Capitolo 02.

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Perché starci insieme è difficile. Ma starci senza è impossibile.

Resta immobile a guardare gli edifici imponenti che dominano New York City con una grande tranquillità da far paura. Questo silenzio mi mette in imbarazzo.
«Signore? La nuova dipendente è arrivata.» Tecnicamente sono arrivata da quasi due minuti, ma va bene lo stesso.., penso a mente mia, mentre cerco di scrutare il "signore".
Egli si scompiglia i capelli castani che ricadono con delicatezza sulle sue spalle e mi accorgo di quanto gli stiano bene. Nonostante ciò, sospira. L'abbiamo forse, non so... disturbato?
«Oh, lo so, mia cara.»
Vorrei chiedere ad entrambi cos'è tutta quella confidenza, ma mi mordo la lingua. Non voglio rovinare questo momento.
Il capo si volta verso di noi e sorride, con notevole gentilezza. Mi attraversa un pugno nello stomaco, ma non ci faccio caso dato che sono impegnata a piantare i miei occhi nei suoi, che sono verdi, verdi come lo smeraldo. Due occhi grandi, splendenti, luccicanti. Due meraviglie. Per non parlare della sua corporatura robusta, la sua notevole altezza. I miei occhi sono attratti anche dalla croce tatuata sulla sua mano sinistra, poco più giù del pollice. Mi chiedo se abbia altri tatuaggi sparsi per il suo corpo, ma devo fermare la mia mente prima di darmi una risposta: perché sto pensando a questo?
La segretaria rossa tinta indietreggia sorridendo e senza il congedo dell'uomo, esce, lasciandomi sola con lui.
Non avrebbe dovuto farlo. Che dovrei dirgli?
«Lei è...?» Mi chiede d'un tratto, come se avesse finalmente trovato il coraggio di parlarmi.
Sto per chiedergli se abbia almeno letto il mio curriculum, ma il mio cuore comincia a battere fortemente e le uniche parole che escono dalla mia bocca sono: «America Carper.»
Lui serra le sue mani sullo schienale della sedia girevole e comincia a guardarmi fisso negli occhi. È così giovane, così indipendente, così misterioso. Come fa a stare al capo di una delle più importanti agenzie di New York a quest'età? Voglio dire, non so quanti anni abbia, ma anche un idiota potrebbe comprendere che, su per giù, abbia qualche anno in più di me. «È americana?»
Alzo lievemente gli occhi verso il soffitto. Non avevo fatto caso al lampadario da cui pendolano decine e decine di diamanti luccicanti. «Sono italiana, signore.» Raddrizzo la mia schiena e cerco di essere sicura di me.
Annuisce e schiocca la lingua. «Mi piace l'Italia. Ci sono andato molte volte.» Commenta. «Credo che lei mi conosca, perciò evito di dilungarmi troppo. L'unica cosa che lei deve sapere riguardo questo lavoro, è che non deve far altro che credere in sé stessa e puntare sempre in alto. Tutto chiaro?»
Mi incanto a sentire la sua voce calda e profonda. La sua espressione si è addolcita ed ora i suoi occhi verdi sono colmi di serenità. Annuisco. Quando mi fa cenno di sedermi di fronte a lui, realizzo di stare ancora in piedi. Mentre mi siedo, sento il suo sguardo su di me. È imbarazzante, mi sento a disagio, fuori posto. Non potrebbe socializzare con me senza avere quest'aria superiore?
«Da quanti anni è qui in America?» Mi chiede, alzando un sopracciglio.
Poggio la mia schiena sullo schienale della sedia di cuoio e cerco di guardarlo negli occhi anche se la cosa mi riesce male. «Da circa cinque anni.» Rispondo.
«Bene. Inizierà al mio fianco, va bene per lei, vero?» Aspetta la mia risposta.
Annuisco in fretta.
«L'aiuterò a comprendere cosa voglio e cosa non voglio in quest'agenzia. Poi, potrà essere libera di gestire il suo ufficio, il suo compito ed ogni cosa che le appartiene.» Mi dice.
Rimango sbalordita. Avrò un ufficio?
Si alza con orgoglio e va verso la porta del suo ufficio, scoccandomi un'occhiata confusa. «Non vieni?»
Mi alzo. Non avevo capito che dovevo seguirlo.
Apre la porta e fa uscire prima me. Tecnica da gentiluomo, peccato che non gli esca molto bene con quest'espressione cagnesca che si ritrova ogni volta che torna ad essere serio.
Mi porta all'interno di corridoi già affrontati in precedenza con la segretaria rossa tinta e mi fa accedere in un'altra stanza apparentemente buia. Ci siamo allontanati molto dai dipendenti rinchiusi nei propri uffici ma credo che mi voglia far vedere tutt'altra cosa che un semplice ufficio. Harry posa una delle sue mani sulla porta bordeaux che è apparsa magicamente all'interno del mio campo visivo e mi guarda sorridendo. «Qui c'è l'archivio, nel quale abbandoniamo le cartelle degli avvenimenti già avvenuti.» Fa una pausa. «Qui vengono da ogni parte del mondo artisti di ogni genere, da Michael Jackson al Presidente degli Stati Uniti d'America.»
Un momento. Michael Jackson non è morto?
«Dall'altronde ci sono anche semplici clienti che ci chiamano in urgenza, ma sono rari.» Spiega, voltandosi verso la porta. Che snob.
La apre con cautela e, una volta entrata, Harry accende le decine di lampade che ci sono attorno a noi, sospese sul soffitto come per creare un'atmosfera artistica.
«Benvenuta nell'archivio della Celebration Of New York.» Mi sussurra con orgoglio.

Stravolgimi il domani (1) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora