che abiti. Ricacciai in gola un'imprecazione contro me stessa, e iniziai a scavare in quella marmaglia alla ricerca disperata di un qualcosa di decente da indossare, e che possibilmente non mi avrebbe presentata come una zingara. Dopo cinque minuti (o forse più) trovai quell'abbigliamento che cercavo: una semplice t-shirt di un rosso bordeaux e dei jeans chiari attillati che, come una sorta di leggins, mi fasciava le magre gambe, per finire indossai delle semplici Converse anch'esse rossastre. Finalmente dopo aver finito tutto mi diressi al piano inferiore dove mia madre era ancora a rimuginare sul mio ritardo, afferrai la cartella furtivamente per evitare di farmi beccare da lei proprio ora che sembra nervosa. Ma il mio tentativo di sfuggirle fallisce miseramente. "Dove credi di andare signorina?" domandò retorica in tono che non ammette repliche. "Da nessuna parte, ovvio!" sorrisi dedicandole il mio più falso dei sorrisi. Strinsi gli spallacci della borsa tra le dita, nervosa. "Invece dovresti muoverti, il bus sta per passare e devi muoverti!" urlò improvvisamente lei battendo furiosamente i piedi a terra. "E ascoltami quando ti parlo!" aggiunse isterica. "Si, mamma." brontolai con uno sbuffo che e provocò ancora più la stizza nei miei confronti: involontariamente le avevo dato motivi in più per rompermi la vita. "Vedi! NON MI ASCOLTI!" Ecco, per l'appunto. Regola numero uno: mai alzare gli occhi al cielo in presenza di mia madre. Già, me ne ero dimenticata.

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