***Capitolo 53: Virgola

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"Anche il dolore più acuto può alla fine esplodere in violenza, ma di solito si tramuta in apatia."

Joseph Conrad (Cuore di tenebra: II)

Fu allo scoccare delle due settimane che il foglio di carta che Tom ed Annabelle avevano trovato sul comodino mi tornò in mente.

Jane,
Tanto tempo fa avevamo parlato di tre possibilità. Ancora una volta mi ritrovo ad averne bisogno ma

Non fu difficile sciogliere l'enigma di quelle frasi interrotte: il ricordo di quella nostra conversazione - una delle prime e forse tra le più bizzarre - era fresco e nitido come fosse accaduta pochi giorni prima e non fosse invece vecchia di mesi.

Il ricordo di un bar, quello di Lancaster Street, a pochi metri dalla galleria d'arte, la pioggia estiva che scendeva fitta, e noi, ancora due sconosciuti, seduti fuori su quel tavolino, al riparo sotto il tendone rosso del bar.

Passaci verso le tre del pomeriggio domani. Potrei capitare per di là. Se non ci sono, riprova il secondo giorno. Al terzo smetti di provare.

Era a quella conversazione che Aron si riferiva adesso, dicendo che ancora una volta si trovava ad aver bisogno di tre possibilità?

Ma cosa intendeva, esattamente con tre possibilità? Altri tre giorni per pensare? Tre giorni erano passati da un pezzo ormai, e non si era fatto vivo, e in ogni caso una pausa di tre giorni era troppo breve per giustificare un appartamento vuoto, e fu con quel pensiero che la mia speranza venne riposta nel lasso di tempo di tre settimane.

E quando le tre settimane passarono ed Aron non tornò, il cuore mi si spezzò una seconda volta e pensai che c'era un motivo se quella frase in quel maledetto foglio di carta non era mai stata completata: completarla mi avrebbe dato una speranza che non aveva ragione di esistere.

Fu quella stessa sera, allo scoccare delle tre settimane, che cedetti, per masochismo o per appagare una morbosa curiosità che invece avrebbe dovuto essere stata tagliata alla gola.

Cedetti ed andai al Circolo.

Presi l'autobus alle dieci di sera, percorsi a piedi la strada dalla fermata al parcheggio, attraversai la folla, lo sguardo fisso sulla scritta Heaven's door, sulla lettera n che ancora tremolava. Entrata nell'edificio, salii direttamente alla sala rossa e, per la prima volta dopo la sera in cui Aron se ne andò, rividi Tom ed Annabelle. Non erano soli, c'erano anche Alissa e Robin con loro, distesi sui divanetti di pelle nera, i calici stretti nelle mani.

Cedetti e chiesi di lui e fu Robin a rispondermi.

Mi disse che non avevano nessuna notizia di Aron, ma non si fermò lì. Appoggiò il bicchiere sul tavolo, si passò una mano tremolante sulla bocca e poi mi puntò il dito contro.

"È colpa tua, lo sai vero?", sibilò, sputando le parole come veleno. "Te lo avevo detto che lo avresti fatto scappare. Quella sera tornanti da Saint Vincent. Ti avevo avvisata."

Non è vero, volevo dirgli. Non sono io ad averlo fatto scappare. Sarebbe scappato da solo lo stesso. Non è colpa mia.

Non è colpa mia.

Non è colpa mia.

***

《Caro Micheal,

Come stai? Prima di salutarmi mi avevi nominata la tua amica di penna, quindi eccomi qui. Ammetto che un po' mi fa strano scrivere su un foglio di carta quando potrei semplicemente prendere il telefono e mandarti un messaggio, ma devo dire che l'atto di scrivere a mano è catartico. Spero solo che tu stia all'indirizzo che mi avevi dato e che Jack non ti abbia truffato davvero.

Ti sto scrivendo dalla mia veranda. Fa freddo e le foglie del melo sono tutte cadute e non riesco a concepire come sia già autunno. Non riesco più a tenere il conto dei giorni, per me passano tutti allo stesso modo, non c'è più niente che mi scalfisce, non c'è più niente che mi stupisce, che riesce a superare la coltre di nebbia in cui sono caduta. E sono fastidiosa come la nebbia che ora popola le strade, sono scomoda e rovino le giornate delle altre persone.

La palla di neve è crollata infine, si è spezzata in mille scaglie di vetro sul pavimento e non so nemmeno come cominciare a raccoglierle perché alcuni pezzi troppo grandi non so neanche dove siano andati a finire.

Credevo di averlo aiutato a superare le sue paure, eppure quelle lo hanno portato via da me. E non riesco a non pensare che senza volerlo mi abbia trasferito un po' di queste sue paure perchè, anche se sembra uno stupido scherzo del destino, adesso l'amore spaventa anche me.

Lo avevo paragonato ad una meteora una volta, destinata ad illuminare in uno squarcio di luce il mio cielo. E lo ha fatto davvero, ha incendiato ogni cosa nel suo passaggio. C'era luce e c'era bellezza. Ma una meteora al suo apice comincia a spegnersi e così è accaduto. È scomparso e mi ha lasciata qui al buio, a rantolare in cerca di qualche stella che possa ridarmi la luce. Ma non ci sono stelle e non riesco a riaccendere la luce.

Lo avevo anche paragonato ai fuochi d'artificio, uno scoppio di bellezza, fugace ma destinato a perire. L'ho sempre saputo, dunque. E allora perché ho lasciato che gli eventi accadessero? Perché non ho cercato di proteggermi?

Non lo so, forse è perché gli uomini sono sempre alla ricerca della bellezza e non le sanno resistere. Mistero, bellezza, amore...che senso hanno adesso?

Mi dispiace di essere così vaga e so che quello che ho scritto forse non avrà senso per te Micheal, ma non riesco a parlare con la mia migliore amica di quello che sto passando, anche se so che parlarne mi farebbe bene.

Non ho mai voluto parlare con nessuno in realtà di cosa eravamo io ed Aron insieme, lo consideravo, e lo considero tuttora, il mio piccolo segreto.

Però Shakespeare ha detto: "Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi", e il mio è già spezzato abbastanza e scrivere a te è un po' come parlare, no?

Sperando che questa lettera ti arrivi,

la tua amica di penna, Jane》

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