four

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Chiedo scusa, ma non avevo idee. Poi boh, mi è venuta un'idea così, all'improvviso.
Vi consiglio di ascoltare, mentre leggete, "Nemmeno un grammo" di Mengoni.
Grazie ancora a tutti.
Baell, e buona domenica!

Tutto taceva, la sera del 15 gennaio.

Il freddo penetrava nelle ossa, e te le congelava fino a non sentirle.

Gennaro Raia sedeva su un muretto, fumava.

Era una sera tranquilla, pensò, aspirando.

Non pioveva, non c'era nemmeno il vento a scompigliargli i capelli.

Solo silenzio.

Come quello che aveva dentro.

Niente lacrime, niente urla, solo silenzio.

Maledettissimo silenzio, che non trovava parole per essere spiegato, ma solo ombre e solitudine.

Aspirò, spegnendo la seconda sigaretta di quella sera.

Sbuffò, volgendo lo sguardo verso l'alto.

Un cielo stellato, solo per lui.

Ma lui voleva condividerlo con qualcun altro, quel cielo. Con quel qualcuno voleva condividere tutto, in realtà.

Un letto, una sigaretta, l'ultima fetta di pizza.

Quel qualcuno era Alex.

Alex era lontano anni luce da lui, pensò.

E il solo pensiero lo faceva stare da schifo.

«Ma che fai qua che fa freddo?»

Si sbagliava?

Si voltò, tremendamente piano, verso il posto da dove proveniva la voce.

Notò una figura slanciata, capelli scuri, occhi altrettanto.

E nonostante quel silenzio, sorrise.

Ma si maledisse, subito dopo.

Alex avanzò. «Che ci fai qua, Genn? Ti sto parlando.», cercò di smuoverlo.

Il biondo scese dal muretto, guardando male il moro davanti a sé.

«Non fa freddo.», fu tutto quello che riuscì a dire.

«E perché stai tremando?», osservò Alex.

Genn scosse il capo, lo sguardo basso.

«E ora, perché stai piangendo?»

«Smettila, cazzo, smettila. Smettila di accorgerti di tutto, di capire qualsiasi gesto io faccia. Smettila di interpretarmi, di leggermi dentro.»

Tremava nella sua felpa grigia, il cuore alterato.

«Smettila tu. Smettila di pensare, ti fanno male, smettila di scegliere le parole da dire, perché le persone non capiscano come stai davvero. Smettila di stare cosi, sempre.», ribatté Alex.

Era così vicino.

Genn rise.

«Tremi, piangi, ora ridi. E sai cosa c'è di peggio?», chiese Alex.

«Illuminami.»

«Che non riesco a non starti dietro, non riesco a stancarmi di te, non riesco a non interpretare ogni tuo gesto, ogni parola che non dici e ti rimane bloccata in gola.», rispose il moro.

Ormai, erano vicinissimi.

«Si? Tutto?»

«Si, tutto.»

Occhi dentro occhi, fino a sciogliersi.

Respiri che si fondono.

Bocca contro bocca.

La mano fredda di Genn sfiorò il viso di Alex, mentre le mani di quest'ultimo andavano a scompigliare i capelli del biondo.

«Sapevo anche questo.», rispose Alex, alla fine.

«Sei un bastardo, Alé.», commentò Genn.

«E perché?»

«Perché avevo un record di parole non dette, e perché colpa tua è andato a farsi fottere.»

«E poi io sarei quello squallido, eh?», chiese Alex, sfiorandogli il fianco.

«Oh, si. Ma, devo dire, che mi piace anche questo di te.»

«E cos'altro ti piace di me?», chiese curioso, Alex.

«Mh», cominciò Genn, sfiorando con un dito la fronte di Alex, per poi scendere al naso, e alle labbra, «Tutto

«Puoi essere più preciso?», chiese Alex, sorridendo.

«Mi piaci quanto sei tutto mio.»

A part of me.  »Gennex« Where stories live. Discover now