Capitolo 6

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Capitolo 6

Lentamente riaprii gli occhi, un po' stordita. Non mi mossi, valutando lo stato del dolore alla testa, accorgendomi di essere rannicchiata su un morbido letto dalle coperte soffici.

Devo essere svenuta, constatai sconfortata.

Osservai, per quel poco che riuscii a muovere il capo, la stanza in cui mi ero risvegliata, le cui pareti di un caldo arancione ricordavano molto il cielo al tramonto. Il lato verso cui ero rannicchiata mi permetteva la vista di una sola parete, abbellita da una scrivania in legno di faggio, dagli intarsi delicati e la struttura semplice. Al di sopra, decisamente più interessanti, vi erano posizionate diverse mensole piene di libri, che andavano a ricoprire l'intera lunghezza della parete fino ad una porta chiusa, posizionata adiacente all’angolo spoglio della stanza. 

Vicino al mio viso, su un comò dal tono simile alla scrivania, vi erano poggiati i miei occhiali da vista, poco distanti da una bellissima abat-jour color cannella. 

Allungai il braccio libero, distendendolo per afferrare l'oggetto che avrebbe sicuramente alleviato l’atroce mal di testa ma, prima ancora che potessi sfiorare il mio obiettivo, il dolore si acuì, mozzandomi il fiato. 

Mugugnai sofferente, sforzandomi per inforcare gli occhiali al proprio posto.

Devo anche aver preso una bella botta in testa, pensai, massaggiando la parte alta della nuca. 

«Sono così contenta che tu ti sia ripresa, ci stavamo preoccupando!» Esclamò una voce limpida e acuta. 

Rotolai sull’altro fianco con non poco sforzo, riuscendo ad abbozzare un piccolo sorriso a Dee. 

Per qualche secondo rimasi abbagliata da un tenue raggio di luce, filtrato solitario tra le tende della finestra.

Socchiusi gli occhi e, portando una mano sul viso, cercai di farmi ombra con il palmo per poter vedere meglio intorno.

Andreea era seduta su uno dei pouf chiari, poco distanti dal lato del letto, con la frangia lunga tirata indietro da una mollettina e lo sguardo sorridente. Alle sue spalle, ad occupare l’intera parete, vi era un'enorme finestra coperta da due ampie tende color panna, oltre le quali si poteva ammirare il contorno degli alberi scuri in opposizione al cielo grigio del pomeriggio.

«Come ti senti?» Chiese, attenuando il suo sorriso. 

Si sistemò meglio sul grande cuscino, sprofondando un po’ nello spostare la caviglia sotto la coscia. Provò ad incrociare il mio sguardo ed io strizzai gli occhi, sentendomi ancora un po' sbandata dal dolore alla nuca.

«Ti ricordi quello che è successo?» Domandò cauta, trovando un giusto equilibrio sul pouf grigio. 

Sbattei un paio di volte le palpebre, percependo l’origine di un mal di testa non proprio leggero. Massaggiai lievemente le tempie, mentre delle immagini sembrarono partire autonome nella mia mente, facendomi tornare alla memoria alcuni dei minuti prima che finissi stesa a terra.

«Sono svenuta.» Affermai, aggrottando le sopracciglia.

Come un’idiota. Continuai mentalmente, sospirando.

Qualcosa però mancava all'appello, un'informazione che non riuscivo a rielaborare, come se mi fossi risvegliata da un sogno invece che da una perdita di sensi. Il solco tra le sopracciglia aumentò, mentre sforzavo la memoria, per quanto il dolore me lo permettesse, nella ricerca di un qualcosa di decisamente importante.

Cercai di liberarmi dall'intontimento iniziale e, con la vista ancora non pienamente nitida, provai a sfregare con la punta delle dita gli occhi acquosi, come appena sveglia. 

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