12.

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Il profumo di Daniel aleggia intorno a me, sulla federa del cuscino, sulla mia pelle, nell'aria di questa stanza. Il profumo di Daniel è ovunque, e in questo momento non penso ci sia cosa migliore.
Accenno un sorriso prima di aprire gli occhi, i quali catturano subito l'immagine della parete della stanza, contro cui è addossata la chitarra elettrica. Avverto il braccio di Daniel intorno alla mia vita, la sua mano sul mio ventre ed il suo petto contro la mia schiena.
Ci siamo addormentati così, come se niente fosse, come se non avessimo condiviso quell'intimità serafica e quel momento di piacere. Il fatto che la situazione mi sembri tanto naturale, fa fare al mio cuore una piccola contrazione strana e dolorosa. Per quanto il mio corpo abbia preso il controllo ieri sera, questa mattina sembra aver battuto in ritirata e un pensiero improvviso mi colpisce in pieno: non dovrei essere qui, non è giusto.
Tento di metterlo a tacere, di richiudere gli occhi e di fare finta di niente. Sebbene ci provi, però, non riesco ad ignorarlo: dopo aver preso un respiro profondo decido di abbandonare le coperte e, a malincuore, anche la presa di Daniel intorno al mio corpo.
Mi alzo dal materasso lentamente, sentendo le gambe pesanti e la testa leggera. Il mio cuore è al confine tra la felicità ed il senso di colpa, un equilibrista che se la cava davvero male.
Dopo aver dato un'ultima occhiata a Daniel, avvolto dalle coperte e sdraiato su un fianco, con il viso disteso, i capelli corvini scompigliati e le braccia allungate verso il punto in cui giacevo fino a poco fa, cerco i miei vestiti. Quando li recupero li indosso in fretta, ancora intenta a mettere a tacere quella fastidiosa voce nella mia testa che mi urla che non dovrei essere qui e che quello che è successo ieri sera è l'errore più grande che potessi fare. Esco dalla camera cercando di fare meno rumore possibile, ma non appena chiudo la porta alle mie spalle sono costretta a bloccarmi: Peggy è ferma in corridoio, le braccia conserte, la schiena posata contro il muro ed uno sguardo puramente cattivo ed infastidito dedicato alla sottoscritta. Sono tanto spaventata da non riuscire a muovermi.

« Lo sapevo. » esordisce, staccandosi dal muro con una spinta ed avanzando verso di me. « Sapevo che non saresti riuscita a tenertela nelle mutande. » spiega dopo un attimo di silenzio.

« Non penso che siano affari tuoi. » rispondo in un sussurro poco intimidatorio.

L'espressione di Peggy si fa scettica, forse ancora più adirata. « Credi di essere furba, non è vero? Pensi che la facciata della brava ragazza ti farà ottenere tutto quello che vuoi? Be', non funzionerà, piccola Jasmine. So chi sei veramente.»

« Tu non mi conosci. » replico attonita.

Lei alza un sopracciglio, per poi accorciare ulteriormente le distanze. « Invece ti conosco bene. Non sei la prima e non sarai l'ultima, ricordatelo, Daniel ha solo un debole per le ragazze come te. » conclude, prima di lasciarmi un ultimo sguardo disgustato e percorrere il corridoio; poco dopo sento la porta d'ingresso aprirsi e chiudersi con un botto. Rimango immobile al mio posto, con la mente e lo stomaco in subbuglio mentre cerco di elaborare ciò che è appena successo. Per un attimo prendo in considerazione il fatto che la mia coinquilina sia mentalmente instabile, ma la discussione tra lei e Daniel mi torna alla mente e, nella certezza che sia successo qualcosa molto prima del mio arrivo, non posso fare a meno di chiedermi che cosa centri con me.

La porta della camera di Daniel si apre alle mie spalle, facendomi sussultare. « Jas?» mi chiama lui con voce roca.

Deglutisco e tento di recuperare la calma, prima di voltarmi verso di lui. In qualche modo riesco a sembrare tranquilla. « Ehi. » lo saluto con un sorriso timido, che lui ricambia guardandomi negli occhi. Per un attimo mi dimentico del mio piccolo scontro con Peggy.

« Stavi scappando?» chiede avvicinandosi a me. Io scuoto la testa, lui posa le mani sui miei fianchi per poi stringerli ed avvicinare il mio bacino al suo. Capisco quali siano le sue intenzioni da ciò che sfiora il mio interno coscia, dal rigonfiamento nei boxer che deve aver indossato per venirmi a cercare.
In poco tempo la sua bocca è di nuovo sulla mia, insistente, quasi prepotente.
Le nostre lingue si sfiorano, i nostri corpi si stringono, mentre i respiri vengono meno ed il cuore accelera la sua corsa. Daniel mi trascina dentro la sua camera, dove mi fa sdraiare sul letto ancora disfatto preoccupandosi, poi, di liberare me del peso dei vestiti e se stesso di quello dei boxer.
Lascio che la mia mente si svuoti di nuovo, che il corpo prenda il controllo e il senso di colpa venga messo a tacere.

-


Claire ha un metodo tutto suo per combattere lo stress e la stanchezza provocati da una delle scuole più prestigiose al mondo: lo shopping. Prima che potessi rendermene conto, in un sabato mattina che prevedeva semplicemente una passeggiata a Battery Park e forse un caffè, mi sono ritrovata a girovagare per la Fifth Avenue con una decina di sacchetti in mano.
Nonostante a Claire il suo metodo sembri giovare, però, io sono stata incredibilmente distratta per la maggior parte del tempo. I miei pensieri convergono tutti in un'unica direzione: Daniel. Nell'ultima settimana é stato di una dolcezza disarmante, mi ha accompagnata a lezione, mi ha portato il pranzo in sala prove, mi ha fatto compagnia mentre mi esercitavo con il violino in camera mia sul Capriccio di Bach che il professor Douval si è premurato di assegnarmi, mi ha portata fuori a cena e, infine, mi ha costretta tutte le sere a dormire con lui. Dire che mi abbia costretta, però, è una bugia.
Sono felice, più di quanto mi sarei mai aspettata di esserlo qui a New York. Mi piace farmi coccolare da Daniel, girare mano nella mano, fare l'amore con lui e poi dormire abbracciati. Nonostante ciò, però, non posso negare che quel lieve senso di colpa che mi attanaglia non abbia accennato ad abbandonarmi. Baciare Daniel e stare con lui mi tranquillizza, ma non è di certo una cura definitiva.
Senza contare che tutte le domande che mi girano per la testa non sono d'aiuto: non mi capacito del fatto che Daniel non abbia una ragazza, del fatto che si comporti in modo tanto gentile con me quando la sua facciata dice altrimenti. So quello che ha affermato sul treno per Coney Island, che lui non è il cattivo ragazzo della storia, ma non posso fare a meno di avere qualche dubbio. E così, ho preso in considerazione l'ipotesi che mi stia prendendo in giro, che la frase pronunciata da Peggy sul fatto che abbia un debole per le ragazze come me, fosse in realtà un tentativo di mettermi in guardia.
Provo però a godermi il momento, cerco di ignorare le mie ipotesi catastrofiche e, non appena saluto Claire e mi dirigo nuovamente verso casa, mi rendo conto di essere più felice ad ogni passo che mi avvicina all'appartamento, solo perché so che lui è lì.
Raggiungo la porta d'ingresso quasi saltellando, aspettandomi di trovarlo seduto sul divano con la chitarra in mano ed un sorriso dedicato solo a me. Tuttavia, una volta a casa, noto subito che l'unica presente è Peggy. È stravaccata su una delle poltrone, intenta a rimirarsi le unghie rosa shocking. Facendo uno sforzo la ignoro, per poi dirigermi verso la mia camera. Dalla musica proveniente da quella di Daniel capisco che lui e Jordan stanno provando e decido di non disturbarli.
Ancora sorridente spalanco la porta della stanza, ma a questo punto mi blocco.

I miei occhi bruciano, il mio stomaco si contorce cercando di buttare fuori il suo contenuto, mentre le orecchie mi fischiano ed una sensazione gelida mi avvolge: le parti del mio violino giacciono sul letto. Il manico è completamente staccato dalla tavola, la sua estremità in legno è tratteggiata da frammenti appuntiti. Le corde sono state tagliate, mentre la cordiera nera che manca dal corpo principale giace sulla scrivania.
Lascio cadere a terra i sacchetti, dopodiché ricomincio a respirare rendendomi conto di essere rimasta in apnea per qualche secondo.
Sentendo un pesante groppo in gola, mi affretto ad avvicinarmi al mio strumento. Terrorizzata, noto che non mi sono immaginata niente: le corde sono state recise una ad una, un taglio netto e preciso e i pezzi sono stati staccati con una forza che dimostra che non si è trattato di una caduta o di un incidente, è stato fatto di proposito. Mi viene in mente un solo nome: Peggy.

