Chapter 20 - La preferita del re.

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Chapter 20.



La mia cabina armadio, ultimamente, era diventata la mia seconda casa e mi trovavo molto a mio agio lì dentro, se solo non fosse stata per la terribile indecisione che mi invadeva ogni volta in cui mettevo piede in quello spazio.
Gli abiti di numerose tipologie scorrevano dinanzi ai miei occhi, i loro stili mi attraevano e possedevano un fascino verso di me, capace di farsi desiderare, ambire e cercare.
I capi erano disposti secondo un ordine impreciso, ma ordinato, non organizzato dalle mie idee, bensì da quelle dei dipendenti che lavoravano a Neverland e si occupavano delle camere da letto e della loro sistemazione.
Da quando ero spostata con Michael facevo fatica a trovare il mio vestiario ideale, prestavo un'attenta cura ad ogni vestito che indossavo e tenevo ad essere sempre impeccabile.
Egli era un uomo di classe, vestiva in un certo modo ed io adoravo poter essere al suo fianco, andando fiera del marito che appariva spesso in mia compagnia sui giornali del mondo intero.
Quella sera, però, era un'occasione speciale ed io ero molto emozionata.
Era il suo compleanno ed era stata organizzata una festa per celebrare i suoi trentasei anni, si sarebbe svolta a Neverland ed erano giorni che i cuochi, i camerieri e lo staff preparavano per la sua buona riuscita.
In momenti come quelli venivano messe in risalto le doti perfezionistiche e premurose di mio marito, il quale inseriva la sua precisione in ogni cosa che compieva.
Eravamo tornati dalla nostra luna di miele da alcuni giorni e non avevamo trascorso molto tempo insieme, nonostante vivessimo sotto lo stesso tetto.
Michael lavorava ogni singolo giorno, usciva di casa molto presto e rientrava a notte fonda, quando io ero troppo stanca e assonnata per poter avere la forza di aspettarlo sveglia.
Lavoravamo entrambi, io inoltre dovevo occuparmi dei miei figli e, allo stesso tempo, impiegare il mio tempo nella scrittura e la stesura di alcuni testi che avrebbero preso parte al mio primo album.
Non ero sicura di terminarlo a breve, volevo che contenesse al suo interno ogni singola parte di me e avevo bisogno di tempo, affinché raggiungessi il risultato ambito.
D'altra parte, il mio rapporto con Michael era leggermente migliorato, il nostro dialogo era aumentato e, malgrado ci vedessimo poco, continuavamo ad amarci e a condurre il nostro stile di vita di coppia.
Se avessi saputo che i nostri giorni a Budapest e Parigi sarebbero stati i primi e gli ultimi in cui avremmo potuto passare del tempo insieme, li avrei sfruttati al meglio ed avrei evitato inutili litigi.
Speravo soltanto che il suo compleanno mi agevolasse e mi aiutasse a recuperare parte del tempo che entrambi ci eravamo lasciati sfuggire; desideravo trascorrere con lui il suo giorno speciale, per amarlo come sapevo fare e per farlo sentire l'unico per me.
Riuscii ad essere pronta prima che arrivassero gli invitati, indossai un semplice abito corto e bianco, semplice e raffinato, adatto all'occasione.
Michael arrivò a casa a tarda sera e mi raggiunse in camera da letto, dove rimasi a specchiarmi per lunghi attimi, aspettando ansiosamente il suo ritorno.
La porta si aprì emettendo un breve rumore che mi fece percepire il suo arrivo, sorrisi al pensiero di poter essere nuovamente tra le sue braccia e mi avvicinai a lui.
I capelli corti gli donavano un'aria virile e mascolina più del suo stato normale e dire che era la meraviglia ai miei occhi era un eufemismo.
Era molto elegante, indossava uno smoking che lo rendeva impeccabile e di una classe disarmante, provocando in me uno degli istinti fisici più comuni in una donna.
"Buon compleanno, amore mio." - Dissi, avvitai le mie braccia intorno ai suoi fianchi e lo attirai con delicatezza al mio corpo, alzandomi sulle punte dei piedi per baciarlo.
La sua lingua scivolava dolce nella mia bocca, sfiorava la mia e la coinvolgeva in un turbine di emozioni che mi acceleravano i battiti cardiaci, come succedeva ogni volta che ero con lui.
Quel bacio fu il suo modo di ringraziarmi, proseguì il nostro contatto, facendomi arretrare gentilmente verso il letto per condurmi verso la meta da lui ambita.
"Sei stupenda. Adesso ti chiudo in camera e non ti faccio uscire più." - Disse, suadente, mentre il suo corpo si poggiava sul mio, desideroso di possederlo.
"Michael, è tardissimo, lo sai?" - Chiesi, sollevandomi con il busto, riuscendo a spostarlo da sopra di me.
Aggiustò la camicia che nel frattempo si era lievemente sgualcita all'altezza del colletto, la sua mano percorse i lati della sua capigliatura e si depositò sulla cintura in pelle che stringeva i pantaloni.
Un breve gesto rialzò il loro bordo, fermandolo intorno ai fianchi.
"Devo lasciarti andare."
Parlò in un bisbiglio lento e malinconico, allungò la sua morbida mano nella mia direzione e mi aiutò ad alzarmi.
Prese con delicatezza i lembi del mio abito e li fece scivolare lungo le mie gambe, prestando attenzione a riporre la sua premura in quel banale gesto.
I palmi delle sue mani si insinuarono tra i miei capelli e li protesero in modo che il mio collo fosse libero da ogni intralcio e mi rubò un ultimo bacio sulle labbra, lasciando che esse aderissero perfettamente alle sue.
"Stanotte non mi scappi." - Sussurrò, mi guardò negli occhi e sollevò un angolo della bocca con fare divertito.
Ero molto nervosa, avrei incontrato i suoi amici, la sua famiglia, i suoi collaboratori ed ero agitata, e speravo di poter fare una buona impressione con tutti loro, pur sapendo che non sarebbe stato facile.
Piacere ad ogni singola persona era molto difficile, dopotutto si trattava di un comportamento soggettivo, ma, nonostante le mie conoscenze in quel campo, desideravo che tutti fossero entusiasti di me come moglie di Michael.
Il mio intento, quella sera, era zittire definitivamente le voci che insinuavano e sparlavano alle mie spalle, definendomi come una donna che lo aveva sposato soltanto per denaro e pubblicità; qualcosa di assolutamente ridicolo.
Non avrei mai avuto il coraggio di sposare una persona per fare carriera o per ricevere il suo patrimonio, non era nelle mie intenzioni, non lo era mai stato, né in futuro avrei ambito ad una simile azione.
Avevo sposato Michael, perché lo amavo, perché non riuscivo ad immaginare una mia giornata senza lui al mio fianco, perché, malgrado tentassi, non potevo ipotizzare un mio futuro con un altro uomo al suo posto.
Avevo divorziato da Danny per lui e, per quanto le cose tra di noi andassero male, era stata una decisione molto complessa per me.
Avevo messo in secondo piano i miei figli, non perché non li amassi abbastanza, ma perché ero al corrente che per amare Michael avrei dovuto sottrarre loro parte del mio tempo.
La gente parlava, lo faceva continuamente, non rifletteva sulle parole che la bocca pronunciava, non si accorgeva dell'effetto che esse potevano avere sul diretto interessato.
Le persone credevano di conoscere me e Michael grazie a degli squallidi articoli che leggevano su degli stupidi giornali, ma si sbagliavano di grosso.
Io conoscevo realmente Michael, sapevo quali fossero i suoi punti di forza e di debolezza, sapevo quali fossero i fattori capaci di stimolarlo, comprendevo i suoi sentimenti e li rendevo parte di me.
Lui, d'altra parte, conosceva me meglio di chiunque altro, anche meglio di mia madre; ella aveva assistito al periodo peggiore della mia vita, ovvero la mia adolescenza e mi aveva supportata come meglio poteva, ma con Michael era diverso.
Non mi fidavo neanche di me stessa, non avrei mai potuto riporre la mia persona e l'insieme dei miei tormenti in qualcuno, eppure era successo.
Michael, a poco a poco, era riuscito a diventare il mio punto di riferimento, il mio appiglio sicuro, il mio faro nella notte, colui il quale avrebbe asciugato le mie lacrime e le avrebbe trasformate, grazie alla sua magia, in sorrisi.
Avvolsi la mia mano nella sua, regalai alla mia pelle la dolcezza del suo contatto e il calore del suo corpo, avvertendo un acuto brivido lungo la spina dorsale.
Un tremito di piacere che dovetti ignorare, perché non era quello il momento giusto per dare sfogo alla passione.
Ci scambiammo un'occhiata di intesa ed uscimmo dalla nostra camera da letto, percorremmo l'intero corridoio del secondo piano e la rampa di scale interna, stringendo l'uno al corpo dell'altra.
"Non essere nervosa, andrà tutto bene." - Disse, nascondendo parte del suo viso dietro di me, in modo che ascoltassi la sua voce arrivarmi dritta nell'orecchio.
Abbozzai un sorriso e mi lasciai condurre verso l'esterno della tenuta, dove si sarebbe svolta la festa e dove avrei permesso ad oltre duecento persone di fare la mia conoscenza.
Quando i presenti avvertirono la nostra presenza, scattò un applauso generale partito presumibilmente da Janet e dalla moltitudine di bambini che erano accanto a lei, pronti a celebrare il glorioso momento.
Michael entrò in una profonda fase di imbarazzo, arrossì sulle guance e abbassò il capo, coprendosi il viso con entrambe le mani.
Mi guardai intorno, i volti conosciuti erano davvero pochi, escludendo la famiglia Jackson e qualche collaboratore di cui ebbi il privilegio della sua conoscenza.
A turno, riuscimmo a salutare tutti, senza lasciarci neanche un attimo, perché entrambi sentivamo il bisogno di stare vicini e di godere delle belle frasi che ci venivano attribuite.
Lanciai uno sguardo in direzione di Janet che non smetteva di sorridere e di dare dolci pacche sulla spalla del fratello, visibilmente in imbarazzo dalla piega che aveva assunto la situazione.
All'improvviso si avvicinò a noi, ma in particolare a Michael, una donna.
La stessa che era comparsa in copertina con lui poche settimane prima, colei che aveva innescato tra me e lui un pesante litigio, portandoci ad un silenzio mantenuto per numerosi giorni.
"Buon compleanno, Michael." - Disse, sfoggiando un ampio sorriso e stringendolo in un amichevole abbraccio.
Notai la sorpresa in lui, si irrigidì di parecchio e rimase fermo nella sua posizione, accompagnando quel gesto nel modo più semplice che conosceva.
Si staccò dal suo corpo, una guardata impassibile verso di me e protese la sua mano all'altezza del mio bacino.
"Deborah Rowe, piacere di fare la sua conoscenza."
"Lisa Presley, il piacere è tutto mio." - Risposi, freddamente, sfiorandole la mano.
Michael sembrava voler intervenire, aveva uno sguardo preoccupato, come se temesse qualche reazione spropositata da parte di una delle due donne.
La sua presenza non mi entusiasmava, non nutrivo nei suoi confronti una particolare simpatia, mi era indifferente, ma se avessi dovuto esprimere un primo giudizio su di lei non sarebbe stato del tutto positivo.
Non ero nessuno per poterla giudicare, ma era palesemente attratta da mio marito e faceva di tutto per ricevere la sua attenzione.
Riuscivo ad accorgermene, era una dote che mi riconoscevo.
"Vi lascio soli, scusatemi." - Continuai, mostrandole un falso sorriso.
Michael mi guardò stupito e sconcertato, io gli sorrisi e gli regalai un bacio a fior di labbra, accompagnato da una pacca sul sedere.
Era un modo che conoscevo per mostrare alle persone presenti intorno a noi che quell'uomo era mio, perché egli aveva scelto di amare me e le altre donne avrebbero fatto bene a cercare altrove.
Non ero gelosa, né possessiva, ma era una buona cosa mettere in chiaro fin da subito il mio fastidio nei confronti di coloro che apprezzavano gli uomini sposati.
Mi avvicinai a Janet, la quale reggeva tra le mani due calici di champagne e mi accolse con un caloroso sorriso.
Quella ragazza era straordinaria, riusciva a scacciare in me il cattivo umore con le sue sferzate di entusiasmo ed era fantastico.
Avrei trascorso con lei ogni singolo giorno, era come una medicina.
"Tesoro, questo è per te." - Disse, porgendomi uno dei bicchieri che le occupavano le mani.
"Ti adoro, ne avevo proprio bisogno." - Mormorai, portandomi la superficie di cristallo alla bocca per assaggiare dei minimi sorsi.
"Hai conosciuto anche tu la famosa donna della copertina?"
Si divertiva a stuzzicare la mia gelosia, era assolutamente convinta che io lo fossi e, malgrado fosse in errore, non potevo concederle più torto del dovuto.
"Oh, non mi è molto simpatica." - Affermai, tagliando corto.
"Verrà sempre dopo di te."
Lo sapevo.
Deborah intratteneva Michael più del dovuto e cercava in tutti modi di ottenere un contatto fisico; fingeva di accarezzargli involontariamente la mano e poi gli sorrideva, come se sperasse di conquistarlo in quel modo.
Egli, al contrario, le donava una discreta attenzione e si limitava ad ascoltare educatamente le sue parole, mentre sollevava tra le braccia i miei figli.
"Mi dà fastidio il fatto che lei ci provi spudoratamente con Michael in mia presenza." - Iniziai, osservando mio marito disposto in lontananza, sperando che ricambiasse il mio sguardo.
Lo cercavo con insistenza, quasi a volerlo forzare con prepotenza di deporre i suoi occhi su di me.
Janet mi guardò divertita, nascose una risata in modo convincente e mi strinse le spalle, attirandomi maggiormente a sé.
