Capitolo 30.

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'Siamo creature stupide ed incostanti, con la memoria corta e con un grandissimo talento per l'autodistruzione.'
- Hunger Games, il canto della rivolta, Suzanne Collins

«America, seguimi, per favore.» È la voce di Jennifer che mi chiama.
Mi volto verso di lei, smettendo di firmare dei documenti.
Oggi ha i capelli legati in una coda di cavallo alta e il suo corpo formoso è messo ancor più in evidenzia dalla gonna lunga che indossa e la camicia di seta bianca; ha un abbondante trucco sul volto, ma oggi ha qualcosa di diverso. Sembra stanca e quasi turbata.
Nel frattempo, annuisco senza mostrare molto interesse.
Usciamo dal mio ufficio e la seguo.
Lungo il tragitto, una donna alta e piazzata ci ferma. «Eccovi qui.»
Jennifer sorride elegantemente. «Stavamo per andare da Harry.» Si rivolge a me. «America, lei è Matilda Aniston. È nostra cliente da molto tempo. Il signor Black ci ha scelte per organizzare una festa in onore di suo marito.» Mi dice.
Allungo la mano per stringere la sua. «È un piacere conoscerla.» Le dico con sincerità.
Matilda mi sorride a sua volta. «Harry mi ha parlato molto di te.»
Corro a guardare Jennifer. Si è irrigidita.
Torno a guardare la signora. «Beh... sono nuova, non ho molta esperienza come Jennifer...» Tento di risponderle.
Jennifer mi supera. «Non perdiamo altro tempo.» Mormora, con tono piatto. Si volta verso di me. «Potresti andare a prendere del caffè per tutti, nel frattempo?»
Sto per risponderle in malo modo, ma poi Matilda corre a guardarmi con quel suo sorriso dolce.
Sospiro e annuisco. L'unico motivo per cui avrei voluto dirle di no è semplicemente Peter, il quale è sempre presente al bancone del bar. Mi dico che devo affrontarlo e questo farò. A testa alta.
Quando mi incammino verso il bancone, lui sta asciugando dei bicchieri. Appena alza il volto su di me, spalanca un po' gli occhi. Si schiarisce la voce e mi dà il buongiorno.
«Buongiorno.» Mormoro a bassa voce. «Tre caffè da portare via.» Dico dopo, senza mai incrociare il suo sguardo.
Peter si mette all'opera.
Mentre aspetto il mio ordine, mi guardo intorno e osservo le persone che entrano ed escono dal luogo. Appena finisce, poggia i suoi gomiti sul bancone e mi osserva prendere il tutto. Non lo ringrazio e vado dritta verso l'uscita.
Prendo velocemente l'ascensore e, una volta arrivata, mi sbrigo ad entrare nell'ufficio di Harry. Posiziono i tre bicchieri sulla sua scrivania senza incontrare lo sguardo del ragazzo.
Jennifer è dietro di lui, con le mani situate sullo schienale della sedia girevole, mentre Matilda è seduta davanti a lui, con la schiena rigida e un'espressione già soddisfatta sul suo volto. 
«Potremmo organizzare la festa per tuo marito in uno dei plessi all'aperto della C.O.N.Y.» Tenta Harry, mostrandole una foto del plesso tramite il suo IPad.
Matilda osserva con attenzione il luogo e annuisce. «Mi sembra il posto perfetto.»
Harry annota le sue parole su un foglio bianco e continua. «Cosa piace a tuo marito?» Chiede, con il suo sopracciglio alzato e la sua espressione corrucciata.
«È una persona davvero semplice. Ama lo sport, i colori vivaci.» Risponde Matilda, sorridendo e mettendo in evidenzia i suoi lineamenti.
Harry annuisce ed annota anche questo.
«Cosa importantissima: a lui non piacciono torte complicate.» Aggiunge la donna, guardando la penna di Harry muoversi.
Lui annuisce, come se già lo sapesse.
«Non vuole neanche una decorazione sulla torta?» Chiede dopo qualche secondo Jennifer. «Dei fiori, delle scritte...?»
La donna scuote la testa.
«Non vuole neanche guardare qualche modello?» Tenta di nuovo.
Matilda scuote nuovamente la testa.
«Sono d'accordo con suo marito.» Mormoro ad un certo punto, senza guardare Jennifer.
Matilda corre a guardarmi.
«Neanche a me piacciono le torte troppo elaborate.»
Matilda si rilassa. «La semplicità è una delle qualità che mi ha fatto innamorare di lui.»
Le sorrido. «Allora faremo in modo che tutto sarà semplice e perfetto.»
Harry è rimasto in silenzio per tutto questo tempo.
Quando gli do una leggera occhiata, mi rendo conto del suo sorriso soddisfatto.