Prima che possa controllarmi, mi volto verso la porta per raggiungere la sala a passo di marcia. Ho le lacrime agli occhi, l'adrenalina in circolo e la mente completamente annebbiata dalla rabbia. Non appena mi sente arrivare, lei alza gli occhi su di me: un mezzo sorriso compiaciuto si dipinge sul suo volto. È la miccia che mi fa esplodere.
« Sei una stronza!» urlo, avventandomi su di lei e tirandole uno schiaffo in pieno volto.
Il suono riecheggia nell'appartamento improvvisamente silenzioso, mentre Peggy mi guarda con gli occhi sgranati, sbalordita, portando una mano sul punto colpito della sua guancia.

« Come cazzo ti permetti?» sbotta poi, alzandosi di scatto e facendomi indietreggiare di qualche passo. È più alta di me di almeno dieci centimetri, ma sono troppo arrabbiata per farmi spaventare e, sebbene non sia mai stata una persona violenta, sento che in questo momento potrei farle davvero male. È quello che succede quando la mia mente si spegne completamente e, ancora una volta, lascio che siano gli istinti a dirigere la situazione. Le salto addosso e la spingo a terra, se non fossi così furiosa mi sorprenderei di essere veramente riuscita a spostarla. La sovrasto, sentendo le lacrime riaffiorare ai miei occhi puntati nei suoi, stupiti ed increduli. « Era l'ultima cosa che mi rimaneva di lui!» esclamo, sentendo ormai le guance umide e la voce che mi trema. « Era l'ultima cosa e tu l'hai distrutta!» la accuso disperata.

Peggy boccheggia, ormai evidentemente dispiaciuta oltre che spaventata; io sono pronta a rincarare la dose, quando mi sento afferrare per la vita e sollevare da terra. Non mi serve voltarmi per capire che si tratta di Daniel. « Jas, calmati. » mormora, allontanandomi da Peggy e portandomi all'altro capo della sala, vicino al bancone della cucina. Qui mi lascia andare, dopodiché si piazza davanti a me per potermi guardare in faccia. So di stare ancora piangendo, mentre i suoi occhi scuri mi scrutano preoccupati ed un cipiglio arrabbiato gli corruga la fronte.

« L'ha distrutto.» sussurro, annaspando per cercare aria. Daniel posa le mani sulle mie guance, per poi asciugarmi le lacrime con i pollici. Peggiora solo la situazione.

« Di cosa stai parlando?» domanda, sempre più preoccupato.

« Il mio violino.» singhiozzo angosciata. « L'ha distrutto.».

Peggy compare nel mio campo visivo, appena dietro il corpo di Daniel. « Jasmine, mi dispiace. » sussurra con voce tremante. « Non so cosa mi sia preso, io... »

« Peggy. » la interrompe Daniel, serrando la mascella e continuando a guardarmi in viso. « Vai via da qui.» le ordina poi, a denti stretti.
Vedo Peggy impallidire e vacillare, mentre Jordan la raggiunge e, dopo averla afferrata per un braccio, la trascina via.
Singhiozzo ancora, vorrei smetterla ma non ci riesco. Odio il vuoto che sembra essersi formato al posto dei polmoni e, paradossalmente, la gabbia toracica che sembra essere più pesante del solito.
Daniel tenta di mantenere la calma, mentre io l'ho persa completamente. « Jas... »

« L'ha distrutto. » lo interrompo. « L'ha distrutto, Daniel. » ripeto affranta.

Lui rimane immobile, intento a fissarmi. Sebbene sia evidente che non abbia idea di come comportarsi, decide di prendere in mano la situazione. « Andiamo a fare un giro, va bene?» domanda in tono dolce.
Mi ritrovo ad annuire, in una muta preghiera di poter uscire da questa casa, di poter scappare dal silenzio che sta cercando di prendere di nuovo il sopravvento.

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