•8• Acht.

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Rimasi in silenzio, non avevo voglia di parlare e a quanto pare nemmeno lui. Col passare dei minuti mi accesi una sigaretta dopo l'altra. Glie ne offrì una, ma rifiutò facendomi vedere il tabacco.

Non avevamo niente da dirci,non era come sul telefono, era strano adesso averlo qui accanto a me. Avrei potuto parlargli di tutto, ma rimasi in silenzio.
-Sei misantropa.- disse dopo un tempo infinito. Mi voltai lentamente verso di lui.
-Come scusa?-
Non si mosse, rimase con gli occhi puntati alla ringhiera.
-ho detto che sei misantropa. Hai mai sentito la parola, "misantropia"?.-
Feci si con la testa. 

Lui sospiro', come se dovesse spiegare ad una bambina l' ABC,  finalmente si voltó verso di me, mi guardo' un attimo e sorrisse leggermente. 
-Tu sei misantropa.- 
-e allora?- dissi scrollando le spalle e allontanandomi di qualche centimetro, cercando di creare ancora piu' spazio tra di noi. 

-niente. Pensavo non lo sapessi.- si volto' di nuovo verso la ringhiera e mimo' con le labbra questa parola. Come se dovesse vedere quanto poteva star bene pronunciarla. 

In realtà lo sapevo perché me lo diceva spesso la mia psicologa. A volte mi toccava  per vedere la mia reazione, e la mia era sempre la stessa, scansarmi. Non avevo mai cercato il contatto umano, ormai da quasi otto anni. Da quando mia madre e mio padre mi avevano iniziato ad ignorare. Non intenzionalmente, ma per il loro lavoro. Erano sempre impegnati e non trovavano mai tempo per me. Ho cominciato ad allontanarmi, cosi come loro avevano fatto con me. Quando mio fratello mi toccava mi dava fastidio, era una delle sensazioni più brutte che potessi provare. Mi scansavo anche da lui, non c'era motivo per farsi toccare. Nemmeno se fosse stata una carezza, stavo bene nella mia solitudine e nel mio non farmi nemmeno sfiorare. Lo sentivo come una violazione del mio spazio vitale.

-É strano.- disse lui all'improvviso.
-Cosa?-
-come fai?-

-se mi dici a fare cosa.- dissi già mezza snervata.

-A essere cosi fredda, distaccata, insensibile, acida, apatica...-

-smettila.- dissi troncando l'orrenda descrizione.
-Io non sono così..non del tutto. Ho la mia parte dolce e buona.- continuai.

-Sai, non si direbbe.-

-Non si direbbe nemmeno che anche tu parli, eppure eccoci qua.-

Sorrise e continuò a fumare in silenzio.

Uno a zero. Palla al centro.

Mi alzai per sgranchire le gambe, dopo quasi un ora e mezza seduta li immobile, ci serviva. Mi appoggiai alla ringhiera e spostai il peso da un piede all'altro.
-Perché non te ne sei andato quando mi hai vista qua?-

-Perché...non lo so. Dovevo sapere,credo.-

-cosa?-

-Sapere chi si nasconde dietro la maschera di Michelle.-

-Non credo siano affari tuoi.-

-e perché?- disse facendo una faccia da innocente. Lo avrei preso a sberle.

-Mi snervi quando fai così, lo sai perché.-

Sorrise e si alzò con uno scatto improvviso, tanto da farmi sobbalzare. Velocemente si avvicinò a me, feci un passo indietro e andai a sbattere con la schiena contro il ferro freddo della ringhiera. Alzò una mano e l'avvicinò al mio viso,ma non mi toccò. Con la punta delle dita mi sfiorò una guancia, erano fredde come il gelo.
Sentii un brivido trapassarmi anche il cervello, una rabbia assurda si stava facendo spazio nel mio cuore. Presa da uno scatto d'ira gli diedi una spinta contro il petto per spostarlo.

-Non mi devi toccare!- urlai, indietreggiando.

-Perché?! Cosa c'è che non va?! Io non voglio farti del male, lo sai. Voglio farti sentire che non devi avere paura di me.-

-Io..- affannai, cercando le parole, parole che non riuscivo a pronunciare. - Io...non mi faccio mai toccare da nessuno.- 

-quindi tu mi vedi come tutti gli altri?- Non risposi, non c'era motivo di rispondere. Stava facendo tutto da solo, non meritava nemmeno risposta. 
-Che cosa ti hanno fatto...- continuò, quasi sussurrando. Mi voltai e lo guardai, i suoi occhi mi trapassavano. Strinsi le mani al petto e aprii la bocca, solo per dire qualcosa, ma non ne uscì nulla, solo una nuvola di un sospiro invernale. Avevo paura, non volevo che finisse. Non ora, non poteva finire ora. Ma dovevo andarmene, scappare. Non doveva entrarmi in testa. 

Di scatto presi la mia roba dalla panchina e mi incamminai verso la scala da dove ero salita prima. Volevo andarmene, prendere il primo auto e tornare a casa e rimettermi nel letto. Dovevo dimenticare quella mattinata.

Feci i primi tre scalini, ma delle fitte allo stomaco mi fecero piegare in due e cacciare un urlo dal dolore. Con una mano mi reggevo alla ringhiera e con l'altra mi stringevo la pancia. Vedevo tutto sfocato, le piante davanti a me ondeggiarono, cosi come la mia testa. Credo di aver urlato, o forse no. Sentivo il fiato bloccato in gola.

-Michelle!- Mi voltai verso Viktor, stava correndo verso di me, gli occhi fiammeggiavano di paura e rabbia.

-Viktor...-

Buio. Non avevo gridato.

Quando mi svegliai ero in una stanza di ospedale. Viktor non c'era. Solo mia madre, che mi teneva per mano, e il mio gemello. Quando la vidi scansai la mano e lei mi guardò. Gli occhi pieni di lacrime e il naso rosso come se avesse pianto da ore. Era delusa? Arrabbiata?

-Come ti senti?-

Non risposi subito. Mi guardai un po intorno, mi accorsi solo dopo che ero ancora vestita da scuola. Piccoli flash di quello che era successo mi annebbiarono la mente. Viktor che parlava con qualcuno,il dolore allo stomaco, le sue dita fredde intorno alle mie braccia, la sua pelle pallida.

-mi fa male la testa.-

-è normale. Riposati, io e Christian andiamo a prenderci un caffè.-

Lo tira leggermente per la maglia e lui si alza e va dietro a lei, prima di uscire si volta e mi fa un piccolo sorriso.

Il telefono giace sul comodino della stanza. Quei comodini bianchi e azzurri, con tre cassetti, che farebbero ribbrezzo a chiunque. Lo prendo e aspetto che si accenda.

145 messaggi, tra i quali due sono di Msn. Apro solo quelli di Messanger.
"Mi hai fatto spaventare di brutto. Non mi era mai capitata una situazione del genere."
"Come stai?*

Non risposi. Ignorai quelli di Whatsapp, bloccai il telefono e lo buttai in uno dei cassetti dell'orrendo comodino e mi girai dall'altra parte. Mi sentivo uno schifo, mi veniva da piangere. Con le unghie mi graffiai dove potevo, di sangue ne uscì pochissimo, al quanto due puntini rossi, ma bruciava un bel po. Viktor mi aveva visto in quello stato, che schifo. Mi vergognai di me stessa e di quello che ero. Mi strinsi ancora di più in quelle copertine rigide e fredde del letto, gli occhi mi bruciavano, ma decisi di non piangere. Alla fine mi addormentai, con un buco nel petto e un ansia che mi stava uccidendo.

No, non avevo gridato.

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