Chapter 11 - More.

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Chapter 11.

Las Vegas.



"Te la fai con Jackson, è vero?" – Disse una voce doppia e maschile alle mie spalle, facendomi trasalire.
Mi voltai, stringendo le mie braccia intorno ai fianchi, dove il mio abito si poggiava elegantemente e otteneva un prezioso fascino dal gusto raffinato.
Danny era a pochi metri da me, la parete della stanza dipinta da un chiaro giallo gli fungeva da sostegno, reggendo il suo corpo ricoperto da un elegante completo.
Impugnava tra le mani una rivista scandalistica, le sue dita sfioravano le estremità di una pagina e la mostravano ai miei occhi, come a voler richiedere una spiegazione ai caratteri cubitali che apparivano sul fronte.
Erano raffigurate tre foto in cui i personaggi principali sembravamo essere io e Michael, due soggetti che si muovevano e si facevano strada in un ampio contesto, capace di stringerli a poco a poco nel suo labirinto.
Eravamo stati fotografati mentre uscivamo da un costoso e lussuosissimo ristorante di Beverly Hills, nessun comportamento compromettente da parte nostra, soltanto dei semplici e complici sorrisi.
"Siamo andati a cena insieme, una volta." – Dissi, provando a parlare con il tono più convincente che avessi mai avuto, voltandomi nuovamente verso lo specchio per sollevare la cerniera del mio abito.
"Hai una relazione con lui?" – Chiese freddamente, mantenendo la distanza che ci separava.
"Siamo solo amici."
Solo amici.
Avevo mentito senza una ragione ben precisa, mi ero decisamente lavata le mani per quanto riguardava quella situazione, avevo pronunciato quella frase istintivamente, come se l'avessi preparata a tavolino.
Sfuggì via dalle mie labbra come se fosse stata una battuta di un film di cui io ero la protagonista e potevo muovermi nel contesto a mio piacimento, modellando le parole, i pensieri e i sentimenti degli altri personaggi.
Mi sentii un'egoista, avevo annullato i bei momenti trascorsi con Michael con un'affermazione regalata ad un altro uomo, il quale non aveva una minima voce in capitolo nella mia vita.
Eravamo separati, per farci tornare insieme non bastavano le serate nelle quali ci mostravamo agli occhi delle persone come una naturale coppia, il mio cuore si era definitivamente allontanato da lui.
Il mio cuore non era lì, in quella stanza di un hotel di Las Vegas, bensì era nella stessa città, ma altrove.
Era vicino a Michael, ovunque egli si fosse trovato.
"Danny, siamo separati. La mia vita non deve interessarti, sarò comunque una brava madre per i tuoi figli." – Mormorai, afferrando distrattamente il soprabito e indossandolo con nonchalance, facendo attenzione ad unire i bottoni.
"Lisa, ti amo ancora. Ho commesso l'errore più grande della mia vita, lasciandoti andare. Sono stato uno stupido egoista, ho pensato soltanto a me stesso, trascurando la meravigliosa donna che avevo al mio fianco." – Disse, avvicinandosi a piccoli passi verso di me, raggiungendomi soltanto dopo qualche istante.
Alzai gli occhi verso la sua figura, lo guardai con un'espressione vaga, le sue parole non mi colpirono affatto, né mi spinsero a donargli una leggera compassione.
Aveva distrutto il mio cuore, il nostro matrimonio e il nostro rapporto che non sarebbe mai tornato come prima.
Era pieno di rancori e di rimorsi, ma era troppo tardi per tentare un appiglio ad una sfuggente soluzione dell'enigma, il nostro enigma.
Mi prese il viso tra le mani, lo sollevò di qualche millimetro e provò ad accostare le sue labbra alle mie, riuscendo a rubarmi un fugace bacio che andava oltre le mie intenzioni.
Ritirai la mia bocca dalla sua, ci fu un breve contatto, ci sfiorammo appena.
"Ricominciamo."
"No, Danny. Non posso." – Sussurrai, togliendomi dalla sua visuale e aprendo la porta frettolosamente, scomparendo dietro di essa.
Sentii i suoi passi avvicinarsi a me, eravamo nel corridoio del nostro albergo e avremmo dovuto salire a bordo dell'auto che ci era stata assegnata, ormai in attesa da una manciata di minuti.
Eravamo diretti verso un prestigioso auditorium di Las Vegas dove si sarebbero svolti i "Soul Train Awards", i quali prevedevano anche la partecipazione di Michael Jackson con tanto di sua performance.
Ero in fibrillazione, ero eccitata dall'idea di poter osservare il Re del Pop intento ad intrattenere il pubblico con il suo talento e, allo stesso tempo, speravo di riuscire a ricavare un momento soltanto per noi due.
Non sarebbe stato affatto facile.
Molti giornali, quella settimana, avevano ottenuto un'abbondanza di guadagni grazie a noi e alle foto che ci erano state scattate durante la nostra serata fuori dalle mura di Neverland, destando uno smisurato sospetto nei nostri confronti.
