Capitolo XXXI (R)

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Aspettammo il ritorno del militare in silenzio, lo stesso che ci aveva accompagnati per tutto il viaggio. L'unico suono che poteva intercorrere tra di noi era solo il nulla più assoluto. Non eravamo una squadra, non eravamo alleati, somigliavamo più a singoli concorrenti costretti a seguire lo stesso percorso fianco a fianco, uniti dalla sola voglia di arrivare quanto prima alla fine.

Solo in un silenzio così soffocante riuscii a trovare sollievo in una voce a me antipatica.

«Quiana...?» dissi incredula. Era stato per un attimo, ma potevo giurare di aver sentito quel flebile vocio lezioso.

«Come?» intervenne Shawn. «Impossibile» aggiunse poco dopo, ma io ero già corsa a controllare. Nello stretto corridoio tutte le porte delle stanze si susseguivano nella semi oscurità, tranne una. La più distante era aperta e sulla soglia, investita dalla luce, c'era una ragazza. C'era Quiana.

«Ehvena!» emise lei in un gridolino.

Neppure il tempo di lasciarglielo terminare che mi fiondai sulla soglia della stanza, gli occhi catturarono come prima cosa la capigliatura riccia di Maximilian, sdraiato sulla brandina più prossima. Su quella in alto, una figura muscolosa balzò giù nel momento in cui arrivai. Un'istante dopo ero avvolta nel caldo abbraccio del mio unico amico.

«Ero così preoccupato per te» disse stringendomi più forte.

«Anche io» confessai.

Normalmente avrei messo fine io a quell'abbraccio, eppure non riuscii a lasciarlo. Era così confortevole sapere di essere al sicuro, di essere importante per qualcuno senza secondi scopi. Dopo quattro giorni passati insieme a quei due apprezzai come non mai quel contatto.

Fu Maximilian a dividerci, con una frase cupa, quasi apocalittica. «Se sono qui è meglio che ce ne andiamo.»

«No» replicai d'istinto. Sapevo di non avere il diritto di intromettermi, ma neppure volevo separarmi così presto da William. Tutti e tre colsero la disperazione e la collera che avevo intrisa nella voce, ma solo il volto del biondino si contorse per l'apprensione. «Ce ne andiamo noi. Riposatevi.»

«Allora dovremmo affrettarci» ribatté.

«Avanti non prendetela così seriamente. Questa è una zona neutrale» intervenne William.

Maximilian scosse il capo non convinto ma in qualche modo divertito dal suo tentativo. Capivo la sua posizione in quanto Comandante, anche io me la sarei data a gambe levate se quei due fossero entrati nel bunker.

Mi voltai, aspettando di trovare i miei due soldato sulla soglia; le posture rigide, le espressioni coperte da uno spesso strato di indifferenza quasi inumana. Invece c'era solo Quiana a guardarmi con i suoi occhi languidi e pieni di sollievo. Non era rivolto a me tanto affetto, sapere di Shawn doveva averlo smosso. Ma tutto diventò insignificante alla luce del fatto che nessuno dei due mi avesse seguita. Esral potevo capirlo, ma Shawn perché non era lì? Lui era la mia ombra, e quando non poteva Esral non mancava di sostituirlo.

Un brivido mi corse lungo la schiena, il tipico zampettio molesto di un problema.

Lasciai quei tre dov'erano e andai a controllarli, i passi di William proprio dietro i miei. Non gli dissi di non immischiarsi, la sua sola presenza mi stava dando coraggio e vista la brutta situazione in cui mi trovavo ero certa che me ne sarebbe servito di più.

Mi fermai all'angolo del corridoio, quasi nascondendomi. William rimase dietro di me e osservò da sopra la mia nuca. Il militare era tornato, la sua figura torreggiava su quelle improvvisamente esili dei due.

«La prossima volta dateli tutti insieme» si stava lamentando l'ufficiale.

«Ci scusi» rispose Esral sommessamente, afferrando in fretta e furia un pila di tesserini.

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Where stories live. Discover now