"Lasciala giocare, Presley. Sappiamo entrambe chi, al termine della serata, riceverà il premio tanto ambito." - Sussurrò nel mio orecchio, ammiccando.
Non rimasi sbalordita da quella affermazione, sapevo che fosse una donna sarcastica e divertente, a volte poco equilibrata in un certo tipo di discorsi, ma non riuscivo a fare a meno di impostare una risata poco impercettibile.
Trascorremmo gran parte del tempo in quel modo, a prenderci gioco di quella donna che, per quanto fosse sfacciata, non si era separata un solo minuto da Michael.
Egli mi sorrideva di tanto in tanto, mi guardava e mi rivolgeva delle tenere occhiate capaci di farmi perdere la ragione.
Era elegantissimo quella sera, l'abito rendeva perfettamente su di lui, il suo corpo sembrava modificato dalle stoffe raffinate che lo coprivano e provare a resistergli sarebbe stato un inutile sforzo.
Approfittai di un momento di isolamento da parte sua e mi precipitai di corsa nella sua direzione, stringendolo da dietro in un abbraccio e facendo aderire il mio petto alla sua schiena.
Alcuni strati di stoffa separavano i nostri corpi nudi, accaldati e tesi, ansiosi di ascoltarsi, di percepirsi ancora una volta, dando libero sfogo alla passione e alla fisicità dell'atto che raggruppava un amore.
"Non so quanto ancora riuscirò a starti lontana." - Gli sussurrai, portando una mia mano tra le asole aperte della sua camicia.
Le divaricai tra le mie dita, insinuando i polpastrelli tra gli spazi liberati, conoscendo il tepore del suo petto e trasmettendolo sulla mia pelle.
Massaggiai quel fascio teso di muscoli, provai a distenderlo attraverso i miei tocchi e a rilassarlo.
Di nuovo quell'inconfondibile brivido mi percorse interamente, facendosi strada tra le pieghe del mio corpo, dove l'impulso veniva recepito con un impeto maggiore.
"Ancora poco, ti prometto che dopo staremo insieme, solo io e te."
Si mosse quel tanto che bastasse per farmi invertire la posizione, i suoi occhi si fermarono nei miei e le sue braccia mi avvolsero i fianchi.
"Ti voglio, Lisa." - Biascicò con la voce terribilmente bassa, procurandomi un'intensa fitta al basso ventre che non riuscii ad ignorare.
Non resistevo più, se ne avessi avuto l'opportunità lo avrei portato in camera da letto e lo avrei baciato fino a perdere il fiato, poi avrei fatto l'amore con lui fino a consumarmi, mantenendomi in vita grazie a lui.
Non avrei mai pensato che resistere al desiderio fosse così doloroso fisicamente e psicologicamente, escogitare quelle nuove sensazioni era come sentirsi una ragazzina alle prime armi.
Michael mi faceva sentire in quel modo, come se avessi dinanzi a me un universo tutto da scoprire ed era una percezione positiva; ogni cosa era una nuova scoperta.
"Adesso, ti prego." - Insistetti, parlando in un lamento.
Si guardò intorno e annuì, poi mi afferrò il polso e lo strinse, soffermandosi a scrutare con attenzione la scollatura del mio abito.
Sorrisi compiaciuta e mi incamminai verso l'abitazione, seguita da lui al mio fianco.
Entrambi eravamo in trepidante attesa.
"Michael, posso parlarti un minuto?" - Disse una voce femminile alle nostre spalle, facendoci voltare di scatto e riuscendo ad imbarazzarci, in parte.
Lei, di nuovo.
Michael mi guardò perplesso, quasi con l'aria dispiaciuta e si morse con delicatezza il labbro, assumendo un'espressione leggermente infastidita.
Era stato disturbato, ma era un uomo troppo educato e cortese per impedire ad una persona di scambiare una conversazione con lui.
"Si, certo." - Biascicò, lasciando andare la mia mano.
Ero arrabbiata, utilizzando un lucente eufemismo.
Quella donna non solo aveva spinto mio marito a mettermi da parte durante l'intera serata, ma aveva anche interrotto il nostro momento, seccandomi a tal punto da farmi assumere un atteggiamento nervoso e contrariato.
Michael scomparve dalla mia visuale, abbandonandomi a metà strada tra il desiderio e il tormento fisico che iniziò a calcare dentro di me con elevata insistenza.
Tentai di scacciarlo, mi esclusi dalla massa, dal rumore di fondo delle persone che si esprimevano e intrapresi una lunga passeggiata nel silenzio di Neverland e la pace che era capace di donare.
Mi accesi una sigaretta, aspirai una breve boccata e chiusi gli occhi, mettendo in moto la mia immaginazione che in quel frangente mi trasportò tra le sue braccia.
Nel mio posto fuori dal mondo.







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