Capitolo XIV (R)

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All'ora stabilita i militari ci divisero in gruppi e iniziarono le visite in successione. Una catena snervante che conduceva i candidati oltre la bocca dell'ascensore, fauci fameliche dalla quale nessuno riemergeva. Era lo stesso ascensore che avevo preso per arrivare dai Rappresentanti, in quella stanza un tempo deserta. Ci avevano chiesto di portare l'enigma della prova, in base alla quale avremmo trovato le relative stanze. Eravamo uniti in uno sciame compatto, attendendo il nostro turno in ordine sparso. William era accanto a me, forse ancora un po' arrabbiato per la mia totale mancanza di fiducia in lui. Oppure era solo intimorito dalla situazione, non sapevo dirlo con sicurezza. Persino una persona schietta come lui alle volte era difficile da capire. Per mia fortuna Paterson era nell'ultimo gruppo della coda, quella composta da soli membri della Quarta Classifica. La sua sola presenza era soffocante.

Il soldato Oscar Bauwens era davvero in servizio, per la precisione come addetto al pulsante dell'ascensore. Una posizione che mi rendeva difficile ignorarlo. Ero sopravvissuta all'imbarazzo una volta, ma da allora il carico si era raddoppiato grazie al biondino che avevo accanto.

Non era il giorno migliore per una visita: mi sentivo a pezzi, fisicamente e mentalmente. La voce era tornata ai suoi limitati sussurri, meno rassicuranti dopo l'ultima frase pronunciata e più sporadici. A causa degli allenamenti ravvicinati sentivo i dolori non mancavano, i polpacci indolenziti poi, avevano solo bisogno di stendersi in stanza. Lì, l'ultima coppia di libri erboristici attendeva di essere setacciata. Prima dell'adunata avevo catalogato un listino di piante che se combinate potevano risolvere il mio problema. Asia aveva fatto partire subito l'ordine, a sentirla il pacco con priorità Elezione doveva arrivare quello stesso pomeriggio, senza problemi. Avevo già avuto una brutta sorpresa con la Prima Prova e sentivo che sarebbe accaduto altrettanto con la seconda. Volevo riuscire a terminare quella faccende dell'enigma entro l'indomani. Durante l'attesa mi venne in mente che, forse, la visita alla struttura poteva essere una montatura e aldilà dell'ascensore avrei dovuto affrontare la vera prova. Il primo gruppo non tornò indietro, così come il secondo, e lo trovavo allarmante. Persino gl'intervalli, di cica quindi, venti minuti a gruppo, non facevano sperare bene. Quanto poteva volerci per una prova? La prima era durata il tempo di una scossa, le altre non dovevano essere da meno.

Quando toccò al mio gruppo, scoprii perché la fila si muoveva così lentamente: l'ascensore non conteneva più di cinque candidati alla volta. Il massimo era di sette persone, ma due posti erano occupati da una coppia di Latori che costeggiavano le pareti del trabiccolo. Li vidi far su e giù diverse volte, finché poi non tornarono anche per me.

«I prossimi cinque» sentenziò uno dei Latori, mentre i loro colleghi all'esterno spingevano me e William verso l'ascensore.

Oscar ci fece un velato segnale di incoraggiamento, un sorrisetto ben nascoso e un pollice in su che usò per premere il pulsante di chiusura delle porte. Dei tre ero l'unica a sentirmi a disagio per ciò che era successo.

Avevo messo piede nel piano sotterraneo una sola volta e tutto ciò che avevo visto erano intricati dedali di uffici e una piccola stanza degli interrogatori. Scesa per la seconda volta, sembrava che tutto fosse scomparso. Al loro posto trovai un'unica sala circolare, con cinque porte numerate: I, II, III, IV, V.

«Entrate nelle stanze relative al vostro enigma» disse uno dei Latori.

Ci muovemmo tutti verso le porte, chi più impaziente di altri. L'ascensore ripartì alle nostre spalle, lasciandoci in quel freddo contenitore senza uscite. O meglio, davanti a cinque possibilità. La mia era nascosta dietro la porta numero tre; a William era toccata la quattro, insieme ad un altro concorrente. I due restati imboccarono la prima e la seconda stanza. Non sapevo bene cosa aspettarmi, ma una stanza di laboratorio riadattata mi parve una delle scelte meno spaventose. Il locale in penombra era illimitato da quelle fredde luci artificiali che alimentavano l'intera base, armadi e tavoli con provette e bizzarri marchingegni erano stati spostati sul fondo, lasciando uno spazio centrale occupato da uomini in camice e candidati arrivati prima di me. Tutti volgevano lo sguardo alla limpida vetrata dalla quale si poteva sbirciare l'interno di una seconda stanza.

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