Avremmo dovuto comportarci come semplici amici davanti agli occhi perplessi e titubanti delle telecamere, provando a placare gli animi e le voci che giravano da giorni.
Quando l'auto si fermò dinanzi al tappeto rosso, Danny sgattaiolò via dal suo posto e si precipitò ad aprirmi la portiera, tendendomi la mano.
Un'ondata di flash abbaglianti si catapultò sul mio corpo, illuminando il tessuto del mio elegante abito e risaltando i miei lineamenti evidenziati dal trucco.
Ero sicura che mi avrebbero tempestata di domande sulla mia presunta relazione con Michael, era una certezza che si sarebbe materializzata non appena mi fossi avvicinata a quella moltitudine di giornalisti e fotografi intenti a guadagnare la notizia.
In quel momento avevo bisogno di proteggere Michael e anche me stessa, dovevo proteggere il nostro rapporto, non mi era permesso di sbagliare e rivelando qualcosa di un certo spessore avrebbe sicuramente demolito quel poco che stavamo costruendo.
Presi debolmente la mano di mio marito e la avvolsi nella mia, dirigendomi a passo cadenzato verso alcuni microfoni, percependo il palese nervosismo all'interno del mio corpo.
"E' tutto per Michael."
Mi ripetevo quella frase, la sentivo tra le mie labbra, ma non ne potevo ascoltare il suono.
Non volevo pubblicità, né occhi puntati su di me, volevo soltanto poterlo amare nel modo più puro e semplice che conoscevo.
Volevo renderlo felice, sentivo la necessità di farlo fin dal primo momento in cui i miei occhi incrociarono i suoi, avevo bisogno di essere la sua felicità.
"Signora Presley, conferma la sua relazione con Michael Jackson?" – Chiese una donna molto giovane, osservandomi con gentilezza, lasciando che i suoi capelli biondi le decorassero il volto.
Danny si irrigidì e dalla sua bocca ne uscì un sospiro irritato, il quale assomigliava molto ad un mugolio di disapprovazione.
"Siamo solo amici." – Risposi con un sorriso, stringendomi al corpo di mio marito e poggiando un mio braccio intorno ai suoi fianchi.
Tre parole che mi permisero di avvertire una sensazione negativa, come se avessi causato del male a qualcuno o lo avessi messo in pericolo.
Azzerai tutte le emozioni, i sentimenti che provavo per Michael e i nostri baci con una frase, pronunciata perché sembrava l'unica cosa da dire.
Entrammo nel luogo nel quale si sarebbe tenuta la cerimonia dopo aver salutato circa la metà dei presenti, non avevo mai scambiato convenevoli con così tante persone in tutta la mia vita, mi ero già stancata di tutti quei sorrisetti falsi e di quelle frasi stereotipate.
Eravamo seduti al nostro posto quando, all'improvviso, un urlo attirò le nostre attenzioni e le catapultò verso le prime file, dove una squadra di uomini della sicurezza scortavano un personaggio di elevata fama mondiale.
Mi accorsi di Michael soltanto quando venne annunciata la sua performance e, quando le luci si spensero, l'intera platea lo vide sul palco, seduto su una sedia in atteggiamento tutt'altro che remissivo.
Non era una scenografia che faceva per lui, eravamo abituati a vederlo danzare e muoversi da una parte all'altra del palco, ma quella volta, tutto sembrava essere totalmente diverso.
Mi persi tra le note di quella canzone che avevo ascoltato continuamente alla radio e soltanto al termine di essa mi resi conto che Michael avesse una caviglia fasciata che, di conseguenza, gli limitava i movimenti.
Quando arrivò finalmente il mio turno, salii sul palco e gli consegnai il premio che reggevo tra le mani, mostrandogli soltanto un piccolo sorriso e facendogli dei semplici complimenti.
Michael non mi sembrò sorpreso del mio comportamento, al contrario era anch'egli preparato alla messa in scena e non andò oltre ad una stretta di mano tra persone che si conoscevano appena.
Vivere quel momento in prima persona mi fece male, mi procurò un forte dolore che mi causò la fuoriuscita di qualche lacrima, mentre facevo ritorno al mio posto.
Provai, con tutte le mie forze, a mascherare il mio dispiacere, fallendo ogni tentativo.
Morivo dal desiderio di baciarlo, di stringerlo tra le mie braccia e di toccarlo.
Non riuscivo a smettere di pensare a lui, eravamo nella stessa sala, a pochi metri di distanza e non potevamo neanche sfiorarci, altrimenti avremmo avuto le nostre facce sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Al mio fianco c'era un uomo al quale avevo donato tutto il mio amore negli anni precedenti, ma il mio cuore era posizionato su una delle sedie accanto a Michael, dove avrei voluto essere in quel preciso istante.


Perché, l'amore, poteva fare così male?

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