Chapter 21 - Go away.

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Chapter 21.



Gennaio 1995.



Due mesi.
Sessanta giorni, in linea di massima, in cui Michael era sparito totalmente dalla mia vita contro ogni mia volontà.
Sapevo che fosse lontano da Los Angeles per lavoro, me lo aveva comunicato il giorno della sua partenza ed era stato l'ultimo momento in cui lo avevo visto ed avevo avuto l'occasione di parlargli.
Si era dissolto nel nulla, era scappato via come un ladro, senza preoccuparsi di informarmi riguardo le sue lunghe assenze e privandomi persino di una semplice telefonata.
Era un comportamento assurdo e anormale, era come se noi non ci fossimo mai conosciuti ed io, a causa del tempo trascorso, non sapevo cosa pensare.
Non mi aveva degnata di una chiamata, né di una lettera, mi aveva trattata come una sconosciuta e l'idea di essere trasparente ai suoi occhi non mi entusiasmava.
I miei tentativi di rintracciarlo furono vani, non rispondeva al cellulare, incaricava le sue guardie di farlo al suo posto e provare ad ascoltare la sua voce era diventato un evento impossibile.
Avevo sue notizie soltanto grazie alle televisioni e ai giornali che lo ritraevano spesso nei loro articoli, era l'unico mezzo che possedevo per informarmi sul suo stato di salute, anche se avrei dovuto conoscerlo io stessa.
Ero così preoccupata per lui che non passava giorno in cui non gli indirizzassi un pensiero, sperando che mi riconducesse a lui, ovunque si trovasse.
Ero confusa, mi sentivo presa in giro dall'uomo che avevo sposato, perché credevo mi amasse e quella situazione sembrava trasportare a galla ogni pensiero negativo che avevo accumulato con i mesi.
Nessuno aveva idea di come stesse, neanche Janet che, essendo sua sorella, avrebbe dovuto conoscere i suoi segreti e le anomalie che si presentavano nel suo carattere.
Avevo provato a contattarla più di una volta, ma le nostre telefonate si concludevano sempre con una risposta negativa, perché non aveva notizie di Michael e mi rassicurava che, se si fosse fatto vivo, sarei stata la prima a saperlo.
Mi sentivo presa in giro anche da lei, credevo mi mentisse e nelle mie condizioni avrei fatto bene a non fidarmi di nessuno.
Negli ultimi mesi le cose tra me e Michael erano migliorate, non avevamo avuto problemi, bensì avevamo trascorso molto tempo insieme e avevamo avuto modo di fare progetti per il futuro.
Ero a conoscenza del fatto che avrebbe lasciato la città per completare il lavoro del suo nuovo album, ero entusiasta dall'idea che sarebbe tornato sulla scena musicale, ma non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da parte sua.
Due mesi erano parecchi, troppi e la sua distanza iniziava a diventare insistente ed asfissiante, logorandomi giorno dopo giorno.
Avevo bisogno di uscire, di allontanarmi da Neverland per un po' di tempo, perchè rimanere lì mi avrebbe provocato soltanto del male.
C'era ancora il suo profumo nella nostra camera, le lenzuola sembravano esserne impregnate, come se lui non se ne fosse mai andato e per quanto potesse sembrare stupido, soffrivo della sua assenza.
Mi sentivo rifiutata da lui e messa da parte, la sua scarsa considerazione nei miei confronti mi inflisse un'enorme quantità di sofferenza equivalente ad un tradimento.
Il tradimento non veniva effettuato soltanto mediante un rapporto sessuale.
Si poteva tradire una persona in molteplici modalità, anche con il solo pensiero o con un comportamento errato, non dipendeva necessariamente dall'atto fisico e fine a se stesso.
Obiettivamente Michael aveva sbagliato.
Si era concesso una condotta infantile ed interrogativa, aveva permesso alla parte peggiore di lui di eccedere nel contesto in cui si muoveva, sfociando in ciò che sembrava essere esagerato.
Quella sera avevo accettato di andare a cena con Danny, distrarmi mi avrebbe aiutata a rilassarmi e a mettere da parte la preoccupazione che nutrivo verso Michael.
"Grazie per essere venuta, Lisa." - Disse egli con la voce bassa, cercando intorno a sé un appiglio al disagio che provava, riuscendo a sviare il suo visibile interesse verso di me.
"Grazie a te. Avevo urgentemente bisogno di un'uscita."
Sembrava in leggero imbarazzo, si agitava sulla poltrona e mangiava con disattenzione, era sovrappensiero, come se non si sentisse a suo agio in mia presenza.
Riuscivo a comprenderlo, anche io non ero perfettamente al centro del contesto, ma provavo ad abituarmi ad una visione maschile diversa dal solito.
Era trascorso molto tempo dall'ultima volta in cui avevamo avuto entrambi il piacere di godere delle nostre figure e, malgrado possedessimo una leggera collera, sembravamo tranquilli e distesi.
Era il mio ex marito, il padre dei miei figli e credevo che la sua presenza nella mia vita fosse importante e non soltanto per me.
Dovevamo soltanto concederci una tregua e concentrarci sul presente, tentando di dimenticare gli avvenimenti passati e le avversità che erano capitate sul nostro percorso.
Ci guardavamo a vicenda, i suoi occhi scrutavano particolarmente il mio corpo, come aveva spesso fatto nel corso degli anni, mentre il mio sguardo vacuo fingeva di sembrare interessato.
Non che non lo fossi, ma in quel frangente il mio cuore non era per niente al sicuro, conoscendo la mancanza della persona in grado di fare aumentare la velocità dei suoi battiti.
