Chapter 16 - Save me.

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Chapter 16.






Ho rovinato tutto.
Mi sento uno stupido egoista e, allo stesso tempo, sono arrabbiato, con te.
Hai varcato il mio privato, hai visto ciò che non avresti mai dovuto vedere, hai scovato nella parte più profonda di me ed hai trovato la mia sofferenza.
Sei qui, davanti ai miei occhi, riesco a leggere il tuo dolore ed io, come un vigliacco, non ho la forza per pronunciare una sola parola.
Sono stato io a farti del male, nonostante ti avessi promesso il contrario.
Sono stato io a ferirti, ero io la tua paura più grande, ero io la persona che avrebbe macchiato la tua felicità.
Adesso mi guarderai con occhi diversi, non mi amerai più e lo capirei benissimo, non mi amo neanche io.
Spero soltanto che tu rimanga al mio fianco, Lisa, perché sei l'unica persona che può salvarmi.
Sei una donna forte, hai tanto coraggio dentro di te, quello di cui io ho bisogno.
Non andartene, ti prego.
Non farlo, potrei morirne.




I suoi occhi si riempirono di limpide lacrime, ma nessuna scivolò via, come a colmare le pupille fino ad oscurarle del tutto pur di trattenere dentro di sé l'orgoglio che non aveva mai avuto.
Il silenzio ci opprimeva, aveva spesso accompagnato i nostri momenti, ma quella volta sembrava volerci fare del male, fino a risucchiarci nel suo vortice che era stato complice delle nostre emozioni.
Osservavo il suo volto teso, in cerca di una risposta alle mie domande, anche una semplice parola che mi indicasse l'errore che avevo nel poter pensare una cosa del genere.
Desideravo una frase che mi calmasse e che mi dicesse che non avrei dovuto preoccuparmi, perché non c'è n'era bisogno, perché mi sbagliavo.
Non arrivò niente dalla sua parte, soltanto un oblio vuoto e instabile, come quello che lo avrebbe travolto ben presto, se non avesse accettato una mano che tentava disperatamente di riportarlo in salvo.
Il mio pianto sembrava irrefrenabile, la situazione di irrealtà nella quale ero piombata iniziava a materializzarsi sempre di più, strappandomi violentemente dalle dolci braccia dell'uomo che amavo.
Avvertivo il peso del mio corpo spingere contro la superficie gelida del pavimento, appoggiai entrambe le mani accanto alle mie gambe ed abbassai il capo, sfuggendo al suo sguardo.
Feci un respiro profondo, pensai che le lacrime fossero cessate, ma non fu così e mi resi conto di non avere più il controllo di me stessa e del mio corpo.
Ero come in una bolla dalle estremità sottili, pronte ad assottigliarsi ancora, fino ad esplodere.
"Non hai niente da dire? Non ti rendi neanche conto di quanto male tu mi stia facendo in questo momento. Temevo ci fosse qualcosa, lo sapevo, non poteva essere tutto così bello." - Dissi con la voce rotta dal pianto, asciugandomi il viso con il dorso della mano.
Ci fu un lungo silenzio che mi sembrò eterno, soltanto rumori di sottofondo decoravano quel fastidio che urlava nel vuoto, Michael non disse niente, manteneva la testa abbassata per non guardarmi.
Sospirò, arricciò le labbra e poi parlò.
"Lisa, io non prendo quella roba." - Sussurrò, il suo tono della voce si ruppe e ne uscì un breve bisbiglio soffocato.
"Davvero? Sarà finita casualmente nella tua valigia!" - Urlai, scaraventandogli il beauty contro, colpendolo in pieno viso e ascoltando il mugolio di dolore che sfuggì dalla sua bocca.
Il rumore delle confezioni che si scontravano sulla facciata del pavimento frantumarono in mille pezzi la nostra assenza di parole, rimbombando tra le mura della stanza, ormai partecipi alla scena.
Mi alzai lentamente e lo raggiunsi dinanzi all'uscio della porta in legno del bagno, lo guardai intensamente negli occhi, le mie braccia erano stese lungo le mie gambe e mi accorsi di non riconoscerlo più.
