Creep

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Sgradevole
Quando tu eri qui prima
non riuscivo a guardarti negli occhi
tu sei proprio come un angelo
la tua pelle mi fa piangere
tu fluttui come una piuma
in un mondo meraviglioso
Io avrei voluto essere speciale
tu sei così maledettamente speciale

ma sono una persona sgradevole, sono uno strano
cosa diavolo sto facendo qui?
io non appartengo a questo posto

non importa se ferisce
io voglio avere il controllo
voglio un corpo perfetto
voglio un'anima perfetta
voglio che tu noti
quando non sono in giro
tu sei così maledettamente speciale
Io avrei voluto essere speciale

ma sono una persona sgradevole, sono uno strano
cosa diavolo sto facendo qui?
io non appartengo a questo posto

lei corre fuori dalla porta
lei sta correndo
lei corre...

Qualunque cosa ti renda felice
tutto ciò che vuoi
tu sei così maledettamente speciale
Io avrei voluto essere speciale

ma sono una persona sgradevole, sono uno strano
cosa diavolo sto facendo qui?
io non appartengo a questo posto
io non appartengo a questo posto
Creep- Radiohead

Volevo marcire lì, nel mio letto e al buio, lasciare che il tempo mi scivolasse addosso facendomi scordare che infondo ero una che, sì, non si attaccava ai luoghi ma per compensare desiderava saldarsi le persone care sulla pelle.
Ero una poppante e poco razionale quando qualcuno mi lasciava ma io, proprio, non riuscivo a non piangere e implorare perché tornassero da me. Chissà cosa ne avrebbe pensato uno psicanalista... Comunque la mia intenzione, finché non sarebbe cominciata la scuola  - quindici giorni circa - era tentare di diventare tutt'uno col materasso. E a niente erano servite le suppliche di papà che giorno per giorno mi supplicava di mangiare qualcosa o uscire a prendere un po' d'aria. Bé, in effetti avevo anche ignorato Gabe e Karen.
E per fortuna non avevano tirato la corda. Sapevano che stavolta le lacrime non erano il capriccio di una ragazzina fin troppo viziata, che il senso di solitudine che m'aveva sempre accompagnato come un'ombra nefasta poteva essere placato solo da una persona. E quest'ultima se n'era andata.
Certo, in alcuni momenti di fredda razionalità, in cui saliva a galla la Vivienne che sfoggiavo col mondo intero, mi dicevo che ero ridicola; in fin dei conti non era morto. Eppure, ciò che non mi faceva stare tranquilla era la certezza che si sarebbe dimenticato di me, messo da parte, per la prima volta non avrei fatto parte della sua vita.
Nate se n'era andato; Nate era partito per il college in Florida.
Fino all'ultimo ero stata forte, sorridente e falsa avevo retto, rassicurandolo sul fatto che sarei stata bene e: "Sei un bastardo, sarai il primo di andartene da questo buco." Serena in superficie, il mare in tempesta nell'anima. Mentre lo abbracciavo forte, accarezzandogli i capelli morbidi e cercando di memorizzare al meglio l'odore tipico della sua pelle, l'unica cosa che gli imploravo nella mia testa era di non lasciarmi perché così il baratro in cui sprofondare sarebbe stato più allettante.
"Non fare cazzate, Viv. Ti supplico." La fronte contro la mia, gli occhi scuri grandi e colmi di lacrime. Nate era terrorizzato a morte e mi stringeva le guance tra i palmi con così tanta forza da farmi male.
E avrei voluto chiedere cosa intendesse di preciso perché la realtà dei fatti era che le cazzate erano all'ordine del giorno nella mia quotidianità.
"Rimarrò viva", avevo riso, forzandomi.
Storsi il naso quando lo stomaco brontolò e in simultanea qualcuno bussò alla porta della mia stanza. Grugnii, affondando il viso nel cuscino, che male c'era a finire le vacanze estive cercando di crepare in una camera da letto. Venivano a rompermi le scatole circa quattro volte e solitamente rispondevo con monosillabi incazzosi. Ero nel pieno della mia crisi adolescenziale, vaffanculo tutti!
Il bussare continuò, infastidendomi a livelli assurdi.
《Sto dormendo》, brontolai. Dannazione, ero qua dentro da tanto che avevo perso la percezione del tempo, o meglio se non avessi avuto il cellulare - strapieno di notifiche di SMS - sarei stata confusa su giorno, mese e ora.
《Molto convincente...》
Scattai seduta con le guance infiammate dall'irritazione. Davvero? Davvero era qui dopo esser sparito per chissà quanto da quando aveva conosciuto la sua nuova fiamma?
《Vattene.》
Ovviamente fece l'esatto contrario e un attimo dopo il pomello ruotò ed Harry fu dentro.
Sospirai pesantemente, per assurdo stare sdraiata dalla mattina alla sera ti stancava per cui non avevo voglia di alzarmi e cacciarlo a calci sul didietro. Che facesse quel che gli pareva. Ora, in questo preciso momento in cui la mia vita sembrava aver subito uno scossone, in cui gli equilibri già precari che mi mantenevano su erano ancora più labili, l'amore per Harry non era passato o dimenticato ma semplicemente messo da parte. Insomma, la sensazione di instabilità e la mancanza di Nate erano così predominanti da annebbiarmi.
Che mesi fa, dopo aver ammesso con Richard di amare Harry, dopo aver ricevuto una risata decisoria in risposta, avevo tentato di ridimensionare il tutto. Mi ero davvero chiesta se non avesse ragione; se l'amore vero non si scoprisse in là con gli anni. Insomma, cosa potevo saperne se a malapena ricordavo le fette di pane nel tostapane perché non bruciassero?
Papà era saggio e desiderava solo il mio bene.
Avevo iniziato a prendere le distanze da Harry, non notare ogni piccolo cambiamento che lo coinvolgeva o non sorridere se sorrideva.
Tentavo di piegare il cuore con la mente, essere lucida. Ripetermi quanto volessi solo bene al mio fratellone Harry. Una delle cose più difficili di sempre, in tutta onestà, che aveva spinto al limite il mio menefreghismo. Spesso mi ero ritrovata a non dormire e ad andare a scuola ancora sbronza dopo una notte brava, cercare di dimenticare appartandomi con ragazzi che non conoscevo negli spogliatoi della palestra. Nulla aveva retto al mio comportamento sconsiderato, ero stata cacciata dalla squadra di calcio, i miei voti erano calati, i discorsi di papà che provavano ad incitarmi sul risalire la china erano aumentati. E in tutto questo sentivo solo un vuoto incessante.
Il nulla. E così, come in un circolo vizioso, tutto ricominciava daccapo.
Poi una notte di metà giugno, una di quelle in cui tutti mi credevano dormiente da Kate o Sid, mi ero ritrovata - chissà come - a raccattare la mia gonna inguinale dal pavimento del dormitorio dell'università di Charleston. Un ragazzo di cui non sapevo nulla e molto più grande di me, russava nel suo letto fin troppo piccolo ed ero scappata, mezza impaurita. Mentre percorrevo un campus sconosciuto, scalza e intontita, la verità più semplice di tutte mi aveva investito.
Se fossi stata semplicemente infatuata da Harry, non mi sarei distrutta in questo modo.
Papà aveva torto su tutti i fronti.  L'amore era amore, sia a quindici che a quarant'anni e non faceva onore all'uomo che era screditare i miei sentimenti.
《Sai che questo posto è inquietante?》 Esordii Harry, guardandomi mezzo divertito. Battei le palpebre, ricercando un modo pacato per mandarlo a quel paese. Tutto, lui soprattutto, mi faceva venire l'orticaria.
Era sparito nel nulla da due fottuti mesi, era la prima volta che si presentava dalla partenza di Nate, per nulla preoccupato dalla mia asocialità, e adesso fingeva indifferenza?
Traballante mi alzai, osservandomi attorno confusa. Era tardo pomeriggio, per cui con le tende tirate dominava la penombra, il disordine era prevalente e l'IPod era stoppato ad una canzone abbastanza tagliavene di Christina Aguilera. Patetico, sì.
