Capitolo 3

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Capitolo 3

Era fatta eccome, ma di qualcuno neanche l'ombra.

Avvertivo che qualcosa, di lì a poco, avrebbe ribaltato completamente la mia vita e, quella strana sensazione, non era affatto confortante.

Le finestre dell'abitazione erano quasi tutte illuminate, rischiarando piccole zolle del verde praticello intorno alla casa. Da dentro però, non proveniva alcun rumore.

Magari non c'è nessuno, pensai.

Ero dispiaciuta ed anche un po' triste. Il freddo continuava a farsi sentire e non avevo modo di tornare indietro da sola. Mi maledii mentalmente per non aver chiesto il numero di cellulare a Josie, prima che tornasse a lavoro. Ormai però ero lì e nulla mi vietava di ritentare.

Pigiai nuovamente il campanello, tentando di vedere qualcosa attraverso i motivi floreali della finestra, appena al lato destro dell'ingresso. La luce era tenue, calda e confortevole, ma impediva di poter scorgerne qualsiasi cosa all'interno.

Suonai ancora. Ancora e ancora.

Sbuffai impaziente, battendo la punta del piede a terra mentre mi stringevo nel piumino caldo. Ringraziai che a coprirmi il collo ci fossero i capelli. Se fossi rimasta ancora un po' ferma lì fuori, mi sarei sicuramente beccata un bel raffreddore. Nascosi la bocca dietro il colletto del giubbotto, appannando gli occhiali di nuovo sporchi.

Decisi di tentare l'ultima carta.

«Ehii! C'è nessuno?» Chiamai a gran voce, battendo il palmo della mano sinistra contro il portone, mentre con la destra mi appoggiavo di peso al pulsante del campanello.

«Ehilaaà?»

Da fuori sarei probabilmente sembrata una matta, ma era sicuramente meglio di rischiare l'assideramento bello e buono.

«Arrivo! Arrivoo!» Urlò una voce sconosciuta dal tono rauco e arrabbiato.

Dei tonfi sordi, tutt'altro che leggiadri, rimbombarono dall'interno della casa, risuonando potenti anche oltre le mura.

Fermai il mio concerto improvvisato, appena prima di sentire lo schiocco secco della serratura nella porta.

«Come fai a dimenticare sempre le chiavi...» Sentii bofonchiare dalla voce di prima.

Il battente destro della porta si aprì di scatto, rivelando un ragazzo dai capelli scuri arruffati, dall'aria ancora addormentata.

«...stupido imbecille?» Il tono della sua voce sfumò, facendo calare tra di noi un silenzio imbarazzante. L'aria addormentata, messa in rilievo dalla maglia leggera stropicciata, cambiò improvvisamente, mettendosi sull'attenti. Il suo sguardo, dagli occhi dello stesso colore del ghiaccio, si fece duro e circospetto, squadrandomi dall'alto in basso, con un cipiglio.

Indietreggiai di un paio di passi, soffocata dalla sua figura. Era alto, decisamento molto più alto del mio metro e sessantotto, ma la sua espressione mi faceva sentire più piccola di uno scarafaggio.

«Luis, amico, chi è alla porta?» Un'altra voce, molto vicina e dalla tonalità profonda, ci raggiunse.

La porta si spalancò maggiormente, aprendosi del tutto e rivelando quello che doveva essere un salottino dai toni neutri. Alle spalle del moro apparì la figura di un altro ragazzo, poco più basso di lui, senza alcun tessuto a coprirli gli addominali ben scolpiti. Avvampai lievemente, in imbarazzo, nascondendomi ancor di più dietro il colletto del giubbino scuro. Questo sbadigliò, in modo estremamente rumoroso, osservandomi con gli occhi castani assonnati. Appena mi guardò meglio, però, un sorriso furbo gli illuminò lo sguardo.

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