Chapter 22 - Intoxicating.

580 33 5
                                    

Chapter 22.






 Febbraio 1995.







Al mondo non esiste cosa più angosciante e straziante della solitudine.
Quella sensazione continua di dolore, una lunga ed inutile ricerca della felicità, di un sorriso capace di mettere fine ad una desolazione mandata avanti per troppo tempo.
Io mi sento così, un uomo solo e abbandonato a se stesso.
Non dovrei esserlo, perché ho una meravigliosa moglie che mi aspetta a casa, lì dove ho custodito la parte più preziosa della mia vita, mettendola al riparo dal mio crudele mondo.
Il mio mondo è così ripugnante che riesce a distruggermi lentamente, mi allontana dalle persone che mi amano, fino a farmi del male.
Io glielo lascio fare, non reagisco, perché non ho altra scelta.
Ho bisogno di emarginare coloro che mi stanno a cuore, io devo proteggerli da quello che mi succede ogni giorno, devo proteggerli da me.
In questo modo non riesco neanche ad accorgermi di quanto male io possa provocare alle persone.
Lisa è una donna straordinaria, la amo più di me stesso, la amo quasi più della musica e non riesco ad immaginarmi un uomo senza lei al mio fianco.
Adesso, mentre io sono in una desolata e solitaria stanza di un hotel, lei è a casa e mi sta aspettando, non fa altro da quando me ne sono andato.
Riesco quasi a vederla.
La sua immagine si modifica nella mia mente, come se il mio cuore dettasse i suoi lineamenti e le parti del suo corpo, creando la mia donna.
Sta soffrendo moltissimo, è disperata, credo che questo dolore sia uno dei più aggressivi che lei abbia mai conosciuto ed è soltanto colpa mia.
L'ho allontanata da me, le ho fatto credere di non amarla più e mi sento un lurido vigliacco.
E' venuta fino a New York per aiutarmi, ha affrontato un viaggio nel cuore della notte, ha lasciato i suoi figli per me ed io ho persino finto che lei non esistesse.
Ho un lancinante bisogno di lei, mi fa male in mezzo al petto, mi impedisce di respirare ed io mi sento privo di una possibilità di sopravvivenza.
Lisa è tutto quello che ho, ma io non faccio altro che uccidere chiunque mi doni il proprio aiuto.
Mi manca e non mi stupirei se lo stesso non fosse per lei.
Nell'oscurità della mia anima, lei è la luce che innesca il suo calore e la sua luminosità dentro di me.
Non posso permettermi di perderla.
Lei è mia, lo è ancora, non importa quanto io sia lontano.
Lei è mia per sempre, io sono suo per sempre, noi siamo nostri fino alla fine della nostra vita.







- Michael.









L'amore era stato sempre crudele con me, come se io fossi stata il suo più acerrimo nemico e meritassi una vendetta.
Mi innamoravo come tutte le persone al mondo, tentavo con tutta me stessa di essere una brava donna per l'uomo che avrebbe deciso di amarmi, ma al termine della storia non era previsto un lieto fine.
Non per me.
Il telefono fisso disposto nella camera da letto di casa mia squillava da giorni, la frequenza non era particolarmente elevata, ma ben distribuita nel corso delle ore.
Non mi infastidiva, bensì mi tormentava e mi spingeva a stringere il mio orgoglio per non rispondere a quell'intento che appariva quasi come un supplizio.
Era Michael.
Aveva iniziato a telefonarmi da quando i suoi dipendenti gli avevano comunicato che avevo lasciato Neverland, ma io non avevo alcuna intenzione di ascoltare la sua voce, né di regalargli la possibilità di accogliere la mia.
Non poteva cercarmi a suo piacimento, non ero un oggetto ed odiavo essere trattata come tale; avevo tutte le carte in regola per essere arrabbiata con lui e non avrebbe potuto di certo biasimarmi.
Ero tornata a casa mia, perché rimanere a Neverland mi avrebbe fatto soltanto del male e credevo che una dimora così ampia fosse inutile per una persona soltanto.
Sembrava essere stata costruita appositamente per noi, ogni stanza conteneva qualcosa di mio e di suo, la nostra condivisione si era ampliata a tal punto da farmi percepire il suo profumo ovunque andassi.
Mi aveva promesso che avremmo abitato lì dopo il matrimonio, ma Michael era la persona più adatta per infrangere le promesse, mantenendole a galla soltanto per breve tempo.
