4.

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Alle prime luci dell'alba è un sollievo sentire solo i rumori del traffico, anziché la musica che ha rimbombato per tutta la casa nelle ultime ore. Contenta del fatto che sia veramente finita e di avere via libera, mi alzo dal letto, per poi occupare il bagno. Non è nelle condizioni migliori: c'è un tanga appeso al rubinetto ed un reggiseno che pende da uno degli infissi della finestra; tento di concentrarmi sul lato positivo, ossia che non vedo preservativi in giro. Superato il disgusto mi faccio una doccia calda, per poi lavarmi i denti usando la stessa doccia con l'intento di evitare a tutti i costi il lavandino. Quando torno in camera mia e dopo essermi vestita, però, mi rendo conto di non aver nessun posto in cui andare.
Normalmente mi affretterei per la lezione con monsieur Douval, ma lui non mi vuole vedere ed io non ho intenzione di sfidare le sue decisioni, né di esercitarmi al violino. Non ho ancora trovato una soluzione al suo quesito: voglio sapere cosa c'è nel suo cuore.
Immagino che "niente" non sia una risposta accettabile.
Sentendo di nuovo la familiare spirale di pensieri prendere il sopravvento, per cui mi affretto a distrarmi: recupero la borsa ed esco dalla mia camera, pronta a passeggiare per le strade di New York per ore se necessario.
Ben presto, però, mi rendo conto del fatto che le strade di New York dovranno aspettare: la sala e la cucina sono un disastro. Ci sono patatine ovunque, bottiglie vuote sparse in giro, bicchieri persino sopra al divano. Non posso lasciarmi alle spalle questo casino, non riuscirei a stare tranquilla, lo so.
Ecco perché mi ritrovo con un sacco della spazzatura in mano, intenta a far sparire tutto ciò che non c'entra con questa casa. È tanto disgustoso quanto rilassante, devo ammetterlo; pulire e mettere in ordine mi dà l'illusione che anche nella mia vita ogni cosa sia al suo posto.
Mentre sono assorta nel mio lavoro, dei passi mi riportano alla realtà, facendomi sussultare e spostare gli occhi dal sacco della spazzatura a chiunque mi abbia raggiunta in sala: Daniel.
Con non poca sorpresa noto che indossa solo i boxer, il petto è lasciato nudo insieme agli addominali ben definiti, alle braccia muscolose, al tatuaggio che ha sul bicipite destro, alla sua espressione assonnata e confusa, adornata dai capelli corvini scompigliati e gli occhi socchiusi.
Per un attimo, vedendolo tanto disorientato, provo un moto di benevolenza nei suoi confronti, poi i ricordi si mettono in fila: Daniel che mi intima di non lasciare la mia roba in giro, che mi ordina di chiudermi in camera mia a causa di una festa che lui e gli altri hanno organizzato, tutti gli sguardi infastiditi che mi ha dedicato, tutti i silenzi.
« Ciao. » lo saluto senza accennare a sorridere, dopodiché riprendo a fare pulizia. Non mi aspetto una risposta da parte sua.
E mi sbaglio.

« Cosa stai facendo?» domanda avvicinandosi di qualche passo.

« Metto in ordine. » rispondo ovvia.

Daniel rimane per un attimo in silenzio, prima di parlare. « Ma non è colpa tua, neanche c'eri alla festa. » replica perplesso.

« È vero. » ammetto non degnandolo di uno sguardo, per poi buttare l'ennesima lattina di birra nel sacco. « Però abito qui. » aggiungo, stranamente determinata. « Che tu lo voglia accettare o meno, io abito qui, Daniel. Esattamente con te, Jordan e Peggy. Questa è anche casa mia e non mi interessa se mi trattate male o organizzate feste clandestine, perchè questo posto è anche mio... ».
Improvvisamente, rubandomi il sacco dalle mani e continuando il lavoro che io ho cominciato come se niente fosse, interrompe il mio monologo. Lo fisso incredula.

« Avremmo pulito comunque. » asserisce evidentemente nervoso. Tiene la mascella serrata, tanto che ho paura delle sue prossime parole. Eppure non dice niente.

In silenzio, recupero un altro sacco e mi occupo della sala, mentre lui sgombera la cucina. Nonostante dovrei essere grata del fatto che Daniel non mi stia guardando male o mettendo in imbarazzo, questo rimanere muti con il sottofondo del rumore dei clacson mi fa sentire a disagio. « Daniel?» lo chiamo titubante, presa da non so quale coraggio ma ben attenta a non alzare gli occhi su di lui. « Voi tre studiate davvero alla Juilliard?».

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