Capitolo 10

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Michael's POV
Sono lì, Joy e David.
Parlano col dottore e sembrano abbastanza preoccupati; Joy piange appoggiata sulla spalla di David e lui la consola, dandole piccole carezze sulla schiena e poggiando la fronte contro la sua.

Non ho mai capito perchè Calum odiasse la sua famiglia.
Una sorella che lo ama, dei genitori che si prendono cura di lui.
In un certo senso, lo invidio pure: i miei sono sempre fuori, per lavoro o chissà, e io non ho nè una sorella nè un fratello con cui passare il tempo, parlare, confidarmi. Sono cresciuto con Julie, sì, ma i nostri rapporti non sono mai stati dei migliori e proprio ora che stanno diventando 'normali', ci stiamo rendendo conto che è troppo tardi per crescere come fratelli. E' troppo tardi per tutto.
Sono cresciuto solo e i miei genitori non se ne sono mai accorti. A causa di questo ho forse incominciato ad amare la solitudine.
Il rumore del mio solo respiro, del mio solo cuore che batte, della mia sola emissione di voce in un luogo grande quanto una casa.
Qualcosa di magico. E sensazionale.
Ma non lo è più.

Sono affranti. Le lacrime sui loro volti sembrano fiumi in piena e i loro singhiozzi sono forti quanto strilli acuti e dolorosi quanto le cause che li provocano.
Uno di loro si siede, il più fragile forse, il più addolorato.
L'altro, il più robusto, il più forte, il più latteo, viene verso di me e mi abbraccia.
Un abbraccio indesiderato da entrambi, ma voluto da quel ragazzino in stanza, chiusa da ore.

Overdose endovena.
Overdose d'eroina.
Questo è quanto è stato detto.
Hanno aggiunto anche il fatto di essersi salvato dall'immediata dose di narcan che il medico gli ha somministrato all'arrivo dell'ambulanza.

Termini tecnici ovunque. Non capisco più niente. Però una cosa l'ho capita, ed era forse la più importante.
Salvo. Una parola banale, ma importante.
Un verbo semplice, ma fondamentale.
L'abbiamo probabilmente pronunciata molte volte al giorno.
Ma questa volta ha un significato in più, più semplice da capire e più importante.

Chiunque entrasse in questo momento, si spaventerebbe dalla situazione: una donna distrutta, il viso rosso e rigato dalle lacrime, accasciata su una sedia, i fazzoletti zuppi sulle mani; un uomo deluso, dal viso sofferente, con la testa fra le mani e i piedi che picchiettano dal nervosismo; una ragazza stanca, gli occhi chiusi e il corpo rannicchiato in uno spazio non più grande di 50 cm, l'unica forse esterna alla situazione.
E poi ci sono io. Non posso vedermi ma sono di certo il peggiore fra tutti; sento gli occhi pesanti che vogliono chiudersi, la bocca secca che lascia uscire pesanti sospiri e le orecchie come coperte da strati di stoffa.
Alla fine il sonno vince.

Buio, è tutto nero attorno. Mi giro da un lato, ma niente cambia. Poi una voce, come un eco.
"Michael!"  E' una voce cristallina e pura, ma graffiante e penetrante.
Il nero viene spezzato dalla figura di una ragazza che corre verso di me.
Ha un volto familiare, ma nessuna associazione nella mia testa. Nessuna persona che corrisponda ad essa.
"Ti vuole! È in crisi!" E' una voce che viene da lontano, nonostante lei sia vicino a me.
Senza sapere chi mi voglia, chi è in crisi, il mio corpo comincia a seguire automaticamente la ragazza.
Mi conduce in una stanza completamente bianca e i miei occhi si accecano, dal buio pesto al bianco puro, e sono costretto a coprirmi gli occhi con una mano, anche se è come non la comandassi.
Dopo alcuni secondi comincio a distinguere le figure, anche se un po' sfocate.
C'è un letto, anch'esso bianco, ma meno puro. Più sporco.
Un ragazzo sopra che trema, molto forte. Sussurra il mio nome.
Cerco la ragazza ma è scomparsa, come volatilizzata.
Mi avvicino al letto che spicca nella stanza come una goccia di sangue su una maglia rossa e poggio istintivamente una mano sulla fronte del ragazzo.
Un urlo, recita il mio nome. Poi tutto cessa.

"Michael! Svegliati!" Una mano sul braccio mi scuote.
Balzo sulla sedia e metto una mano sulla schiena: sono dolorante e a ogni movimento sento scricchiolare tutte le ossa del mio corpo.
Vengo svegliata da Julie, l'unica rimasta in quella stanza insieme a me.
"Dove sono gli altri?" chiedo, subito dopo essermi stiracchiato e aver sbadigliato.
"Sono dentro" dice calma, aspettando una mia reazione, che non tarda ad arrivare.
Mi alzo di scatto e mi dirigo verso la stanza del mio migliore amico, incurante di tutto e tutti, ma la ragazza mi blocca.
Mi volto e mi accorgo solo adesso, osservandola bene che è lei. E' lei la ragazza del mio sogno.
La sua voce, il suo volto familiare. E' lei che mi ha condotto da Calum nel sogno, come è stata lei a farmi sapere della sua ricaduta.
"Michael, vai a casa. Sei troppo stanco, guardati. Hai bisogno di una doccia, di mangiare e di dormire. Andiamo insieme, dai" suggerisce guardandomi con occhi stanchi e arrossati, mentre stringe la mia mano e mi tira con sé verso l'uscita.
"Devo vederlo, Julie. Devo." la supplico disperato.
"E poi ce ne andiamo?"
"Sì, poi andiamo" prometto.

Julie entra insieme a me.
Joy è seduta sul letto, accanto a lui. La testa sul suo petto, coperto da quella squallida veste d'ospedale.
David gli tiene la mano, come se avesse paura di lasciarlo ma anche di avvicinarsi troppo.
"Posso?" Mi limito a chiedere.
Non voglio rovinare niente, ho solo bisogno di salutare quel ragazzo dormiente su quel letto sudicio.
Un po' come nel mio sogno.

Joy mi lascia il posto, anche se non ne avevo bisogno. Non volevo sedermi in un'altra di quelle scomode sedie solo per passare 2 minuti con Calum.
Già vederlo dormire tranquillo, nonostante il posto non sia dei migliori, mi rende felice.
Come se adesso lo riuscissi a vedere veramente, sapendo che lo posso guardare per il resto dei miei giorni, senza pensare alla sua condizione.
Una mano stringe il mio braccio e la vedo accanto a me che mi rincuora, un po' come a dire 'Hai visto? Sta bene'.
Ed in effetti ora è tutto apposto.

+++

È stato un parto.

Maybe Together|| M.G.CliffordWhere stories live. Discover now