Poi mi concentrai su me stessa; la t-shirt di papà che avevo messo ieri notte dopo la doccia sembrava gigante sul mio corpo e avevo i capelli legati in una treccia laterale, la frangia era cresciuta tanto da oscurarmi la vista e Dio Santissimo... Speravo che qualcuno fermasse le mie tempie che iniziarono a pulsare.
Chissà come dovevo apparirgli. Di certo lui era il ritratto della serenità. Fresco, riposato e i capelli in ordine nel solito chignon.
Ogni santissima volta dovevo scendere a patti con me stessa, accettare che un'altra donna lo facesse sorridere in questo modo.
《Cosa... Cosa vuoi?》 Avevo una voglia matta di fumarmi una sigaretta, forse anche di aria pulita, sana, priva di Harry.
Inclinò la testa, studiamdomi. Sembrava intenerito, o almeno mi parve così. In tutta onestà avrei voluto essere come lui: non permettere a nulla di devastarmi e non sentire la vita in questo modo. Ecco, questo era il mio problema, sentire la vita in ogni sua sfaccettatura, emozione e rimanere mortalmente ferita dalla qualunque.
《Rossa-》
Un sorriso cattivo mi sollevò le labbra, avevo voglia di fargli male ed era solo una casualità che fosse lui sotto il mirino e non Gabe o qualunque dei miei amici.
《Sei patetico》, glielo dissi come se mi liberassi da un peso. Mi faceva rabbia la sua dannata vita senza isterie o drammi.
Aggrottò la fronte, alla sprovvista, inizialmente divertito dalla mia spavalderia.
《Senza infamia né gloria》, continuai. L'espressione leggera sfumò dal suo viso, facendomi sentire potente.
《Ti svegli tutte le mattine, svolgi il tuo patetico lavoro come fosse la cosa migliore del mondo, vai al pub con i tuoi amici la cui cosa più eccitatante delle loro stupide esistenze è stata ingravidare la ragazza che frequentavano dai tempi del liceo. E sai qual è la cosa più triste? Che, anche se con dinamiche diverse, farai la stessa fine. Forse con Norah o qualsiasi altra donna che crederai possa renderti felice.》
Nel frattempo mi ero seduta sul bordo del materasso, Harry perfettamente ritto di fronte a me, allibito. Una lieve traccia di senso di colpa mi stava stuzzicando la coscienza ma la eliminai subito.
Mi guardai i piedi nudi. Sperai con tutta me stessa che se ne andasse perché mi sembrava di aver sparato sulla croce rossa. Non c'era null'altro da aggiungere.
Vai da Norah, va' ovunque.
Harry rilasciò un respiro pesante, si sfregò i palmi contro la faccia e tornò a lanciarmi la sua solita occhiata, quella nel suo stile, che avrei percepito addosso anche se fossi stata in mezzo ad una folla.
《Ti dà fastidio essere giudicata ma non sei migliore di loro, noi.》
Annuii, davvero poco interessata. Forse un tempo potevo illudermi di essere "migliore" di tutti gli stronzi bigotti del buco ma - a conti fatti - mi ero trasformata in una pappa molle. E il mio più che giudizio, era rabbia. Avrebbe potuto avere qualsiasi cosa volesse: viaggiare, aprire perfino un hotel in qualche metropoli del mondo ma si accontentava del minimo indispensabile. Era fatto così, dava il suo meglio alla locanda, alle sue ragazze, a sua madre, agli amici. Ma non a me né a sé stesso, io il suo meglio potevo solo cercare di rincorrerlo invano.
Non ero certa che mi piacesse la persona che era. Certo lo amavo ma non potevo fuggire dalla realtà. 《Perché sei qui?》
《Ero preoccupato.》
Risi falsamente, scuotendo il capo. 《E ti sei ricordato di me... Quando di preciso?》
Adesso il senso di colpa torturò lui e si mosse a disagio, deviando il mio sguardo.
《Io-》
《Va' via》, supplicai. Non si era preoccupato per me, ogni volta che spariva mi dava per scontato. Io ero Vivienne e nella sua ottica delle cose ci sarei sempre stata.

Mignoli |Fil rouge h.s #0.5|Donde viven las historias. Descúbrelo ahora