Papà per l'ennesima volta aveva tentato di schiodarmi dal mio covo, dato che tutti sarebbero andati a cenare in una steakhouse distante da Blacksburg qualche chilometro.
Casa era vuota quando scesi al piano inferiore, nel forno c'erano gli avanzi di una lasagna. Effettivamente avevo fame ma non me ne curai ed uscii fino a sedermi sugli scalini del portico.
L'estate era giunta al suo termine e come tutte le altre, la sua fine era caratterizzata da giorni caldi e altri in cui pioveva. Come oggi. Aveva smesso di piovigginare da un'ora ma non c'era affatto fresco, solo che io mi ero infagottata in un giaccone di lana, anche se avevo solo mutandine e delle pantofole nella parte inferiore del corpo.
Chiusi gli occhi, sentendo l'odore dell'erba e del terriccio, provando a rilassarmi. E la chiamata di Nate non tardò ad arrivare. Sorrisi felice, tentando di scacciare il magone che mi coglieva sentendo la sua voce. Mi mancava, cazzo se mi mancava!
《Ehi Universitario...》
Se fossi qui ameresti questo posto!》 Era una cosa che ripeteva spesso, che mi faceva sorridere e sperare di essere lì. Ma ora che le mie possibilità di avere una borsa di studio per il calcio in qualsiasi università esistente erano nulle, non ero neppure certa di voler frequentare il college.
Non ho più nessuno con cui dormire, Nate, non ho più nessuno che mi riprenda quando mi perdo.
Mi raccontò delle lezioni con professori fighi e non stupidi come nel nostro liceo, delle feste assurde, ragazze carine e super abbronzate. Raccontò di come ne aveva accalappiata una, dicendo semplicemente di essere un ragazzo del Sud perché - a detta di Nate - era un vantaggio. "Ai loro occhi sono una specie di principe azzurro che coltiva campi di granturco mentre legge libri, vanno matte per me!"
E avevo riso tanto, prendendolo in giro.
Ah! Ho litigato col mio coinquilino.
《Perché?》
Ha visto una tua foto.
E giù con altre risate. Chiesi se fosse carino ma non ottenni risposta. Poi fu il suo turno di pormi domande, rimproverarmi perché fossi a casa e non a bazzicare in giro come nella mia natura.
Mi accesi una sigaretta, il mio sorriso era così grande solo quando lo sentivo.
La brace all'estremità sembrava una lucciola mentre continuava a parlare e incuriosirmi con tutti i suoi folli aneddoti. Presi a camminare lungo il viale di casa, incurante del mio aspetto, influenzata dalla vitalità di mio fratello.
《E poi?》
E poi niente, Viv. Mi sono...
Smisi di ascoltare quando notai un'auto fermarsi nel vialetto opposto e ne scese un ragazzo. L'espressione stanca e non del tutto felice mi fece sorridere, questo era "l'effetto Blacksburg". Non lo avevo mai visto da queste parti e supponevo fosse solo di passaggio.
Pulce, dimmi la verità》, mi ridestò Nate. Proprio in quell'istante il tizio si accorse della mia presenza e mi fissò confuso. Dovevo sembrare matta mezza nuda e con le pantofole a forma di mucca.
《Che?》
Perché non sei alla Steakhouse con loro?
Sbuffai, riprendendo a camminare avanti e indietro, il cellulare contro l'orecchio in una mano e la sigaretta quasi consumata nell'altra.
《Credo di avere una fobia per le persone felici...》
Rise. 《Quelle persone felici sono la nostra famiglia!
《Dài, hai capito cosa intendo》, brontolai. E mentre lo dissi, continuai a studiare la scena sotto i miei occhi. Il ragazzo stava prendendo un borsone dai sedili posteriori per poi guardare la casa attigua al vialetto. Tutte le luci erano spente.
La Signora Hanson frequentava abitualmente almeno tre volte a settimana il circolo della terza età che si svolgeva in un'ala del municipio. Non sarebbe tornata prima di un'ora se gli andava bene.
Ascoltami bene, sorellina. Adesso ti vestirai, salirai in auto e li raggiungerai.
Alzai gli occhi al cielo, accendendomi un'altra sigaretta per il nervosismo.
Fallo per me. Per favore, Viv...》
《Va bene stronzo! Non rompere più.》
Lo sentii sorridere. 《Perfetto. Ora devo andare.
Quando chiusi la telefonata ero serena. Nate aveva giurato che non si sarebbe comportato come Gabe e Harry quando partirono per il college, che ci sarebbe stato anche a chilometri di distanza e gli credevo ciecamente.
Prima che rientrassi a casa, mi accorsi che il ragazzo era ancora di fronte casa Hanson stavolta poggiato contro la fiancata della macchina.
《Ehi tu!》 Gridai.
La testa scattò in mia direzione e inarcò un sopracciglio.
《Ti vedo le mutande》, rispose. Ridacchiai come una stupida e mi morsi le labbra, costringendomi a non muovermi né per raggiungerlo né per correre in casa.
《Ti serve una mano?》
Col pollice indicò casa Hanson. 《Sai quando torna mia zia?》
E chi l'avrebbe detto che quella vecchietta mezza sciroccata avesse un nipote...
《Entro un'ora se non si fermerà dalle pettegole.》
Sbuffò esasperato, sistemandosi la felpa n'era che indossava.
《Perfetto》, sbottò, passandosi una mano tra i capelli scuri.
《La porta è aperta, qui nessuno si cura di chiudere a chiave. Solo non farti trovare quando sarà di ritorno o le verrà un infarto.》
Sorrise o almeno così mi parve. Non riuscivo a scorgere il suo aspetto pienamente ma la strada illuminata mi fece intuire qualcosa.
Gli diedi le spalle e fui certa di aver catturato la sua attenzione, il chè mi fece sorridere come una strega cattiva. Sì, il mio karma era bastardo ma compensava le proprie mancanze con distrazioni per niente male.

Mignoli |Fil rouge h.s #0.5|Where stories live. Discover now