Mi sembrava improvvisamente cambiato, un'altra persona, non l'uomo che avevo sposato.
Di lui non c'era niente, soltanto il corpo, l'estetica e quegli occhi che, per quanto mi avessero persuasa e desiderata, quella volta non avevano su di me il loro abituale effetto.
"Lascia che ti spieghi." - Mormorò, sollevando la testa ed incrociando il mio sguardo ferito ed arrabbiato.
"Non c'è niente da spiegare!" - Gridai, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia al petto.
"Ti prego, non urlare."
Allungò una mano verso il mio viso, aveva intenzione di accarezzarmi una guancia, ma riuscii a scansarmi prima che compiesse quel gesto.
"Io urlo quanto mi pare, Michael." - Dissi, dirigendomi rapidamente verso la camera da letto, seguita da lui alle mie spalle.
Non mi resi conto di averlo al mio fianco, ero così presa da altro che non mi importava la sua presenza, sentivo il bisogno di stare lontana da lui, almeno per un po'.
Doveva comprendere il mio stato emotivo e donarmi una serie di motivi plausibili per far sì che fossi furibonda per causa sua.
Mi afferrò per le braccia, facendomi voltare verso di lui e mi strinse i polsi, obbligandomi a fermarmi e a rivolgere i miei occhi su di lui.
"Ascoltami, per favore." - Sussurrò, prendendomi il viso tra le mani e lasciando scivolare una lacrima dai suoi occhi, fermandola prima che si depositasse alla base del suo collo.
"Non prendo niente di tutto quello, non più, te lo assicuro. Erano nella mia borsa, perché le ho portate con me per stare più tranquillo durante il viaggio." - Riprese.
Sorrisi in modo sarcastico e strinsi le mie mani intorno ai fianchi, volevo attutire la rabbia che provavo dentro di me per non essere riuscita ad ottenere la sua fiducia, ero furiosa con me stessa per non essere stata in grado di aiutarlo.
Mi sentivo una completa nullità dinanzi a tutto quello.
"Non ti credo, non ci riesco."
"Lo so, ma devi farlo! Da quando ci sei tu nella mia vita è cambiato tutto. Non sento più quel continuo bisogno di dimenticare il dolore che mi porto dentro. Tu mi hai salvato e continui a farlo ogni giorno, senza rendertene conto!" - Disse sottovoce, terminando la frase con un breve sorriso.
Era spaventato, il suo volto era segnato dal terrore, ma nonostante ciò parlava con molta calma, come se temesse una mia reazione negativa e un mio allontanamento nei suoi confronti.
Era una situazione delicata e lui la stava affrontando con grande sensibilità e autocontrollo, la sua persona non nascondeva affatto la delusione che sentiva e, allo stesso tempo, tentava di riportare la mia fiducia al punto di inizio.
Ero una persona che non concedeva molto semplicemente seconde possibilità, inoltre facevo fatica a fidarmi di chiunque entrasse nella mia vita, ma con lui era diverso.
Il mio cuore sapeva che, anche se Michael mi avesse provocato il male più amaro e acuto, io avrei comunque aperto lui le porte del mio perdono.
Non riuscivo ad immaginare un futuro senza di lui.
"Mi hai mentita." - Sussurrai con la voce spezzata, continuando a piangere, coprendomi gli occhi con la spugna dell'accappatoio.
"Non è così. Non c'era niente sul quale io potessi mentirti."
"Mi hai nascosto tutto questo. Sono tua moglie, Michael!" - Esclamai, portandomi una mano sul petto subito dopo, percependo un peso all'altezza del cuore.
Ero furiosa, arrabbiata poteva essere un pallido eufemismo, avevo vissuto quella situazione in prima persona, quando ero molto piccola e non avrei lasciato che mio marito si distruggesse con le sue mani.
Non glielo avrei permesso.
Avrei dovuto raccogliere tutta la mia forza e il mio coraggio e concentrarli in Michael, era l'unico modo che avevo per portarlo in salvo e per liberarlo da quel dolore costante che lo schiacciava.