Mi aveva lasciata senza una spiegazione, si era allontanato da me e, nonostante avessi provato più di una volta a farlo tornare a casa, non avevo ottenuto nessun risultato concreto.
Conoscevo i suoi problemi e le sue difficoltà, io ero al suo fianco per liberarlo dai dolori che lo opprimevano, ma egli limitava i miei tentativi ed io non potevo costringerlo in azioni che non lo convincevano.
Quella situazione non era affatto semplice per me ed io non disponevo delle conoscenze necessarie per affrontarla; ero innamorata di lui, ma intuivo che quel sentimento non fosse adatto a me.
Riuscivo ad ascoltare il suono del mio telefono che mi avvertiva di una telefonata in arrivo, quella chiamata che avevo aspettato per interminabili giorni e che mi separava dall'uomo che amavo.
Ero stanca.
Ero stanca di giocare a fare finta che lui non esistesse, proprio come egli aveva fatto con me, odiavo l'idea della mia vita senza Michael ed io ero l'unica persona che poteva portare in salvo quel matrimonio.
Dipendeva tutto da me, io ero la donna che avrebbe dovuto aprire il cuore a suo marito e perdonarlo.
Il rumore stridulo e fastidioso mi spinse ad impugnare la cornetta e a sollevarla, allungandola verso il mio orecchio per permettere al mio udito di ascoltare la sua voce.
Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi, abbandonandomi con la schiena contro il materasso del letto, deponendo le forze.
"Cosa vuoi?" - Dissi in tono gelido, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Non parlò subito, attese qualche istante prima di regalarmi il piacere di quel brivido che scorreva dentro di me, ogni volta che proferiva una parola.
Non avevo mai capito se fosse un senso di positività o qualcosa che andasse ben oltre, ma ero consapevole di aver intravisto più volte un piacere all'interno degli effetti che aveva su di me.
"Sapevo che mi avresti risposto, prima o poi."
Lo sapevi, perché sono la persona più debole che tu abbia mai conosciuto.
"L'ho fatto soltanto perché non ne posso più." - Confessai, portandomi una mano alla bocca subito dopo, come per pentirmi della frase che mi ero lasciata sfuggire.
"Non ce la fai più a stare lontana da me?"
"Cosa vuoi, Michael?" - Domandai, avvilita.
Avrei voluto chiudere quella chiamata e precipitarmi da lui, volevo raggiungerlo ovunque fosse, ma a volte la volontà altrui era più decisa ed imponente della mia.
Ero ferma ai suoi pensieri e alle sue condotte, senza rendermi conto di quanto sbagliassi a comportarmi in quel modo.
"Voglio chiederti scusa." - Disse piano, facendo fatica a parlare.
Ricercava le parole nella sua mente e le pronunciava con quel solito tono che lo faceva differire dagli altri, adempiendo il significato dei sentimenti che non riuscivano a venire allo scoperto.
"Non mi basta." - Risposi, accennando una fastidiosa risata.
Ci fu un silenzio, lungo e duraturo, pieno di rancore da entrambe le parti.
"Ascoltami. Stasera sarò a Los Angeles per i Video Music Awards e spero tanto che tu venga."
Alle volte era così superficiale che riusciva ad impressionarmi, credeva di poter sistemare ogni problema ed ogni errore da lui commesso con una semplice frase.
Quell'arma la utilizzava soltanto in contesti riguardanti me, perché sapeva come gestirmi e come trattenermi a sé con la forza.
"E' tutto quello che hai da dirmi?" - Domandai, mentre la mia voce cominciava a sciogliersi lentamente, a liberarsi.
Un altro silenzio.
"Sono a Neverland. Interpreta la mia frase." - Parlò con fare divertito, trovando quel velo di diversivo in una situazione complessa.
Il suo contegno era simile a quello di un uomo che godeva della convinzione necessaria per comprendere un perdono; era disinvolto, a tratti contornato da un blando timore.
Avevo trascorso troppo tempo lontana da lui, avevo sofferto la sua mancanza e mi ero consumata per via del continuo e struggente desiderio di lui.
Amare una persona e non poterla avere al proprio fianco era una delle cose più brutte della vita e, malgrado la gente tentasse di evitare situazioni del genere, finiva per cadere nelle trappole di esse.
Faceva parte della vita.
"Sto arrivando." - Dissi, riuscendo a malapena ad ascoltare la mia voce mascherata da un flebile mormorio.
Non era desiderio, era molto di più e l'insieme degli impulsi che mi avevano invasa avevano decisamente provocato in me i loro effetti collaterali.
Avevo improvvisamente dimenticato ogni cosa, i tre mesi privi del suo interesse nei miei confronti erano spariti, era come se io e Michael non ci fossimo mai separati.
Avevo giurato a me stessa che non mi sarei mai arresa ad un uomo, non avrei mai accettato la sua volontà e mi sarei fatta desiderare quel tanto che bastava a farlo impazzire.
Con mio marito, però, quella legge non valeva.
Lui sembrava già impazzito per me, aveva atteso a lungo risposte che non arrivavano e se lo avessi fatto aspettare ulteriormente, sarei impazzita io.
Si sarebbe nuovamente ripetuto il fenomeno che accadde quando lo conobbi e non mi andava di far ritornare un passato non eccessivamente lontano.
Ero incredibilmente, irragionevolmente ed incoscientemente innamorata di lui, fin dal primo momento.
"Ti sto aspettando." - Sussurrò quella frase come se fosse stata una carezza che, malgrado la distanza, sperava riuscissi ad accogliere.
Io ti stavo aspettando, Michael.
Da tempo, ormai.
Chiusi la chiamata e mi guardai intorno, invogliando il circuito della stanza ad inglobarsi nella cerchia delle mie emozioni, spingendolo a farne parte.
Volevo che tutto tornasse come alle origini, ogni cosa era rimasta invariata fin dall'ultimo momento in cui Michael aveva messo piede lì dentro.
Non avevo apportato alcun cambiamento, perché non amavo le situazioni che si alteravano, almeno non senza il mio permesso.
Mi vestii frettolosamente, bruciai il tempo trascorso e lo dimenticai, sfruttandolo in quei precisi frangenti nei quali mi impegnavo a prepararmi perlui.
Credevo che i minuti che una donna sprecasse per adornarsi e sistemarsi per il proprio uomo fossero una delle cose per le quali valeva la pena di vivere.
Vivere nel vero senso del termine, non soltanto quello associato alle fasi della vita, contenente anche l'ultimo stadio che avrebbe posto fine ad ogni cosa.
Per una donna innamorata non esisteva un ostacolo disposto a distruggerle e a demolirle l'amore, una donna innamorata si sentiva invincibile e mossa dall'irrefrenabile ambizione del sentimento.
Una dolce e violenta frenesia, come una tortura diversa dalle solite, quella che spingeva ed affascinava in modo artificioso.
Mi precipitai nella mia auto con il cuore che percuoteva ogni punto del mio corpo, sentivo quel muscolo scatenarsi dentro di me fino a divampare la sua forza ovunque io desiderassi.
Inserii le chiavi nell'apposita posizione e partii, come se avessi aspettato quel momento da lunghi mesi.
Era così, in effetti.
La strada per Neverland ormai la conoscevo a memoria, la trattenevo nella mia mente ed ogni via, ogni traversa ed ogni incrocio sembravano frutto della magia che quel posto riusciva a trasmettere.
Io lo consideravo un luogo esoterico ed incantato, lo scrigno che racchiudeva la genesi dell'amore condiviso, quello che due persone riuscivano a sperimentare giorno dopo giorno.
I suoi cancelli maestosi e sfarzosi si spalancarono al mio arrivo, proseguii il mio percorso aspettando che la figura di Michael mi sorprendesse e fermai l'auto nel parcheggio.
Presi un grosso respiro, chiusi entrambi gli occhi e non mi lasciai influenzare dal panorama circostante; approfittai del grazioso silenzio che la dimora di mio marito regalava per riflettere.
Lo avrei rivisto, mi sarei trovata ancora una volta tra le sue braccia e avrei avuto l'occasione di baciare le sue labbra.
Non doveva andare in quel modo, non avevo sperato che la situazione si spostasse verso quel punto, non avevo mai pensato che egli potesse lasciarmi.
Ricominciare dal punto che avevamo lasciato in sospeso non era nei miei piani, ma non sempre la vita serviva su un piatto d'oro le proprie previsioni.
Quando scesi dall'auto, ebbi un lasso brevissimo di tempo per guardarmi intorno, quell'istante necessario per farmi avvertire la sua presenza al mio fianco.
Credevo che si sarebbe approcciato in modo diverso al contesto, lo giudicai come un uomo che avrebbe fatto fatica a ritrovare la passione che introduceva nei suoi contatti, ma fallii nel mio tentativo.
Si comportò come la stessa persona di sempre, mossa soltanto da qualche emozione negativa in più del solito.