«Allora tra due settimane la contatterò per farle sapere per gli ultimi preparativi, d'accordo?» Torna a dire Harry.
Matilda annuisce.
Sto per salutarla, ma un dipendente bussa alla nostra porta.
Tutti corriamo a guardarlo.
«Mi dispiace interrompere il vostro lavoro, ma c'è una persona al telefono - e fa cenno al cellulare che tiene chiuso tra le sue mani - che vorrebbe parlar urgentemente con la signorina Carper.»
Spalanco gli occhi, corro a guardare Harry.
«Va' pure.» Mi invita a fare, con tono piatto ma al contempo stesso rigido. Vorrebbe che non uscissi, vorrebbe che restassi, ma sono curiosa di sapere chi ha avuto la necessità di chiamarmi.
Esco velocemente dall'ufficio, sotto lo sguardo vigile di Harry e il dipendente mi passa il telefono, per poi sparire.
«Pronto?» Mormoro.
«Sono io.» Si rivela Alec.
Sento un durissimo colpo allo stomaco quando riconosco la sua voce. «Sono al lavoro! Che cosa vuoi?» Lo sgrido, mantenendo il tono di voce basso.
«Ho le chiavi del tuo appartamento.» Dice semplicemente.
Aggrotto la fronte. «C-Cosa? Che vuoi dire?»
Alec respira profondamente. «Hope è venuta da me perché non ti ha trovata a casa. Mi ha dato le chiavi del tuo appartamento.»
Le sue parole sono una freccia scoccata nel petto. Mi reggo in piedi a fatica. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ne avevamo già discusso, io e lei. Faccio in tempo a fermare le lacrime. Mi bagno le labbra con la lingua e faccio qualche passo. Mi volto verso l'ufficio di Harry. Ringrazio il cielo che non ho chiuso la porta. La visione di lui mi calma, ma nello stesso tempo mi rende ancor più agitata di quanto non lo sia già.
L'incontro con Jordan, il tradimento di Liam, l'allontanamento definitivo di Hope.
«V-Verrò a prenderle subito dopo il lavoro.» Gli rispondo, prima di riattaccargli in faccia.
Lascio il telefono su uno scaffale e aspetto qualche secondo prima di ritornare al mondo.
Harry, Matilda e Jennifer, intanto, escono dall'ufficio.
Matilda sta ringraziando Harry per il servizio.
Le loro voci sembrano così lontane da me.
«Tutto bene?» È Peter che mi risveglia dai miei pensieri. Ha poggiato una mano sulla mia spalla ed ora mi guarda con confusione.
Il terrore prende possesso in me. Mi allontano da lui, dal suo tocco velenoso. «Lasciami stare.» Sputo, infastidita.
«America, sei Bianca in vi-»
Non tengo a freno il nervoso. «Tu non hai un cazzo da fare durante il giorno?» Esclamo, evidentemente scocciata. Non mi rendo conto del mio tono di voce fino a quando non ho gli occhi di tutti - inclusi quelli di Harry - su di me.
Mi schiarisco la voce, prima di guardare il pavimento. Sospiro e lo guardo in faccia. «Ti ho già detto che non voglio avere niente a che fare con te. Neanche una parola.» Metto in chiaro. «Se non ti dispiace-»
«Invece mi dispiace eccome!» Esclama, disperatamente.
Sento i passi di Harry venire verso di noi.
«Voglio scusarmi per tutto ciò che ho fatto! Mi dispiace, okay? Non volevo terrorizzarti!»
Non appena Harry è vicino a me, mi sento al sicuro. Si mette tra me e lui e spinge delicatamente il suo amico lontano da me.
«Peter, va' via.» Lo congeda Harry, con tono serio ed autoritario.
Peter indietreggia senza staccare gli occhi da me. Va via dopo qualche secondo di silenzio.
Questo è troppo.
«Cosa c'è?» Mormora Harry a tutti i suoi dipendenti che hanno smesso di fare tutto per guardare la scenata. «Tornate a fare quello che stavate facendo.» Poi, si rivolge a me. «Stai bene?» Mi sussurra, senza farsi capire da Jennifer o Matilda.
Mi sfiora la mano, ma evito il suo contatto, incrociando le braccia e cercando di non incontrare il suo sguardo. «Dovrei usare il bagno.» È tutto quello che ho da dire.
«America-»
Non riesco a frenare le lacrime. Lo guardo dritto negli occhi. «Posso andare?» Gli chiedo, più rabbiosa che mai.
Harry smette di respirare. Annuisce lentamente e mi fa passare.
A passo felpato lascio il complesso e mi chiudo nel bagno. Mi lascio scivolare sul pavimento e scoppio a piangere in men che non si dica.
Avrei così tanto bisogno di parlare con qualcuno, ma non posso.

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