Non riusciva a rendersi conto di quanto quella roba facesse male, sarebbe stata capace di infliggergli il doppio della sofferenza che lo divorava, trascinandolo verso la sponda dell'abbandono.
Non ero più in me, presa dalla frustrazione per aver scoperto il suo punto debole e per gli effetti che avrebbe provocato, gli sferrai un forte schiaffo sulla guancia, arrossandogli la pelle.
Dopo qualche secondo di assoluto silenzio, mi pentii del gesto compiuto, ma era l'unico modo che conoscevo per far sì che si accorgesse della mia paura.
Mi guardò con gli occhi lucidi e si massaggiò la parte colpita.
"Scusa." - Mormorai tra le lacrime, stringendolo fortemente tra le mie braccia, annullando la distanza che ci aveva separato in quei minuti.
Le sue mani si poggiarono sulla parte bassa della mia schiena, mi abbracciò e avvertii il suo respiro accarezzarmi una guancia, fino a riscaldarla con il suo tepore.
"Mi dispiace. Ti prego, Lisa, non lasciarmi." - Disse, lasciandosi andare ad un pianto disperato sulla mia spalla.
"Non potrei mai." - Mormorai, lo presi per mano e lo invitai a stendersi insieme a me sul letto.
Si spogliò degli indumenti che indossava, li ripiegò con cura e li poggiò in uno scomparto dell'armadio, per poi prendere posto al mio fianco.
Mi accolse sul suo petto, dove gli gravai con il peso della mia testa.
Rimanemmo in silenzio, con i corpi stretti, a goderne il contatto e l'atmosfera intima della stanza, come a voler racchiudere ogni minimo dettaglio in un ricordo.
Ci eravamo lasciati rapire dal dolore, senza ritagliare del tempo soltanto per noi, per comprendere e rivivere il momento del nostro matrimonio.
Improvvisamente venni colta da un forte freddo che mi penetrò a fondo, cominciai a tremare ed avvertii le dolci mani di Michael avvicinarmi di più a lui, in modo che riuscissi a riscaldarmi tramite il suo calore.
"Piccola, stai tremando. Hai freddo?" - Domandò, passandomi una mano sul viso e ritirandola subito dopo, mostrando una smorfia di preoccupazione.
"Hai la febbre." - Riprese.
Mi aggrappai al suo corpo, mi rannicchiai al suo fianco e tirai le gambe al petto, assaporando la sublime sensazione di essere la sua donna, la persona più importante della sua vita.
"Ti prego, portami a casa." - Lo supplicai, sollevando il mio mento verso l'alto, cercando un contatto con le sue labbra.
Mi regalò un limpido e casto bacio, un lieve tocco delle nostre bocche che si desideravano, facendo conoscenza con la distanza che le aveva separate per qualche ora.
"Lisa, stai male, sarebbe meglio rimanere qui."
"No, sto bene, voglio tornare a casa." - Dissi.
"Riley e Benjamin sono lontani da me e di Danny non mi fido. Non sono tranquilla, ho bisogno di essere a Los Angeles." - Ripresi.
"Hai ragione, partiamo subito, allora." - Mormorò, si alzò dal letto per rivestirsi e ripose i suoi abiti nella valigia.
Si preoccupò di sistemare anche le mie cose, fece una rapida telefonata alle sue guardie e si assicurò della disponibilità del suo jet.
"Verrai in viaggio di nozze con me?" - Domandò ad un tratto, afferrando rapidamente una borsa e porgendomi un braccio, in modo che mi appoggiassi a lui.
"Vorresti andare con un'altra donna?" - Dissi ironica, accennando una breve risata.
La sua mi colpì come una sferzata gelida che mi riportò in vita, mi aiutò a lasciare in quella camera e in quell'arredamento incastrato tra le mura la paura che avevo accumulato.
Mi prese per mano ed insieme ci muovemmo nella penombra della stanza, uscendo senza emettere un minimo rumore.


Heroine.Where stories live. Discover now