Ci guardammo per interminabili frazioni di secondo, ci studiavamo ed ideavamo una possibile mossa, aspettandoci a vicenda.
Sospirò, rivolgendo il suo sguardo al cielo chiaro e privo di nuvole, lasciando scivolare via dalla sua bocca un breve rumore.
"Scusa, scusa, scusami. Perdonami per tutto quello che ti ho fatto, ti prego." - Disse, piangendo in modo impercettibile, spingendo la sua fronte contro la mia spalla.
Le sue braccia mi strinsero in una forte presa, le avvitò intorno al mio bacino e si lasciò andare a delle modeste carezze calde e rilassanti.
Avvertivo il suo corpo maschile opporsi al mio, mentre i suoi contatti si approfondivano e mi regalavano il piacere di averlo nuovamente per me.
Lo zittii, premendo le mie dita contro le sue labbra tiepide e morbide, in modo che riconoscesse la mia esigenza di accoglierle ancora una volta sulle mie.
"Ti amo, Lisa." - Riprese, baciandomi sulla bocca con la sua solita intonazione appositamente inventata per suscitarmi emozioni.
Era tutto quello che sapeva fare, da sempre.
Mi aggrappai alla sua figura e durante il bacio lo invitai a costruire su di me un'aderenza maggiore, qualcosa che portasse via e facesse scomparire il nostro buio distacco.
"Non andartene, non farlo più." - Sussurrai sulle sue labbra, avvicinando le mie mani al colletto della sua elegante camicia.
"Non lo farò, non senza di te."
Una calma silenziosa ci adornò con la sua ombra, trasportandoci verso la nostra dimensione, quella composta da ogni cosa che avesse a che fare con noi.
Era il nostro posto nel mondo.
"Portami a letto." - Mormorai in tono lascivo intorno al suo orecchio, soffermandomi a lasciare un dolce morso sul mio labbro.
Un circolo di frasi, di definizioni pronte a nascere e a scomparire, eppure quell'affermazione mi sembrò l'unica cosa da dire.
Possedeva un significato nascosto, una sfumatura celata nel timbro della mia voce ed ero sicura che Michael l'avesse afferrata prima che me ne rendessi conto.
Era un'espressione che superficialmente conteneva una sola accezione, ma sia io e sia lui eravamo troppo attenti e riflessivi per poterci abbandonare alle correnti consuetudini.
Ambivo alla condivisione del silenzio con lui, trascorrendo del tempo nella nostra camera per giocare con i nostri contatti e con i nostri sospiri ansanti.
Acconsentì prontamente alla mia richiesta, senza pormi alcuna domanda; si limitò a stringermi la mano e ad avviarsi verso l'abitazione, accompagnato da me al suo fianco.
Venni ricevuta dai suoi dipendenti con degli enormi sorrisi, sembravano entusiasti nel vederci insieme ed in me sembrava finalmente scomparsa la tensione che mi aggrediva quando mi trovato in pubblico con Michael.
Non tenni conto degli scorci di tempo che consumammo, la mia mente costruì le immagini di noi stesi in quel letto, lo stesso nel quale avevamo trascorso innumerevoli notti e le conservò, tenendole per sé.
Ci trovammo l'uno stretto tra le braccia dell'altra e con i corpi avvinghiati, aggressivi in alcuni atteggiamenti ed avvolti dalle immacolate lenzuola, le quali tentavano di proteggerci.
Era un ciclo di protezione in cui io e Michael ci difendevamo da coloro i quali non credevano in noi, ma volevano soltanto arrecarci un disgusto ed un dolore continuo.
"Cosa mi hai fatto, Michael?" - Domandai, mentre la mia voce si affaticava e si lasciava sfuggire dei sospiri, di tanto in tanto.
Mi chinai tra le sue gambe per baciarne l'interno, ascoltando i suoi respiri acquistare un ritmo maggiore, come a volermi invogliare a proseguire.
"Credevo che tutto questo fosse finito." - Ripresi, assaggiando la gradevole percezione delle sue eleganti mani che si tendevano contro la mia nuca.
"Ti ho messa da parte, perché non volevo farti del male. Ho cercato di proteggerti dal mio mondo, da quello che c'è lì fuori... da me."
"Sei l'unica persona alla quale permetterei di ferirmi." - Parlai a fatica, regalandogli una breve carezza sulla guancia.
Mi misi a cavalcioni su di lui, allargai le gambe sul suo bacino privo di stoffe a coprirlo e rimasi con il busto alzato.
