Capitolo IV (R)

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Il respiro mi si mozzò in gola. La mente andò in stallo, incapace di credere a ciò che gli occhi mettevano a fuoco: mucchi informi di corpi accatastati si ergevano davanti a me.

Concentrandomi, potevo percepire i respiri regolari dei ragazzi circostanti. Fu un enorme sollievo, ma la sensazione liberatoria durò meno del previsto. Dopo svariati e maldestri tentativi di sollevarmi sulle ginocchia, il massimo che riuscii a ottenere fu scivolare in avanti di qualche centimetro, avvicinandomi di più a William. Le tempie pulsavano per il dolore, i muscoli non sembravano rispondere a nessuno dei miei comandi, ma la parte che aveva riportato danni maggiori era la zona cervicale: rigida come una lastra di ferro, mi impediva di muovere il capo se non al prezzo di fitte lancinanti.

«Riprenditi dannazione!» mugugnai a denti stretti. Imprecare mi aiutò a squarciare l'ultimo velo di spossatezza. Con la mascella serrata per il dolore, provai più energicamente a sollevarmi. Fu allora che mi accorsi di avere qualcosa incastrato tra i capelli: una mano, avvinghiatasi chissà come. Me ne liberai con qualche scossone e, con un'ultima dolorosa spinta, riuscii a tirar su completamente il capo.

Ormai vigile, cercai di scoprire in quale luogo fossi stata rinchiusa. Soffitto e pareti erano in metallo, nell'aria riecheggiava ancora quell'odioso frastuono di eliche. Non c'erano finestre, una luce artificiale filtrava da diversi faretti posti alle estremità del soffitto; cosa ancor peggiore, non sembravano esserci uscite. In più, non avevo la forza di alzarmi. Ciò mi faceva infuriare.

Mi allungai verso William, tirandogli un primo colpo sul braccio; lo avrei fatto sul viso, ma in quelle condizioni non ero in grado di raggiungerlo. Mi impegnai seriamente a strattonarlo, spaventata all'idea di rimanere l'unica persona cosciente. Nonostante sembrasse inutile e il dolore mi stesse facendo venire le lacrime agli occhi, non demorsi, almeno non prima di sentire un rumore stridulo provenire dal muro di fronte a me. Nell'immediato, un pannello scorrevole creò un varco nella parete di metallo e da dietro di esso sbucarono due figure, entrambe maschili. Non riuscivo a distinguere bene i volti da quella distanza, ma uno di loro, a giudicare dall'abbigliamento, doveva essere un militare. Entrambi non reagirono in alcun modo alla vista dei corpi. Ne dedussi che quella strage avesse qualcosa a che fare con l'Elezione.

Dei due, fu il civile a indicarmi. «Ecco un altro candidato già sveglio! Con lei siamo a sette. Attendiamo altre tre ore e potremo stilare la prima classifica dei candidati». Parve insolitamente elettrizzato.
Prima classifica, candidati... Quelle parole non fecero che ravvivare la mia rabbia.

«Certamente» rispose il militare con voce atona, in netto contrasto con quella del suo interlocutore. «Il suo nome Signorina» gridò improvvisamente, rivolgendosi a me.

«Dove mi trovo? Perché sono tutti incoscienti?» gracchiai, colta dal panico. Avevo la gola in fiamme e parlare non fece che intensificare il dolore alla schiena.

«Risponderò dopo alle sue domande, ora mi dica il suo nome» insisté lui, sempre impassibile.

«E-Ehvena, Ehvena Johns...» mormorai, era quasi un rantolo. Il militare si sporse in avanti, evidentemente non mi aveva sentita. «Ehvena Johns» ripetei, sforzandomi di alzare la voce.

Annuì, per poi affacciarsi all'esterno della sala gridando parole a me incomprensibili. Poco dopo venni circondata da uomini in camice che mi sollevarono da terra, l'ennesima fitta di dolore mi lasciò senza fiato.

L'ultima cosa che sentii fu il pannello richiudersi rumorosamente. Il resto fu un susseguirsi di blackout, durante i quali mi venne iniettato qualcosa che attenuò — seppur di poco — il dolore ai muscoli. Quando iniziai a riacquistare lucidità, mi trovavo già all'interno di ciò che doveva essere un'infermeria.

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora