•5• Fünf.

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Stessa classe. Stesso banco. Stessa gente. 

Che odio il Lunedì mattina, la tortura rinizia d'accapo. In classe a fare matematica, con un professore che continua a chiederti se hai capito.
Michelle hai capito? 

Hai capito? Hai capito? Parole che battono sulla mia testa come bacchette su dei tamburi in una marcia militaresca. 

No. Non ho capito. Ma mica solo di matematica. Non ho mai capito nemmeno la mia vita, cosa volevo dalla vita. Un continuo sperare che la soluzione mi cadesse dal cielo.
Mi volto verso la finestra e mi perdo in quel blu ormai quasi invernale. Nuvole bianche come zucchero filato, passeggiano indisturbate. Non faccio in tempo a perdermi ancora di più, che la campanella suona, ricordandoci dei nostri dieci minuti d'aria.

Prendo di corsa le sigarette, mi alzo di scatto e faccio un passo.

Errore 404. Riprova sarai più fortunata. 

La testa inizia violentemente a girarmi e gli occhi vedono solo puntni neri. Cerco con la mano il banco e mi siedo, chiudendo gli occhi e reggendomi la testa fra le mani.
-Tutto bene?-
Alzo la testa e Sharon si para davanti a me.
-Si, tutto bene.-
-sicura? Sei pallida.-
-lo sono sempre.- rispondo secca.

-ok.- sorride e se ne va. Rimango seduta altri due minuti e poi mi alzo. Esco fuori la porta e vedo la sagoma scura di Viktor accanto a quella gigantesca di Samuele, scendo le scale con lui davanti. Vorrei sentirlo parlare,dire qualcosa di interessante. Ma non parla. Si porta la cartina con il tabacco alla bocca, e la chiude velocemente. Dopodiché scende velocemente le scale, cosa che non posso fare io. Con lentezza e attaccata al corrimano, arrivo all'ultimo piano. Lo perdo di vista, ma so già dove trovarlo. Esco e mi appoggio ad un muretto, non lontano dalla sua "postazione abituale." Accendo una sigaretta e alzo la testa al cielo. Un brivido mi percorre la schiena, inizia a fare davvero freddo, non vedo l'ora chew nevichi. 

La mia abnorme felpa mi compre da occhi indiscreti, só che la gente mi guarda, parla e sparla di me. Sento i mormorii legarmi i polsi, la gola. Sento che mi misurano, cercano di capire quanto peso.  Cercano di capire cosa sto pensando e ovviamente poi, far finta che io non esista. Una loro logica, un loro modo di essere che non ho mai appreso in pieno, ma ehi, io sono sempre stata l'asociale, la silenziosa ed ora anche l'anoressica. Di cosa volevo lamentarmi?

"qui stanno parlando di te."  il messaggio di Viktor su Messanger mi fa voltare verso di lui. Sorride, ma con un sorriso beffardo. .

" Dimmi qualcosa che già non so."
"Sta a te se fregartene o meno."

Mi urta con queste frasi. Come se non sapessi quello che devo fare. Ma lo guardo e ricambio il sorriso. Come se fosse una consapevolezza di aver capito dove vuole arrivare.

10 minuti passano troppo veloci, la campanella suona. Rientriamo, una folla si accalca davanti alla porta. Io rimango altri due minuti al sole ad occhi chiusi, godendomi quel sole non bollente ma nemmeno freddo, direi perfetto. 

-Sola?-
la stessa voce che me lo aveva chiesto alla Villa. Scocciata e innervosita apro gli occhi. Eccolo qui,lo stesso ragazzo, le stesse cuffie,lo stesso giubbotto.
-stavo entrando in classe.-

-ce la fai? Altrimenti ti accompagno.-

dice sorridendo. Stavo quasi per dirgli di si, quando davanti a me si para il mio gemello.

-ha le gambe Michelle. E se qualcuno la deve accompagnare, quello sono io. -

Il ragazzo alza le mani in segno di resa e se ne va sorridendo ironicamente.

-Christian!- dico a denti stretti.
-Michelle!- dice facendomi il verso.

-Ce la faccio benissimo da sola.- dico pacata, quasi sussurrando.

-muoviti, dai.- Mi da un buffetto affettuoso sulla guancia e saliamo le scale. Mi sento gia male. Mi sforzo e riesco ad arrivare in classe.

Mi faccio piccola piccola nel mio posto  e cerco di passare piú inosservata possibile, riprendendo il fiato perso nelle scale e cercando di contare il battito del mio cuore che mi rimbomba nelle orecchie. 

***

A casa le solite cose. Mangio la mia mela quotidiana e scappo nella mia camera.Le urla di mia madre arrivano fin sopra e attraversano la porta di legno massello, accompagnate da insulti, bestemmie e Dio solo sá cos'altro. "Sei una depressa! Non fai mai niente! Prima o poi te lo spacco quel telefono!Non mangi nemmeno piú,vuoi morire anoressica?!"

No,mamma.
Voglio morire e basta.

So che brucerò all'inferno per averlo solo pensato, ma è così.

I messaggi con Viktor si facevano sempre piú frequenti. Diventavano di meno in qualche periodo e poi riprendevano a essere fino alle tre della notte. Non reggevo piú questi sbalzi, avrei voluto solo buttare il telefono fuori in giardino e non sentire piú nessuno. Ma con lui non ci riuscivo, era diventata una droga. Un'astinenza da parole,frasi, riflessioni e lacrime. Rimaevo senza fiato aspettando le sue risposte. Perché questo era con lui. Un continuo sfogarsi, piangere e tirare bestemmie quando capivi che la tua vita ti stava scivolando dalle mani senza nemmeno che te ne accorgessi.

Fino a che decisi di far uscire tutto questo dolore. Non sapevo come, ma da uno psicologo non volevo andarci, e nemmeno raccontare qualcosa ai miei genitori.

E quindi feci la cosa forse piú sbagliata. Presi il mio astuccio dei colori e smontai un temperino. La lama brillava sotto le mie dita. Ero sola a casa, sola e pronta a tutto. Avrei dovuto farla finita quel giorno, e invece no. Sfregai la lama sul braccio, piu volte. E ancora,ancora, ancora. Finché il pavimento era puntinato da goccie di sangue, e lacrime che scendevano senza sosta. Urlavo dalla rabbia,il dolore, la vergogna. Il vuoto che c'era dentro di me non si decideva a crollare, o quanto meno a sparire.

Mi accasciai sul pavimento, fra il sangue ormai secco e le lacrime, respiravo a fatica tra i singhiozzi. Le ferite stavano smettendo di sanguinare, ma sanguinava la mia anima.
La mia anima stava ancora urlando dal dolore, e non smetteva di ripetere che tutto questo era colpa mia. Solo mia. Un casino che non riusciva nemmeno ad avere più il controllo sulla sua vita. Uno schifo. Un tale schifo. Mi alzai, pulii sotto l'acqua tiepida le ferite e le bendai. Ripulii il bagno e me ne andai in camera, presi il libro e lessi qualche riga. Non riuscivo a concentrarmi,chiusi tutto e mi infilai sotto le coperte. 

Con solo la voglia di non svegliarmi più.

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