Ero scoperta,  senza una protezione, ero la persona che avevo sempre desiderato essere e non sentivo il bisogno di nascondermi, non da lui.
I suoi occhi mi scrutarono con attenzione, quasi intimiditi e sorpresi dai miei gesti.
"Un giorno io ti perderò, lo so per certo ed io starò così male da non dormirci la notte. Voglio che tu sappia una cosa, però. Nessuna donna ti amerà mai quanto me, nessuna." - Dissi, chiudendo gli occhi e coprendo il mio viso tra i suoi capelli.
"Lisa, non pensarci..."
"Nessuna, Michael." - Lo interruppi, bloccando la conversazione nel punto io cui io desideravo.
Sorrise e fu come se avesse compreso il mio messaggio, senza che io pronunciassi altre parole o formulassi ulteriori ed inutili espressioni.
A lui non servivano, perché mi conosceva e sapeva cosa io avessi intenzione di dirgli.
Stare con lui era un'assidua esplorazione del mondo e della vita che ogni giorno richiedeva la mia presenza, egli si dimostrava come la persona alla quale io facevo affidamento.
"Quando potrò ascoltare una tua canzone? Mi piacerebbe sapere quello che pensi, quello che provi e percepirlo sulla mia pelle." - Disse, allargando le braccia dietro la schiena, fornendo un appoggio al suo corpo.
Gli mostrai un sorriso tacito e delicato, uno di quelli che le donne tenevano in serbo al proprio uomo; lo stereotipo del sorriso innamorato.
Sorrisi, perché aveva colpito un lato di me che gran parte delle persone non conoscevano e lui ci teneva a far sì che le mie parole approdassero in un primo momento verso di sé.
In quel periodo contornato dalla sua stretta mancanza avevo ospitato nel mio cuore una sensibilità particolare ed intima, mantenuta in vita dalla carenza di uno stato d'animo condiviso.
Avevo imparato a rilevare i fenomeni e gli oggetti con un'impronta idilliaca e passionale e la mia scrittura ne aveva risentito lo stile, divenuto lezioso, a tratti bucolico.
"Sto lavorando ad un pezzo al quale mi sento molto affezionata. Lo sento mio, è come un gioiello prezioso che tento di proteggere dal mondo intero." - Dissi, mentre sentivo che le mie parole giungevano dritte nella sua testa e gli alteravano l'espressione del viso.
Volò nella mia mente un veloce ricordo e mi sollevai dal suo corpo, scendendo agilmente dal letto, seguita dal suo sguardo confuso.
Raggiunsi il tavolo in legno sul quale era poggiata la mia borsa e la aprii, frugando con le mani tra le asole, alla ricerca di qualcosa.
Trovai un disco, il suo disco, quello che Michael si era preoccupato di creare e comporre con estrema cura e dedizione, riuscendo a portare a termine il suo lavoro.
Era uscito da una settimana ed io il giorno dell'arrivo nei negozi mi ero precipitata ad acquistarlo.
Volevo averlo tra le mie mani e provare la sensazione dell'ascolto delle sue emozioni mediante la musica e le note, facendomi trascinare nei punti da lui stabiliti.
"Speravo con tutto il mio cuore che tu lo ascoltassi." - Sussurrò, tirandosi a sedere sul bordo del letto per accogliermi fra le sue gambe.
"L'ho fatto e ho pianto come una bambina." - Confessai, decorando il silenzio della stanza con una mia timida risata.
Prese il disco tra le sue mani e mi afferrò il polso, avvicinando le mie dita sul retro della rigida copertina, come a volermi accompagnare in una ridefinizione del contenuto.
"Hai pianto qui, poi qui e qui. E' così?" - Disse, quasi divertito, indicando dei titoli disposti nell'ordine di un elenco.
Lo guardai con gli occhi spalancati e fu in quel momento che mi resi conto che quell'uomo avesse la magia dentro di sé ed io non potevo far altro che lasciarmi iniettare il suo carisma.
"E' la tua storia, Michael, non credevo di esserci anche io."
"Quelle parole che ho scritto sono soltanto una minima ed insignificante parte dell'amore che provo per te. Senza di te questo disco non sarebbe mai nato, sei stata tu ad ispirarmi ed io te ne sarò sempre grato." - Mormorò, accarezzandomi una guancia con le nocche della mano.
Lo baciai, lasciandomi trasportare dalla forza del momento e dalla dolcezza che il suo volto mi trasmetteva.
"Ci sarà mai un'altra donna nella tua vita?" - Chiesi, voltandomi lentamente verso di lui, mostrando piano il mio corpo nudo.