Non riuscivo ad interrompere il mio pensiero nei riguardi di Michael, avevo bisogno di parlargli, ma ogni circostanza me lo impediva e la sua volontà non percepiva i miei stessi desideri.
La voce di Danny accantonò il mio tormento, rannicchiandolo in un angolo della mia anima, convincendomi della sua frivola e fatua importanza.
"Come stai?" - Chiese, esitante, dopo un lungo silenzio passato a rimuginare su questioni a me sconosciute.
Tentennai qualche secondo, prima di ricercare una risposta all'interno di me, dove speravo di conoscere il mio stato di salute attuale.
Mio marito è in un punto indefinito del mondo, molto lontano da me ed io non so neanche dove sia di preciso.
Non ho notizie di lui da due mesi, non mi telefona, mi tratta come se non esistessi nella sua vita e Danny, tu non hai idea di come io mi senta in questo momento.
"Ho avuto giorni migliori." - Rivelai con una breve frase.
Annuì con fare stranito, come se io non potessi lamentarmi, perché avevo sposato Michael Jackson e il suo nome e la sua importanza erano così imponenti da annullare le problematiche.
"C'entra Michael? Ti fa soffrire?" - Domandò, avvolgendo la sua forchetta intorno ad un tovagliolo di stoffa, giocando.
"Mai più di quanto tu mi abbia fatto soffrire in tutti questi anni."
"Puoi dimenticare il passato per una serata?"
"Tu puoi non nominare mio marito?" - Chiesi, accennando un sorriso sarcastico che sapevo avrebbe posto fine all'incipit di un litigio.
Eravamo lì per consumare del tempo insieme in totale serenità, non per attaccarci ad un'aspra e dura conversazione.
"Come mai sei a cena con me? Non dovresti essere con lui?" - Mi interrogò, passandosi una mano sulla fronte.
"Non è a Los Angeles, sta lavorando al nuovo disco."
Abbozzò un sorriso e riprese a mangiare, come se avesse captato tra le righe impercettibili della mia voce che quello non era un argomento che mi rallegrava.
Era un uomo molto perspicace, comprendeva all'istante i miei stati d'animo e quelli delle altre persone che si voltavano intorno al suo mondo, ne conosceva le caratteristiche e si soffermava a giudicarle.
Non era nessuno per poterlo fare, ma egli si sentiva capace di anteporre il suo pensiero a quello degli altri, sentendosi superiore.
Con me le sue tattiche non funzionavano, io riuscivo a marcare il punto fermo della mia frase, senza permettergli di oltrepassarlo.
Quello era un privilegio che riservavo a Michael, perché lui era il centro delle mie riflessioni e dei miei sentimenti e, grazie al mio amore, gli permettevo di visitare ogni prospettiva di me.
Lui era il mio punto fermo.
La serata trascorse in modo sereno, non ci fu un ingente carico di battute, la nostra loquacità era svanita nelle mie parole e aveva assorbito anche quella di Danny.
Cenavamo con un'irritante tranquillità, i rumori di sottofondo abbellivano in ogni modo la nostra dimensione fatta di un banale contesto impreciso, non al passo con la situazione.
Entrambi mantenevamo la mente conquistata da quel blando desiderio di una persona, essendo consapevoli che con la sua presenza i sorrisi non sarebbero mancati.
Io avevo Michael, Danny, invece, esaminava con attenzione i miei comportamenti, rendendo esplicita la sua seduzione verso di me.
Sembrava un ragazzino, non possedeva niente di prezioso da perdere e dispensava il suo tempo a provare a spianarsi la strada verso la sua ex moglie.
Mossa dalla mia attenta riflessione, orientai uno sguardo all'orologio che stringeva il mio polso e pensai che fosse arrivato il momento di porre la parola "fine" a quella serata durata fin troppo.
Avvicinai la mia mano ad un calice di cristallo disposto al centro del tavolo, le mie intenzioni, però, vennero bloccate da Danny che mi anticipò per accarezzarmi la pelle.
Mi colse di sorpresa, mi irrigidii e i miei muscoli si tesero, alterando la temperatura del mio corpo.
"I bambini possono stare con me questa settimana? Tu potresti raggiungere Michael, penso che senta il bisogno della sua donna in un periodo molto importante per lui." - Disse, mostrandomi un sorriso spontaneo e caloroso.
Le sue parole mi colpirono, desideravo che fossero reali, ma la parte razionale di me sapeva che fosse soltanto un mio sogno.
A Michael non interessava avermi accanto, altrimenti mi avrebbe telefonata, mi avrebbe resa partecipe del suo lavoro e mi avrebbe invogliata a viaggiare con lui.
Assentii con il capo e mi sfiorai le labbra con le dita, pulendole e privandole delle briciole che le contornavano.
"Mi è permesso invidiare il marito della mia ex moglie?" - Chiese ad un tratto, attivando in sé quel manto di ironia che veniva in risalto nelle sue più frequenti condotte.
"Il tempo per l'invidia è finito, Danny." - Tagliai corto, alzandomi dal mio posto e raccogliendo i miei effetti personali.
Mi rivolse una lunga occhiata interrogativa, era soltanto quello che poteva sembrare agli occhi delle persone che non avevano preso parte alla nostra vita, ma lui aveva compreso le mie parole fin troppo bene.
Riuscii a zittirlo, mi seguì con lo sguardo, mentre camminavo da un lato all'altro della sala, facendomi spazio tra la gente che credeva di conoscermi o di avermi già vista "da qualche parte".
Impossibile.
Non mi conoscevo neanche io.

Heroine.Where stories live. Discover now