7. Don't ask question, you don't wanna know

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Più il mio cervello elabora la situazione, più questo gli cozza contro, andandogli addosso come se fossero sul ring a contendersi la vittoria.

Non si tratta di una lotta tra cuore e cervello, no, ma del cervello contro l'istinto, che è peggio, perché tu poi decidere se seguire l'uno o l'altro, ma dentro di te saprai sempre che non è la parte razionale quella che ti metterà in salvo.

Mi passo una mano tra i capelli, combattuta. Potrei rimanere qui e scoprire chi dei due ha ragione, ma sono sempre stata una di quelle persone che sopprime qualsiasi razionalità preferendo le cosiddette "sensazioni di pancia".

No, devo uscire da qui.

Mi rianimo, ora più determinata di prima nello scovare un modo per andare via da qui, e quando alzo gli occhi, puntando la torcia in giro per la stanza, uno scaffale in particolare attira la mia attenzione.

È in un angolo della stanza, si può dire isolato da tutti gli altri perché non è catalogato sotto alcuna targhetta. Potrebbe conservare ogni genere tra i suoi ripiani.

Strizzo gli occhi, confusa, quindi balzo giù dalla sedia e mi affretto a raggiungere nuovamente la piantina.

Quello scaffale non dovrebbe essere lì, dovrebbe essere segnalato sulla carta. Ma sulla planimetria non c'è.

È disegnato solo un angolo cieco, senz'altro. Strano.

Storcendo il naso e alzando le sopracciglia, visibilmente confusa, mi avvicino a questo, illuminando il più possibile la parete. I libri sono impilati alla perfezione e sembrano nuovi, come non fossero mai stati toccati. Non li tradisce nemmeno la presenza di un granello di polvere a imbrattarli o dei segni di usura sui dorsi in pelle.

Ne sfilo uno, aprendolo per leggere il titolo, ma non riesco a capirlo perché non è nella mia lingua. Tedesco, forse.

Lo riposo e ne prendo un altro. È scritto in cirillico.

Faccio lo stesso per altri cinque. Sono tutti in lingue diverse, tutti in lingue che non conosco.

Poi me ne capita uno in francese.

Lo apro con una strana sensazione alla gola. Il titolo cita "A la recherche du temps perdu".

Alla ricerca del tempo perduto.

Sfoglio le pagine ingiallite ma ancora perfette. È una stampa vecchia, vista la scrittura e la rilegatura in pelle sembra di metà secolo.

«Longtemps, je me suis couché de bonne heure. Parfois, à peine ma bougie éteinte...» leggo le prime frasi ad alta voce.

Un sorriso malinconico mi apre le labbra quando scorro gli occhi tra le righe.

Ho letto questo libro una decina di volte, penso. Mio padre aveva origini francesi, era nato e cresciuto nelle periferie di Lione, facendo avanti e indietro dagli Stati Uniti per il lavoro dei miei nonni.

Non so molto di lui, mamma non ne parla mai. So solo che i miei genitori si sono conosciuti sulle coste della Francia durante una vacanza di mia mamma, e da lì non è esistito altro che il loro amore.

Poi lui è morto, e lei non è stata più la stessa.

Ha voluto insegnarmi la sua lingua perché io potessi avere una parte di lui. Quando ho iniziato a leggere i libri abbandonati nello studio non l'ha presa benissimo, non voleva che rovinassi quello spazio perduto dove sembrava alleggiasse ancora la sua presenza.

Ha ceduto dopo mesi che mi intrufolavo lì dentro.

All'inizio non capivo cosa stessi leggendo, un po' per la difficoltà del lessico, un po' perché a dieci anni non si hanno le conoscenze per capire davvero un'opera di questa portata. Forse, è stato questo a incentivare la nonna con le sue "pratiche educative". Se non avessi dimostrato una tale maturità intellettiva, probabilmente avrebbe ritardato i suoi interventi di qualche anno, e le cose sarebbero andate diversamente.

Cast Gold. Follow the rules.Donde viven las historias. Descúbrelo ahora