"Sei convinta che un giorno mi lascerai andare. E' una cosa che ti logora dentro e ti impedisce di pensare come dovresti."
"Anche tu ne sei convinto." - Continuai, tentando di zittirlo.
Annuì con il capo ed accennò una smorfia infastidita, desideroso di un nuovo argomento sul quale deporre i nostri pensieri.
"Ci faremo del male e ci lasceremo andare." - Dissi, abbassando il capo per non incontrare i suoi occhi.
"Ci lasceremo andare e ci faremo del male. Io la vedo così."
"Ci sarà un'altra donna che non mi guarderà come mi guardi tu, non mi toccherà come mi tocchi tu, né mi amerà nello stesso modo in cui fai tu." - Disse ancora, mentre si preparava ad arrestare il suo sguardo dentro al mio.
Sembrava volesse anticiparmi quello che sarebbe successo, prevedendo un futuro non lontano, spalancando le porte di una rassegnazione disarmata e castigata.
Il nostro destino prevedeva quello, perché le nostre vite non comportavano un'eternità tra di noi, ma soltanto uno spiraglio di tempo vissuto e consumato.
Avevamo corroso le nostre persone, i nostri corpi si erano affaticati nella ricerca continua di un posto nel mondo per entrambi, dove la condivisione sarebbe stata affascinante da affrontare.
Il suo mondo, però, mi spaventava ed egli riconosceva intimamente le sue ispirazioni negative che approdavano a galla molto spesso, in modi esosi ed esorbitanti.
Amare una persona stava anche in quelle decisioni.
Quando si amava bisognava lasciare andare, seppur contro la propria volontà.
Accantonai quel pensiero, altrimenti non sarei riuscita ad amare Michael come desideravo fare, disponendo la mia anima ad ogni suo contatto.
Mi inginocchiai sul suo bacino, in modo che il mio corpo sostasse al di sopra del suo e lo spingesse debolmente, concedendogli un'intima e dolce pressione.
I suoi occhi diventarono lucidi e tersi, prima freddi e nitidi, oggetto di un argomento troppo indelebile e sensibile per lui stesso.
Le mie mani raggiunsero la parte alta delle sue spalle, appena sopra le clavicole ben visibili e le sistemai per avere una presa sicura, legandogli i miei polsi intorno al collo.
Avvertii la stretta delle sue dita intorno ai miei fianchi, dove la parte alta delle gambe si formava in modo delineato ed elegante, risaltando l'incanto dell'esteriorità femminile che aveva sempre ammirato.
Mi spinse dentro un'immutabile suggestione che non riuscii ad evitare, la quale mi provocò la caduta di una lacrima lungo il mio viso.
Michael se ne accorse prima che essa giungesse sul mio mento, spostò le sue labbra sulla mia pelle e la raccolse sulla sua bocca.
"Non piangere per me, non me lo merito." - Sussurrò, emettendo un sospiro caldo, trattenuto troppo a lungo e lasciato sfuggire dal piacere crescente.
"Piango per noi."
Il silenzio della stanza venne interrotto dai nostri rumori, dalle nostre parole soffocate e dallo sfregamento che i nostri corpi sprigionavano.
Mormorai un "ti amo" con la voce alterata dal desiderio quasi soddisfatto e mi sporsi con il busto contro il suo petto, inebriando la mia pelle del suo affabile calore.
I miei denti gli morsero la base del collo, fu un gesto istintivo, nato dal bisogno di un appiglio al piacere culminante e dalla necessità di conservare un mio segno sulla sua persona.
A quel contatto pronunciò un gemito di dolore e chiuse la sua mano destra contro la mia gola, aumentando la presa quel poco che bastasse per farmi sollevare la testa verso l'alto.
Percepiva i miei battiti attraverso i suoi polpastrelli e si soffermò a baciarmi il collo con lascivia e prepotenza.
Chiuse la sua bocca su una parte laterale di pelle ed incalzò il contatto, brandendo il marchio che stava disegnando, stringendo i denti con forza lungo il perimetro della mia mascella.
Per un primo istante la mia parte razionale elaborò un pensiero che mi avvicinò alla fine.
Mi avrebbe uccisa, oppure mi avrebbe salvata.
Pensai quelle parole ed ebbi modo di riflettere sui due verbi presenti, credendo che nessuno dei due avrebbe mai avuto davvero importanza per me.
Uccidermi, salvarmi, ormai non faceva più differenza.









To be continued...

Heroine.Where stories live. Discover now